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Efficacia dei vaccini COVID-19 sulle varianti di SARS-CoV-2

A cura di Giulia De Angelis


SARS-CoV-2 e varianti preoccupanti

Nel periodo di tempo che decorre dal 31 dicembre 2019 al termine della 28° settimana 2021, 191.158.708 casi COVID-19 e 4.098.967 decessi sono stati segnalati in tutto il mondo. L’Italia, come ben noto, è uno dei Paesi in Europa più gravemente colpiti, con un numero di casi (4.287.458) secondo a Russia (5.982.766), Francia (5.867.730), Turchia (5.529.719) e Regno Unito (5.433.939).

Alla fine del 2020 l’emergere di varianti del virus SARS-CoV-2 potenzialmente associabili ad un rischio maggiore per la salute pubblica globale, ha portato alla definizione di specifiche “varianti di interesse” (in lingua anglosassone variants of interest o VOI) e “varianti preoccupanti” (variants of concern o VOC), al fine di dare priorità al monitoraggio e alla ricerca globali e, in definitiva, a guidare le strategie di risposta alla pandemia di COVID-19.

Per favorire e uniformare la discussione anche in ambito non scientifico ed evitare la stigmatizzazione geografica di VOI e VOC, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), unitamente ad esperti in nomenclatura virologica, a rappresentanti della rete di laboratori di riferimento dell’OMS, ha raccomandato di etichettare le varianti già note ed emergenti con lettere dell’alfabeto greco (cioè Alpha, Beta, Gamma...). Queste etichette non sostituiscono i nomi scientifici esistenti (ad esempio quelli assegnati da GISAID, Nextstrain e Pango), che trasmettono importanti informazioni scientifiche e continueranno ad essere utilizzati nella ricerca.

Le varianti di SARS-CoV-2 più discusse sono le VOCs, poiché per queste varianti sono disponibili prove chiare che indicano un impatto significativo sulla trasmissibilità, gravità e/o immunità che potrebbe avere un effetto sulla situazione epidemiologica globale.

La maggiore trasmissibilità delle VOCs è probabilmente alla base della lenta riduzione o del nuovo aumento di casi di COVID-19 che si sono verificate in molti Paesi all’inizio di quest’anno. La VOC B.1.1.7 (o Alpha) aumenta la trasmissibilità virale e sta emergendo come una variante sempre più diffusa. La variante P.1 (o Gamma) può causare malattie gravi anche in persone che sono state precedentemente infettate, sebbene manchino informazioni definitive. La variante B.1.351 (o Beta) è meno facilmente neutralizzabile dal plasma convalescente ottenuto da pazienti infetti da varianti precedenti e dal siero ottenuto da vaccinati rispetto al virus prototipo su cui si basano gli antigeni del vaccino, e le prove preliminari suggeriscono una ridotta efficacia di alcuni vaccini contro malattie lievi o moderate causate da questa variante. Altre varianti responsabili di molti decessi, come B.1.617.2 (o Delta), continuano ad emergere (Tabella 1).






Variante Delta

Dal suo primo rilevamento in India nel dicembre 2020 la variante Delta è stata segnalata in almeno 85 Paesi a livello globale e in 23 Paesi dell’Unione Europea, secondo le stime dell’OMS. In questi ultimi, la percentuale di variante Delta tra i casi sequenziati è aumentata enormemente nel corso delle ultime settimane (Figura 1) superando il 50% dei casi in 14 Paesi, inclusa l’Italia.




La definizione di VOC (dichiarata ufficialmente da OMS e European Centers for Diseases Control and Prevention il 24 maggio 2021) deriva già dai primi dati delle autorità sanitarie pubbliche del Regno Unito che suggerivano un aumento della trasmissibilità rispetto al virus selvaggio (cioè quello isolato nel corso della prima ondata) e una riduzione dell’efficacia del vaccino, soprattutto in individui che avessero ricevuto una sola dose di vaccino.

Sulla base dei dati globali presentati a GISAID (in origine, iniziativa globale sulla condivisione dei dati sull’influenza aviaria, ma più recentemente un sito per la compilazione di dati di sequenza sui virus, in particolare influenza e i coronavirus, che minacciano di causare una pandemia), il numero di riproduzione di base (o R0, che rappresenta il numero medio di infezioni secondarie prodotte da ciascun individuo infetto in una popolazione completamente suscettibile cioè mai venuta a contatto con il nuovo patogeno emergente) effettivo stimato per la variante Delta è del 55% superiore alla variante Alpha e del 97% superiore al virus selvaggio. Inoltre, le infezioni da virus Delta hanno mostrato un aumentato rischio di ospedalizzazione rispetto ai casi di infezione da virus Alpha.

Sulla base del vantaggio di trasmissione stimato della variante Delta e utilizzando modelli predittivi, si prevede che, in Europa, il 70% delle nuove infezioni da SARS-CoV-2 sarà dovuto a questa variante entro l’inizio di agosto e il 90% delle infezioni entro la fine di agosto 2021.

Preoccupante è il rilevamento il 18 giugno ultimo scorso da parte del Public Health inglese di variante Delta con un’ulteriore mutazione (K417N). È stato infatti suggerito che questa mutazione possa essere coinvolta in una ridotta risposta immunitaria ai vaccini disponibili in commercio.

Inoltre, ci sono prove che coloro che hanno ricevuto solo la prima dose di un ciclo di vaccinazione a due dosi sono meno protetti contro l’infezione con la variante Delta che contro altre varianti, indipendentemente dal tipo di vaccino. Tuttavia, la vaccinazione completa fornisce una protezione quasi equivalente contro la variante Delta.



