IX Congresso Nazionale SImPIOS

Ancona 21-23 settembre 2021


Poster

Sorveglianza clinica delle IOS

P1.

Consumo di antibiotici ed appropriatezza prescrittiva
in tre presidi ospedalieri pubblici della regione Molise

M. L. Sammarco,1 M. Tamburro,1 A. Salzo,1,2 G. Ripabelli1,2

1Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “V. Tiberio”, Università degli Studi del Molise; 2Azienda Sanitaria Regionale del Molise – A.S.Re.M.

Introduzione. L’antibiotico-resistenza (AMR) è un fenomeno multifattoriale determinato da diverse cause, tra cui l’uso inappropriato degli antibiotici ha un ruolo rilevante. Nell’ambito di uno studio trasversale (Point Prevalence Survey, PPS) sulle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA), è stato anche valutato il consumo di antibiotici in tre ospedali pubblici per acuti della regione Molise al fine di individuare i punti critici e le strategie per il miglioramento dell’appropriatezza prescrittiva. Materiali e Metodi. Lo studio è stato condotto in tre ospedali, indicati con A, B e C, utilizzando il protocollo standardizzato dell’European Center for Disease Control (ECDC) che, oltre a caratteristiche a livello ospedaliero, di reparto e paziente, ha permesso di raccogliere dati relativi alla terapia antibiotica (molecole, somministrazione e dosaggio, indicazione terapeutica e motivazione della prescrizione). È stata effettuata un’analisi descrittiva e univariata utilizzando i test Chi-quadrato o Esatto di Fisher per variabili qualitative, mentre i test t di Student o ANOVA a una via sono stati applicati per quelle quantitative. Risultati. Sono stati arruolati in totale 364 pazienti (183, 84 e 95 rispettivamente per gli ospedali A, B e C). Al momento della rilevazione il 22,8% dei pazienti arruolati era sottoposto a trattamento antibiotico a scopo profilattico, il 45,6% per terapia e il 31,6% per motivi differenti o non noti, con un’elevata ma simile proporzione nei tre ospedali, rispettivamente del 43,7% nell’ospedale A, 43% in B e 48,4% in C. Nell’ospedale A, il 36,5% degli antibiotici è stato prescritto per il trattamento di infezioni acquisite in comunità ed il 26% per profilassi chirurgica di almeno 3 giorni. Quest’ultima è stata l’indicazione al trattamento più frequente (87,5%), seguita dal 13,6% sia per profilassi medica, sia per ICA, nell’ospedale B. Nell’ospedale C, il 33% degli antibiotici è stato prescritto per il trattamento delle infezioni comunitarie e il 19% per motivazioni indeterminate. Le cefalosporine di 3a generazione sono state le classi di antibiotici maggiormente impiegate nell’ospedale A e B (20,8% e 40,9%), seguite da associazioni di penicilline e inibitori di β-lattamasi (18,8% e 31,4%). Queste ultime sono state, invece, le più utilizzate nell’ospedale C (28,1%). Nell’ospedale A, il ricorso alla terapia antibiotica è stato associato alla degenza nei reparti di Riabilitazione, Terapia Intensiva e specialità chirurgiche, oltre che a McCabe score, età dei pazienti e presenza di catetere venoso periferico, centrale e urinario. La presenza di questi ultimi due è stata correlata al trattamento antibiotico anche nell’ospedale C, insieme a ICA, intervento chirurgico e durata di degenza. Tali fattori sono stati inoltre correlati alla terapia antibiotica somministrata nell’ospedale B, oltre al ricovero in reparti di specialità chirurgiche. Conclusioni. L’uso di antibiotici negli ospedali esaminati è risultato superiore rispetto alla prevalenza stimata (30,5%) nell’ultimo PPS condotto dall’ECDC negli ospedali europei per acuti. L’analisi ha evidenziato una differente distribuzione delle motivazioni per il trattamento con antibiotici nei tre presidi, in parte condizionata dalla funzione del nosocomio, hub o spoke, e dalle specialità medico-chirurgiche attive. La somministrazione a scopo profilattico per 3 giorni dopo un intervento chirurgico è risultata molto frequente negli ospedali A e B, sebbene evidenze riportino che una singola dose di antibiotico somministrata entro 120 minuti dall’incisione chirurgica risulti soddisfacente e priva di rischi connessi all’AMR che potrebbero, invece, presentarsi con la profilassi peri-operatoria oltre 24 ore dall’intervento. In linea con altri studi italiani, le cefalosporine di 3a generazione sono state prescritte maggiormente per il trattamento delle infezioni comunitarie, sebbene siano state utilizzate anche per profilassi chirurgica, il cui uso è sconsigliato potendo essere associato allo sviluppo di AMR. I risultati dello studio sottolineano la necessità di implementare la stewardship antimicrobica per migliorare l’appropriatezza prescrittiva e ridurre la comparsa di AMR.


