COVID-19 e Direzione Sanitaria
COVID-19 and Chief Medical Office

Matteo Moro
Medico di Direzione Sanitaria, Ospedale San Raffaele, Milano

Con le prime informazioni, a gennaio 2020, sui casi di polmonite in Cina da un nuovo coronavirus, anche l’Ospedale San Raffaele (OSR), un grande policlinico universitario di Milano, ha immaginato un possibile scenario di coinvolgimento dell’Italia, e quindi pure “nostro”, in caso di estensione dell’epidemia o addirittura di possibile pandemia. Benché l’eventualità fosse dai più considerata poco probabile, furono prese alcune misure quali:
— raccolta di informazioni sull’andamento epidemiologico, delle specifiche circolari nazionali e regionali, dei siti web internazionali di riferimento e delle misure di prevenzione in una pagina dedicata sul sito intranet del Comitato di Controllo delle Infezioni Ospedaliere (CIO) del San Raffaele, segnalata con mail generali destinate a oltre 7.000 persone (operatori sanitari, dipendenti, ricercatori, studenti universitari);
— pre-allertamento di alcune funzioni dell’Ospedale, quali ad esempio:
la Direzione Acquisti e Logistica (l’Economato) per un aumento delle scorte di presidi e dispositivi (in particolare i DPI),
il Servizio di Farmacia per un aumento di scorte/disponibilità di soluzione alcolica per l’antisepsi delle mani e di farmaci critici (ad es. antibiotici),
il Servizio di Ingegneria Clinica per una verifica delle apparecchiature per la ventilazione assistita, invasiva e non-invasiva,
il Servizio in outsourcing di trasporto interno dei pazienti e di ambulanze, per la predisposizione di protocolli adeguati a possibili casi sospetti o accertati;
— eventi di informazione / formazione del personale sanitario:
il 29.01, nel contesto di un seminario della ricerca cui hanno partecipato oltre 200 persone,
il 5.02 nel contesto della seduta del Comitato Etico (che coinvolge anche ospedali del Gruppo San Donato, di cui OSR fa parte dal 2012),
il 6.02 in un incontro dedicato, aperto a tutti gli operatori sanitari, tenutosi nell’aula magna dell’Ospedale e al quale hanno partecipato più di 500 persone e le cui presentazioni sono state rese disponibili sulla pagina intranet del CIO.
Nelle presentazioni che ho personalmente tenute in questi eventi per la parte di controllo infettivo, avevo fatto riferimento a numerose voci bibliografiche dell’inizio anno che evidenziavano come la diffusione dell’infezione fosse non solo possibile, ma addirittura probabile; alcune di tali voci erano le seguenti:
— Journal of Medical Virology: “La più recente epidemia di polmonite virale in Wuhan … serve come importante pro-memoria della nostra vulnerabilità alle infezioni virali emergenti”;
— Journal of Travel Medicine: “Potenziale per la diffusione mondiale del nuovo coronavirus dalla Cina”;
— Viruses: “Virus emergenti senza confini: il coronavirus di Wuhan”;
senza trascurare di citare la famosa copertina di Time del 15 maggio 2017 che titolava a tutta pagina “ATTENZIONE. Noi non siamo pronti per la prossima pandemia”.
Chiusi tutte le presentazioni con una slide finale che recitava “Take Home Message: Sta arrivando. Prepariamoci”, ma certamente, nonostante il mio “pessimismo”, né io, né alcuno avrebbe mai potuto anche solo immaginare la situazione che gli operatori sanitari degli ospedali, e delle RSA in particolare, e che tutti i cittadini lombardi hanno invece dovuto fronteggiare e vivere in prima persona, come la prima e più colpita regione italiana.
La data iniziale del nostro coinvolgimento risale al 21.02 quando fu convocata in Regione Lombardia una riunione generale per condividere le informazioni provvisorie e le prime direttive operative. L’ospedale San Raffaele ha visto alla fine di febbraio il suo primo potenziale e controverso caso relativo ad un paziente che era già ricoverato per altri motivi presso la Medicina Generale e che presentava tampone positivo presso il laboratorio di riferimento, negativo presso il nostro laboratorio, con iniziale conferma da parte del laboratorio dell’Istituto Superiore di Sanità e sua successiva smentita su altri campioni biologici. Mentre si chiariva che quel paziente non era un caso di COVID-19, il Pronto Soccorso aveva purtroppo già cominciato a ricoverare pazienti con l’ormai tipico quadro di grave polmonite.