Efficacia dei vaccini sulla variante Delta

Oltre a continuare a monitorare l’emergere di nuove varianti, ci sono quattro priorità principali per la risposta globale alle varianti preoccupanti:

i) Valutare i vaccini esistenti per l’efficacia contro le varianti.

ii) Se i vaccini attuali sono inadeguati, valutare l’efficacia di nuovi vaccini o vaccini modificati contro le varianti.

iii) Ridurre il rischio che emergano ulteriori varianti preoccupanti.

iv) Coordinare la risposta mondiale a identificare e caratterizzare le varianti virali di interesse.

Finora, non ci sono evidenze che le varianti attualmente identificate e preoccupanti eludano l’effetto più importante dei vaccini, cioè quello di prevenire l’evoluzione verso un quadro di malattia grave.

Un recentissimo studio pubblicato sulla rivista New England Journal of Medicine ha riportato i dati di uno studio prospettico di coorte americano che ha coinvolto 3.975 persone tra personale sanitario, primi soccorritori e altri lavoratori in prima linea nella gestione dei pazienti COVID-19. Dal 14 dicembre 2020 al 10 aprile 2021, i partecipanti hanno completato i test SARS-CoV-2 settimanalmente fornendo tamponi nasali per analisi molecolare. In questa popolazione è stata valutata l’efficacia dei vaccini Pfizer–BioNTech e Moderna, tramite la formula 100%×(rapporto di rischio per l’infezione da SARS-CoV-2 nei vaccinati rispetto ai partecipanti non vaccinati). SARS-CoV-2 è stato rilevato in 204 partecipanti (5%), di cui 5 completamente vaccinati (≥14 giorni dopo la dose 2), 11 parzialmente vaccinati (≥14 giorni dopo la dose 1 e <14 giorni dopo la dose 2) e 156 non vaccinati; i 32 partecipanti con stato vaccinale indeterminato (<14 giorni dopo la dose 1) sono stati esclusi. L’efficacia dei vaccini è stata stimata del 91% (intervallo di confidenza IC al 95%, da 76 a 97) con la vaccinazione completa e dell’81% (IC al 95%, da 64 a 90) con la vaccinazione parziale. Tra i partecipanti con infezione da SARS-CoV-2, la carica media di RNA virale era inferiore del 40% (IC 95%, da 16 a 57) nei partecipanti parzialmente o completamente vaccinati rispetto ai partecipanti non vaccinati. Inoltre, nei partecipanti parzialmente o completamente vaccinati il rischio di sintomi febbrili era inferiore del 58% (rischio relativo 0,42; IC 95%, 0,18-0,98) e la durata della malattia è stata più breve, con 2,3 giorni in meno di malattia a letto (IC 95%, da 0,8 a 3,7) rispetto ai partecipanti non vaccinati.

In un secondo studio, condotto in Inghilterra e pubblicato ancora sul New England Journal of Medicine, si è stimata l’efficacia dei vaccini Pfizer e AstraZeneca contro la malattia sintomatica causata dalla variante Delta o dal ceppo predominante (cioè variante Alpha) nel periodo in cui la variante Delta ha iniziato a circolare. I risultati hanno mostrato che l’efficacia dopo una dose di vaccino (entrambi) era notevolmente inferiore tra le persone con la variante Delta (30,7%; intervallo di confidenza al 95% [CI], da 25,2 a 35,7) rispetto a quelle con la variante Alpha (48,7%; 95% CI, da 45,5 a 51,7). Con il vaccino Pfizer, l’efficacia di due dosi è stata del 93,7% (IC 95%, da 91,6 a 95,3) tra le persone con la variante Alpha e dell’88,0% (IC 95%, da 85,3 a 90,1) tra quelle con la variante Delta. Con il vaccino AstraZeneca, l’efficacia di due dosi è stata del 74,5% (95% CI, da 68,4 a 79,4) tra le persone con la variante Alpha e del 67,0% (95% CI, da 61,3 a 71,8) tra quelle con la variante Delta.

I risultati di questi studi mostrano che i vaccini a mRNA autorizzati risultano efficaci tra gli adulti in età lavorativa nel prevenire l’infezione da SARS-CoV-2 e nel ridurre la carica di RNA virale, il rischio di sintomi febbrili e la durata della malattia tra coloro che hanno avuto un’infezione nonostante la vaccinazione. Inoltre, la differenza di efficacia dei vaccini Pfizer e Moderna con la variante Delta rispetto alla variante Alpha sembra essere modesta dopo la somministrazione di due dosi di vaccino, e più marcata dopo la somministrazione della prima dose. Questi risultati incoraggianti supportano ulteriormente gli sforzi per massimizzare la diffusione del vaccino con due dosi nel contesto della circolazione della variante Delta.



Referenze

– Lopez Bernal J, Andrews N, Gower C, Gallagher E, Simmons R, et al. Effectiveness of Covid-19 Vaccines against the B.1.617.2 (Delta) Variant. N Engl J Med 2021 Jul 21. doi: 10.1056/NEJMoa2108891.

– Thompson MG, Burgess JL, Naleway AL, Tyner H, Yoon SK, et al. Prevention and Attenuation of Covid-19 with the BNT162b2 and mRNA-1273 Vaccines. N Engl J Med 2021 Jul 22;385(4):320-9. doi: 10.1056/NEJMoa2107058.