P2.

Ospedalizzazioni con infezione da Clostridioides difficile in Veneto

S. Bellio, C. Barbiellini Amidei, U. Fedeli, E. Schievano,
F. Avossa, M. Saia

Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. L’infezione da Clostridioides difficile (CDI) è una delle principali infezioni nosocomiali, sebbene sia in aumento la quota imputabile ad acquisizione in comunità. In diversi Paesi Europei è stata descritta una riduzione nell’incidenza di malattia tra il 2005 ed il 2015 e attualmente non è presente una sorveglianza attiva a livello né nazionale che regionale. Con l’obiettivo di dimensionare le ospedalizzazioni con CDI nel Veneto è stato condotto uno studio osservazionale retrospettivo. Metodi. Avvalendosi dell’archivio informatizzato anonimizzato delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) in relazione al periodo 2007-2020, sono state identificate tutte le dimissioni con diagnosi principale o secondaria di CDI (cod. ICD9-CM: 008.45) dagli ospedali pubblici e privati accreditati del Veneto. Al fine poi di dimensionare la quota di CDI acquisite nel corso della degenza ospedaliera, è stato condotto un approfondimento sui dati relativi all’ultimo triennio, in virtù della possibilità di conoscere se le diagnosi di dimissione fossero presenti al momento del ricovero, grazie all’integrazione del flusso SDO intervenuta con DM n. 261 del 7.12.2016. Per le analisi statistiche sono stati applicati il test Chi-quadro ed il test di Wilcoxon-Mann-Whitney per campioni indipendenti. Risultati. L’incidenza e l’incidenza cumulativa presentano un picco nel 2015, pari rispettivamente a 2,37 CDI/10.000 giorni-paziente e a 17,7 CDI/10.000 dimissioni, con una progressiva riduzione negli anni successivi. La CDI riguarda principalmente il genere femminile (60,5%) e gli ultrasettantacinquenni (74%). In circa il 32% delle SDO, la diagnosi di CDI era riportata come principale, in particolare nel genere femminile (35% Vs 27,7%). La mortalità intra-ospedaliera, dopo un iniziale aumento ed un picco nel 2016, presenta valori sostanzialmente stabili ma piuttosto elevati, pari al 12-13%, attestandosi al 13,6% nel 2020; non evidenti differenze per genere con un aumento correlato all’età, per raggiungere il 15% tra gli ultraottantacinquenni. L’età media dei soggetti dimessi vivi (77,5 ± 16,5 anni) risulta consistentemente minore rispetto a quella dei soggetti deceduti durante il ricovero (83,3 ± 9,8 anni) e tale differenza si è accentuata nel corso degli anni. Nell’ultimo triennio la maggioranza delle infezioni (75,4%) era già presente all’ingresso in ospedale e in questi casi è risultata anche essere la diagnosi principale nel 34,5% dei casi. La quota di CDI già presente al momento del ricovero è massima nei giovani e giovani adulti (0-44 anni; 88,5% Vs. 74,7%). L’insorgenza dell’infezione durante il ricovero non sembra essere associata ad un esito infausto della malattia (p=0,199). Tuttavia emerge una differenza statisticamente significativa (p<0.001) nella durata della degenza, calcolata escludendo i deceduti, la cui mediana è di ben 9 giorni più lunga nei pazienti che hanno contratto l’infezione in ospedale (25 Vs 16 gg.). Conclusioni. Questo studio evidenzia un andamento dell’incidenza di CDI in diminuzione, in linea con quanto riportato in altri Paesi Europei, sebbene in questi ultimi la riduzione di CDI sia iniziata negli anni 2000. Fermo restando i possibili limiti derivanti dall’utilizzo della SDO per tali analisi, nell’ultimo triennio emerge una consistente quota di CDI (75,4%) già presente all’ingresso, evidenziando un’importante diffusione dell’infezione in ambito territoriale, particolarmente allarmante per i soggetti più a rischio.


P3.