Lo “tsunami”, come ben a ragione può essere definito, del COVID-19 ha sconvolto il nostro ospedale, che perciò, come gli altri, ha dovuto precipitosamente riorganizzarsi per far fronte al continuo arrivo di pazienti, con graduale spegnimento dei ricoveri in elezione, conversione di interi reparti dedicati ai pazienti COVID-19 e allestimento di nuovi reparti (ad es. due tensostrutture da 24 posti letto totali di Terapia Intensiva dedicata).
Questa pagina non può certo raccontare la complessità della situazione vissuta (fino a un massimo di 350 pazienti, 60 dei quali in Terapia Intensiva e 90 in ventilazione non invasiva nei reparti nel giorno di picco), l’insieme delle decisioni organizzative e operative, il carico di dolore per i pazienti e i familiari, la preoccupazione degli operatori sanitari (e dei loro familiari, come ben mi era chiaro nello sguardo preoccupato di mia moglie ogni mattina), con i primi casi di COVID-19 anche tra essi, alcuni gravi, ma per fortuna senza alcun decesso.
Vorrei però lasciare pochi spunti vissuti in qualità di medico di Direzione Sanitaria con il coordinamento del Controllo Infettivo.
1. L’importanza della formazione degli operatori sanitari sulle misure già consolidate di prevenzione della trasmissione dei microrganismi, che hanno mantenuto la loro validità ed applicabilità anche per questa infezione.
2. Dopo una prima fase apparentemente silente, abbiamo assistito alla progressiva diffusione di infezioni da microrganismi multi-resistenti (MDRO) e correlate all’assistenza, che hanno gravato sulla prognosi di molti pazienti con COVID-19, elemento che sottolinea la necessità di una costante applicazione delle misure di isolamento infettivo, a partire dall’igiene delle mani (curioso ripensare alle difficoltà pre-COVID-19 per riuscire a installare anche pochi erogatori di prodotti alcolici per l’igiene delle mani nelle parti comuni e vedere la loro attuale diffusione, non solo in ospedale).
3. La scarsità dei dispositivi di protezione individuale (DPI), nelle fasi iniziali letteralmente “razziati” e poi introvabili sul mercato, in particolare in relazione alla numerosità dei pazienti, ha reso necessari alcuni adattamenti operativi per certi versi discutibili, ma nella logica del miglior equilibrio possibile.
4. Abbiamo sperimentato che solo un approccio interdisciplinare, con il coinvolgimento di tutte le funzioni e professionalità, è in grado di garantire l’efficacia e la sicurezza dell’assistenza sanitaria, anche dal punto di vista del controllo infettivo, elemento fondante anche per la nostra Società (SIMPIOS dove la M sta appunto per multidisciplinare).
5. Un accento particolare è stato posto sull’igiene ambientale, sia per l’attività ordinaria, sia per il protocollo di ri-conversione dei reparti COVID. È importante che anche questo aspetto, con il rinnovato impegno a garantirne la continua applicazione e a migliorare le carenze ben note del passato, possa risultare uno dei frutti positivi di questa pandemia.
Sappiamo ancora poco di questo virus e l’attuale fase 2 resta piena di incognite; con il senno di poi abbiamo compreso quanto sarebbe stato importante disporre ad ogni livello, da quello internazionale a quello di ogni ospedale, di un vero piano operativo di preparazione come da tempo raccomandato dall’OMS a tutti gli stati (vedi www.who.int
Pandemic influenza preparedness con il documento aggiornato al 2018 “Checklist per la gestione del rischio e dell’impatto da pandemia influenzale: costruire la capacità di una risposta alla pandemia”), ma per tutti noi operatori sanitari addetti al controllo infettivo non resta che raccogliere questa sfida rinnovando l’impegno e la dedizione che sempre ci hanno contraddistinto.