Validazione di un sistema robotico sperimentale
per la disinfezione con radiazione UV-C delle aree critiche sanitarie

B. Tuvo,2 L. Coviello,4 M. Baroni,3 M. Petrillo,3 F. Cavallo,1 
B. Casini
2

1Dipartimento di Ingegneria Industriale,Università di Firenze e Istituto di BioRobotica, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa; 2Dipartimento di Ricerca Translazionale, N.T.M.S., Università di Pisa; 3Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Massa Carrara; 4Istututo di Biorobotica, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

Introduzione. La disinfezione ambientale, di aria e superfici, mediante radiazione UV-C ha trovato ampio utilizzo negli ultimi anni e recentemente è stata proposta per il controllo della trasmissione di SARS-CoV-2. L’utilizzo di sistemi automatizzati garantisce la ripetibilità del processo, riducendo la possibilità di errore da parte dell’operatore e la tracciabilità delle operazioni effettuate. Ad oggi tuttavia questo impiego non è supportato da un’adeguata normativa di riferimento, sia per la valutazione dell’efficacia che per la sicurezza dell’operatore, come segnalato dal Sistema Comunitario di Allerta Rapido della Commissione Europea nel luglio 2020. A tal fine, è stato condotto uno studio di validazione secondo standard internazionale di un sistema robotico sperimentale per la disinfezione delle aree critiche sanitarie. Metodi. La piattaforma robotica MoveR-UVC, Co-Robotics, in grado di navigazione autonoma, alloggia nove lampade a mercurio a bassa pressione (360 W/h). Il test di calibrazione è stato condotto attraverso la misura della dose emessa, su superfici ortogonali o parallele alla sorgente, con radiometro a sensore UVGI (RMD Pro, Opsytec Dr. Gröbel, DE). L’efficacia antimicrobica è stata valutata secondo lo standard ASTM E3135-18. In ambiente sanitario, il robot è stato utilizzato in un ambulatorio per la pre-ospedalizzazione presso un ospedale di alta specialità per la cura delle patologie cardiovascolari, confrontando la sua efficacia rispetto al protocollo operativo standard di sanificazione (POS) applicato in un ambulatorio con la stessa destinazione d’uso. Dodici superfici ad alta frequenza di contatto sono state sottoposte a campionamento microbiologico secondo ISO 14698-1, dopo attività sanitaria, dopo POS e UV-C (2 cicli da 5 minuti), per un totale di 167 siti sui quali è stata misurata la dose emessa in condizioni statiche e di navigazione autonoma. Risultati. Applicando lo standard ASTM E3135-18, dopo 5 minuti a 194,57 mJ/cm2 è stata osservata una riduzione rispettivamente di 6,05 Log e 6,50 Log (100%) per S. aureus ATCC 25923 su acciaio AISI 316 e policarbonato. Sugli stessi materiali, P. aeruginosa ATCC 10145 ha mostrato una riduzione di 6.19 Log e 6.17 Log. Gli stessi valori di riduzione si sono osservati anche per gli altri tempi di esposizione e alla distanza di 1,50 cm. Anche con 1 minuto di esposizione la riduzione è stata del 100%, per entrambi i ceppi testati. La riduzione è scesa al 96,3% (1,43 Log) e 98,5% (1,82 Log) a 115,25 mJ/cm2/3 min, mentre al 98,5% (1,8 Log) e 74,5% (0,6 Log) a 35,93 mJ/cm2 /1min per S. aureus. In ambiente sanitario, 76,5% (36/47) siti sono risultati positivi dopo applicazione del POS mentre dopo POS+UV-C il 16,2% (6/37). I valori medi di carica riscontrati dopo POS e dopo POS+UV-C sono stati pari a 2,87±5,69 e 0,22±0,54, rispettivamente, con valori minimi pari a 1 UFC/cm2 e massimi pari a 36 UFC/cm2 dopo POS, mentre dopo POS+UV-C valori minimi pari a 1 UFC/cm2 e massimi pari a 2 UFC/cm2. Sui siti maggiormente contaminati si è registrata una riduzione di 2Log con una dose media di 33,40 mJ/cm2. Conclusioni. La validazione di nuovi sistemi robotici risulta essenziale nella stima della loro effettiva capacità di implementare i protocolli di sanificazione standard. Il dispositivo a UVC testato ha dimostrato avere efficacia sulla riduzione della contaminazione ambientale riducendo il rischio di rilevare patogeni responsabili di infezioni nosocomiali. Un’ulteriore valutazione incentrata sulla riduzione delle ICA è di fondamentale importanza al fine di migliorare l’appropriatezza degli investimenti economici sostenuti dalle amministrazioni pubbliche.


P4.

Analisi epidemiologica dei casi di Candida auris in terapia intensiva e nei reparti di medicina dell’IRCCS Ospedale Policlinico S. Martino di Genova dal 01/01/2019 al 30/06/2021

A. Bocchio,1 D. Olobardi,1 A. Fiorano,1 M. Pinacci,1 
E. Marcenaro,
1 R. Amato,1 E. Costa,1 I. Giberti,1 R. Uccheddu,1 
A. Battistini,2 D. Bellina,
2 B. Guglielmi,2 A. Talamini,2 
R. Ziferro,
2 M. Paoletti,2 V. Daturi,2 F. Scola,2 A. Orsi,1 G. Icardi1

1Dipartimento di Scienze della Salute, Università degli Studi di Genova, Genova; 2Unità di Igiene, Ospedale Policlinico San Martino IRCCS, Genova

Introduzione. Tra le infezioni correlate all’assistenza, la Candida auris rappresenta una minaccia emergente per la salute globale a causa della sua difficile identificazione, della resistenza intrinseca agli antimicrobici e della lunga persistenza nel paziente colonizzato. Abbiamo condotto un’analisi epidemiologica per valutare la crescita e la diffusione di questo patogeno presso l’IRCCS Ospedale Policlinico S. Martino di Genova e adottare le necessarie misure preventive. Metodi. Sono stati analizzati tutti i risultati microbiologici nel periodo 1° Gennaio 2019 - 30 Giugno 2021; di questi sono stati presi in considerazione tutti i campioni che abbiano evidenziato una positività per C. auris da tampone cutaneo, broncoaspirato, lavaggio broncoalveolare, urinocoltura ed emocoltura. Un database dei pazienti associati a tali campioni è stato compilato con i dati raccolti dalle cartelle cliniche dell’Ospedale. Risultati. Nel periodo Gennaio 2019- Giugno 2021 sono emersi 187 pazienti associati ad una positività per C. auris. Di questi 127 erano maschi, mentre 58 femmine, con un’età mediana di 65 anni. Il primo caso è stato registrato nel maggio 2020; diversi casi sporadici sono stati trovati da Maggio 2020 ad Ottobre 2020, seguiti da una crescita esponenziale in concomitanza della seconda ondata pandemica di Covid-19 (Novembre 2020- Marzo 2021). In seguito si è assistito ad una diminuzione fino a Giugno 2021. Il tempo mediano trascorso dal ricovero all’esecuzione di un test positivo per C. auris è di 18 giorni con un tempo mediano per l’elaborazione del campione di 4 giorni. Dei 187 pazienti positivi per C. auris, l’87,7% si è positivizzato in un reparto di terapia intensiva. I principali fattori di rischio comuni erano: intubazione 80,6%, cateterismo venoso centrale 93%, cateterismo venoso periferico 94,6%, cateterismo urinario 95,7% e intervento chirurgico recente 36%. Dei 187 pazienti positivi per C. auris 72 sono deceduti (38,5%). Il tempo mediano tra il ricovero e la morte del paziente è di 36,5 giorni con un tempo mediano tra la positività a Candida auris e il decesso di 14,5 giorni. La letalità tra i pazienti che soffrivano di candidemia è del 40%, mentre la letalità dei pazienti con tampone cutaneo positivo o candidosi polmonare è del 38,1%. Tra i 187 pazienti positivi per C. auris 81 (43,3%) presentava una positività per SARS-Cov-2; in nessun caso l’infezione da SARS-CoV-2 è stata successiva a quella per C. auris. Dei 35 pazienti con candidemia, 19 (54%) presentavano anche positività per SARS-CoV-2, mentre dei 152 senza candidemia, 64 (42%) presentavano positività per SARS-CoV-2. Dei 14 pazienti deceduti con candidemia 9 (64%) presentavano una positività per SARS-CoV-2, mentre dei 58 pazienti deceduti senza candidemia 27 (47%) presentavano una positività per SARS-CoV-2. Conclusioni. La pandemia di Covid-19 ha reso chiara l’importanza delle misure igieniche, ma l’attenzione posta sulle misure di protezione personale potrebbe aver portato ad un peggioramento della sanificazione di routine facilitando l’insorgenza di agenti patogeni trasmessi per contatto. La concomitante infezione da SARS-CoV-2 e C. auris pone un grande problema logistico rendendo difficili i trasferimenti ospedalieri e la disinfezione terminale degli ambienti con un aumentato rischio di colonizzazione ospedaliera. Applicare un protocollo specifico di gestione dei pazienti affetti da C. auris basato sull’isolamento del paziente, tracciamento e screening dei contatti, management del letto e disinfezione ambientale giornaliera e dei dispositivi medici tra un paziente e l’altro con prodotti a base di cloro può rappresentare un possibile mezzo di contenimento di questa HAI.


P5.

Andamento delle batteriemie da Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) presso l’ospedale di Cremona, 1996-2021

A. Pan, G. Chiodelli, G. Maghini, M. Davidel, C. Balotta,
F. Bianchi, L. Cimardi, P. Contini, S. Dal Zoppo, A. Ferraresi,
L. Ferrari, M. Lupi, M. Milesi, S. Missorini, F. Pezzetti, F. Sagradi, A. Zoncada, S. Testa

U.O. Malattie Infettive, ASST Cremona

Introduzione. Lo Staphylococcus aureus meticillino-resistente (MRSA) rappresenta uno dei principali problemi epidemiologici del nostro Paese. Presso l’ospedale di Cremona è attivo dal 1997 un programma di controllo delle infezioni da MRSA, che comprende un sistema di sorveglianza delle batteriemie. Presentiamo qui i dati relativi all’andamento delle batteriemie da MRSA (B-MRSA) dal gennaio 1996 al giugno 2021. Metodi. Sono stati identificati tutti i pazienti con una B-MRSA ricoverati presso l’ospedale di Cremona. Non sono stati considerati nuovi episodi batteriemici gli isolamenti che si sono verificati nello stesso paziente entro 30 giorni dall’episodio precedente. A partire dal 2014 si è classificata l’origine delle B-MRSA: quelle identificate entro le 48 ore dal ricovero sono state classificate come comunitarie, quelle identificate >48 ore dopo il ricovero come nosocomiali. Sono stati calcolati l’incidenza dei casi per 10.000 giornate di degenza (10.000 g deg) sia mensile sia trimestrale, la media generale e la media mobile su base semestrale. Si è inoltre valutato l’impatto di eventi diversi sull’andamento delle B-MRSA: 1. Progetto di controllo dello MRSA (1997); 2. Progetto le Cure pulite sono cure più sicure (2007); 3. Progetto internazionale MOSAR su MRSA (2010); 4. Progetto Igiene mani obiettivi aziendali RAR (2012); 5. Corso di gestione dei cateteri venosi centrali (2013); 6. Intervento di politica degli antibiotici in medicina (2014); 7. Intervento per il controllo di MRSA in nefrologia (2014); 8. Pandemia di Covid-19 (2020). Risultati. Dal 1996 al 2021 sono state identificate 435 B-MRSA. Il numero annuale più elevato di casi è stato 29, registrato nel 2009, mentre il numero più basso è stato di 5 nel 2000. La media del periodo di studio è stata di 1,18 casi per mese. Le incidenze mensili e trimestrali più alte si sono osservate nel maggio 2020 e nel secondo trimestre 2020, rispettivamente con 6,12/10.000 g deg e 4,14/10.000 g deg. L’analisi dell’origine, comunitaria o nosocomiale, delle B-MRSA, ha evidenziato che su 154 casi, 96 (62%) erano da considerarsi comunitarie. Gli interventi implementati nel tempo sono risultati di norma associati ad un riduzione delle B-MRSA. In particolare, la sequenza di diversi interventi di prevenzione e controllo delle infezioni (PCI) e di buon uso degli antibiotici ha permesso di ottenere nel 2014 incidenze inferiori alla media, partendo da incidenze elevate osservate nella seconda metà del 2012, durante il quale si era osservata la media mobile semestrale più elevata, oltre 2,5/10.000 g deg. L’incidenza trimestrale è risultata inferiore rispetto alla media di tutto il periodo in 22/24 (83%) trimestri nel periodo 1996-2001, in 12/24 (50%) trimestri nel periodo 2002-2007, in 11/24 (46%) trimestri nel periodo 2008-2013, in 8/24 (33%) trimestri nel periodo 2014-2019 e in 3/6 (50%) trimestri dal 2020 al 2021. La pandemia di Covid-19 è risultata associata all’incidenze mensile più elevata osservata nel maggio 2020: 6,12/10.000 g deg. A partire dal luglio 2020 l’incidenza trimestrale di B-MRSA è calata ed è rimasta compresa fra 0,8 e 1,62 casi/10.000 g deg. Conclusioni. Nel corso di oltre 25 anni di controllo e di sorveglianza delle infezioni da MRSA presso l’ospedale di Cremona si è osservato un tendenziale incremento delle B-MRSA, caratterizzato però da cali anche significativi in concomitanza ad interventi specifici su MRSA o più in generale di prevenzione e controllo delle infezioni e di buon uso degli antibiotici. Nei periodi in cui non si sono implementati progetti specifici o generali, l’incidenza di B-MRSA è andata progressivamente aumentando. La pandemia di Covid-19 è risultata associata alle incidenze più elevate osservate nei 25 anni di studio, ma a questi elevati valori è seguito un rapido ritorno ai valori pre-pandemia. In conclusione, l’implementazione di programmi di PCI e sul buon uso degli antibiotici può permettere di contenere la diffusione di MRSA e dovrebbe quindi essere organizzato continuativamente in tutti gli ospedali. L’impatto del Covid-19 sulle B-MRSA è stato rilevante, ma limitato nel tempo.


P6.

Riduzione dei tassi di contaminazione e del turnaround time delle emocolture nel Dipartimento di Emergenza dell’Area Metropolitana di Roma

M. Ballardini,2 B. Palazzotti,2 V. Di Carlo,2 S. Emili,2 S. Paoletti,2 E. Piombino,2 M.L. Schiavone,2 A. Serse,2 A. Giona,2 
A. Tamburro,
2 R. Di Matteo,1 M. Magnanti,1 M. Meledandri3

1UOC Medicina d’Urgenza e Pronto Soccorso DEA San Filippo Neri Asl Roma 1; 2UOC Microbiologia e Virologia Ospedale San Filippo Neri- Dipartimento dei Laboratori ASL Roma1; 3UOC Microbiologia e Virologia Ospedale San Filippo Neri-Dipartimento dei Laboratori ASL Roma1

Introduzione. La sepsi è un’infezione grave con una elevata mortalità nel mondo. Il Global Burden of Disease Study ha riportato che nel 2017 sono stati stimati 48,9 milioni di casi di sepsi. Sono stati registrati circa 11 milioni di decessi, che rappresentano il 19,7% delle morti globali. In questo lavoro si descrivono i dati di un Dipartimento di Emergenza (DEA; San Filippo Neri) di un ospedale dell’area urbana Nord di Roma, interessato da un intervento formativo. Metodi. Il periodo analizzato è dal 2011 al 2020. La fonte dati è il Laboratory Information System (LIS), analizzato mediante software Mercurio (Dedalus). Nel 2017 è stato messo a punto presso il DEA un percorso del paziente settico in cui viene previsto un uso estensivo dell’emocoltura a scopo diagnostico, già al primo approccio del paziente al Pronto Soccorso. Sono stati programmati diversi incontri formativi sul tema, coinvolgenti il personale di assistenza e i clinici. Gli incontri sono proseguiti parallelamente al cambio di tecnologia delle emocolture. Infatti si è passati dal flacone BD Bactec al flacone BACT/ ALERT VIRTUO bioMerieux. In questa occasione la Microbiologia ha introdotto diverse misure per incidere sui TAT (Turn Around Time, cioè dei tempi che intercorrono tra l’arrivo dei campioni e la trasmissione dei referti) dei flaconi positivi e sui tassi di contaminazione, ritenuti fuori controllo dopo un’analisi preliminare. Le misure per ridurre il TAT dei flaconi positivi sono state: 1. Refertazione del Gram entro 1 ora dalla positività e refertazione dell’identificazione con MaldiTof su emocoltura (circa 70% delle emocolture positive). 2. Antibiogramma diretto da emocolture positiva dopo 5-6 ore con MIC su gradiente. 3. Lavorazione di >80% delle emocolture positive con un antibiogramma definitivo su colonia dopo 24-48 ore. Le misure proposte per ridurre il tasso di contaminazione sono state: 1. Focalizzazione sull’uso della clorexidina al 2% per l’antisepsi della cute. 2. Focalizzazione sull’importanza del volume di sangue da prelevare. 3. Prelievo regolare di 2-3 sets di flaconi per paziente, anche mediante promemoria sull’applicativo di richiesta. L’analisi dei dati ha riguardato da un lato l’ospedale San Filippo Neri, dall’altro il DEA. Per entrambi, sono stati analizzati i pazienti sottoposti ad emocoltura, la % di quelli positivi, i tassi di contaminazione, i tempi di positività, i microrganismi isolati e, tra questi, il numero dei multi resistenti. Risultati. Nel 2011 presso il DEA pochi pazienti (42) sono stati sottoposti ad emocoltura ed il loro numero negli anni non è aumentato fino al 2017. Il tasso di contaminazione all’inizio dell’osservazione era intorno al 3% per andare con gli anni ad aumentare fino al 8% nel 2017. I possibili effetti degli interventi formativi non si sono visti, se no dal 2018. I pazienti sottoposti ad emocolture sono cominciati ad aumentare da 67 nel 2017, a 236 nel 2018, 470 nel 2019, 325 nel 2020. La probabilità post test di questo esame era, all’inizio del periodo di osservazione, molto alta (57%) per poi diminuire in concomitanza con l’aumento di richiesta delle emocolture. Il tasso 2019 si è attestato a 23%, in coincidenza con un presumibile arruolamento di pazienti con probabili segni di infezione, ma non rientranti a rigore nella definizione di paziente settico. Complessivamente, il tasso di contaminazione si è ridotto, ritornando intorno al 3% nel 2019 nonostante un notevole aumento del numero delle emocolture richieste. I batteri maggiormente isolati sono Gram negativi (38% Escherichia coli) e 15% di Staphylococcus aureus e, dato molto interessante, direttamente al DEA sono stati individuate nel 2018 dodici batteriemie da MRSA e otto batteriemie da CRE e nel 2019 undici batteriemie da MRSA e quindici di CRE. Conclusioni. L’analisi dei dati ha messo in evidenza che l’individuazione di un percorso del paziente settico al DEA ha permesso di raggiungere importanti risultati. Per prima cosa l’obiettivo della Microbiologia di abbassare i tassi di contaminazione è stato raggiunto, offrendo un intervento educazionale che ha coinvolto la maggior parte degli operatori, mostrando delle immagini e presentando delle schede dei nuovi flaconi, focalizzandosi sulla fase di prelievo. Anche l’abbassamento del TAT sui flaconi positivi (in media di 7h nel post-intervento 2017-2020) è stato ottenuto, senza l’uso di presidi molto sofisticati e costosi (PCR single o multi target) non disponibili nel periodo in esame. I risultati di questo impegno non sono stati ancora calcolati in termini di terapie mirate sulla base degli antibiogrammi diretti. Un limite dell’intervento è che non è stato valutato un eventuale miglioramento del tempo di incubazione da prelievo, dal momento che già nella fase pre-intervento era disponibile un sistema satellite di incubazione a disposizione del DEA.


P7.

Trends nell’incidenza delle infezioni del sito chirurgico in Piemonte dal 2010 al 2019

A.R. Cornio, V. Bordino, C. Vicentini, C.M. Zotti

Università degli studi di Torino, Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche

Introduzione. Le Infezioni del Sito Chirurgico (ISC) aumentano significativamente gli eventi avversi e i costi sanitari, rappresentando quindi un importante problema di sanità pubblica. I programmi di sorveglianza si sono dimostrati efficaci nel ridurre i tassi di ISC. Nel 2008 il Piemonte ha introdotto un sistema di sorveglianza regionale secondo il protocollo del Centro europeo per la prevenzione e controllo delle malattie (ECDC) ed il protrocollo nazionale italiano (Sorveglianza Nazionale delle Infezioni del Sito Chirurgico, SNICh). Lo scopo di questo studio è di valutare le caratteristiche epidemiologiche delle ISC in Piemonte per il decennio 2010-2019. Metodi. È stato condotto uno studio di coorte prospettico osservazionale in 52 ospedali. La partecipazione alla sorveglianza da parte delle strutture è su base volontaria, viene condotta per un minimo di 3 mesi all’anno ed è incoraggiata la sorveglianza continua. Il protocollo nazionale si basa sul protocollo di rete ECDC HAISSI e applica le stesse definizioni per le ISC. I pazienti sottoposti agli interventi inclusi vengono identificati al momento del ricovero. Il personale addetto al controllo delle infezioni raccoglie dati demografici e clinici. I pazienti sono monitorati per 30 giorni dopo l’intervento o per 1 anno per interventi che prevedono l’impianto di materiale protesico. La sorveglianza post-dimissione viene effettuata attraverso visite postoperatorie nello stesso ospedale o attraverso un colloquio telefonico standardizzato. Sui dati raccolti nel decennio 2010-2019, è stata calcolata l’incidenza cumulativa di ISC per le due procedure chirurgiche più frequenti e continuamente monitorate, gli interventi sul colon (COLO) e di protesi d’anca (HPRO). I trends nell’incidenza di ISC su 10 anni sono stati stimati utilizzando la regressione lineare. Per i calcoli statistici è stato utilizzato il programma IBM SPSS Statistics. Risultati. Sono state monitorate un totale di 11.663 procedure COLO e 21.641 HPRO nei 10 anni considerati. L’incidenza cumulativa di ISC complessiva era di 8,12% per COLO e 1,51% per HPRO. Analizzando l’andamento delle ISC per COLO, è risultata una riduzione statisticamente significativa nei 10 anni considerati (R2 0,519; p 0,019), da 8,99% nel 2010 a 5,8% nel 2019, nonostante un incremento progressivo nel numero di interventi sorvegliati (823 nel 2010 vs. 1.491 nel 2019). Per HPRO invece non è stato evidenziato nessun trend significativo (R2 0,135; p 0,295), nonostante un incremento progressivo nel numero di interventi sorvegliati (288 nel 2010 vs. 3.295 nel 2019). Conclusioni. È stata osservata una riduzione significativa nell’incidenza delle ISC per interventi sul colon a seguito della sorveglianza di un numero crescente di procedure. Questo risultato supporta l’efficacia della sorveglianza quale strumento per la prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, in parte anche dovuta all’effetto Hawthorne. Non è stato evidenziato invece nessun trend significativo per gli interventi di protesi d’anca, considerato che l’ISC Ratio si è sempre mantenuto molto basso e stabile nel tempo. Gli interventi di protesi d’anca in Piemonte presentano una bassa incidenza cumulativa di infezioni, paragonabile al dato ECDC del 2017 (1%).


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Decontaminazione ambientale e gestione di un cluster di Acinetobacter baumannii in una terapia intensiva Covid

A. Parnigotto,2 A. Ossi,2 M. Alberti,2 G. Mezzapelle,3 
S. Masiero,
3 C. Bovo,1 E. Marcon,1 F. Baratto2

1Direzione Medica; 2UOC Anestesia e Rianimazione; 3UOS Microbiologia; Ospedali Riuniti Padova Sud

Introduzione. Gli aspetti che rendono critica la gestione di pazienti colonizzati/infetti da germi MDR, oltre al profilo clinico-terapeutico, sono dovuti alla capacità di questi microorganismi di persistere a lungo su quasi tutte le superfici facendo risultare le normali procedure di sanificazione poco efficaci. Le misure di protezione individuale in un reparto COVID forniscono una “falsa sicurezza” agli operatori sanitari circa la possibilità di diffusione di germi MDR da una zona-paziente a un’altra. Nell’ospedale di Schiavonia (Covid hospital per la Provincia di Padova da inizio pandemia) l’unità di terapia intensiva ha visto un aumento della dotazione di posti letto (da 12 a 27), la riorganizzazione degli spazi e l’allestimento di percorsi pulito e sporco separati, la riorganizzazione del personale del comparto che in parte è stato recuperato da altre unità (emodinamica, gruppo operatorio). Tutti i posti letto sono stati allocati presso la stessa area di degenza in due zone distinte: terapia intensiva “A” (17 p.l.) e terapia intensiva “B” (10 p.l.). Metodi. Descriviamo la gestione clinica e organizzativa di un cluster di Acinetobacter baumannii (AB): da novembre ‘20 a marzo ’21 abbiamo ricoverato 176 pazienti Covid: 50 pazienti sono risultati positivi all’AB (3 a nov., 15 a dic., 29 a genn. e 3 a febb.) pari al 28%: di questi il 23% infetti e il restante 77% colonizzati. La gestione del cluster è stata impegnativa, specie per gli aspetti logistici di un reparto Covid. Si descrivono di seguito le azioni correttive messe in atto da parte del personale dell’Unità Operativa, in collaborazione con la Commissione Infezioni Ospedaliere e il Rischio clinico. Prima di tutto isolamento dei pazienti positivi ad AB per coorte; l’ambiente isolato è stato segnalato con apposita cartellonistica. Il numero degli operatori che accedevano alla zona di isolamento era limitato e dedicato per ogni turno. Tutto il personale indossava sovracamici sopra le tute biocontenitive, maschera chirurgica e visiera sopra la maschera FP3, con cambio guanti per ogni manovra. Sono stati previsti interventi formativi di gruppo e peer to peer tra operatori sul campo potenziando la sorveglianza nelle zone filtro di vestizione e svestizione. All’aumentare dei casi sono state create due coorti di pazienti utilizzando le due sub-unità: la terapia intensiva “A” (17p.l.) dedicata a pazienti Covid ma negativi ad AB e terapia intensiva “B” (10p.l.) a pazienti con doppia positività. Ogni unità aveva personale, attrezzature, presidi e farmacia dedicati e distinti, con delle barriere di separazione tra le due strutture. Abbiamo quindi trasferito tutti i pazienti con isolamento da AB presso la rianimazione “B”, riservando alla rianimazione “A” solo pazienti senza sovrainfezione da MDR. I ricoveri sono stati bloccati momentaneamente così da trasferire in 10 giorni tutti i pazienti della terapia intensiva “A” in terapia semintensiva o in reparto di malattie infettive, una volta stabilizzati. Liberata la rianimazione “A”, sono stati eseguiti tamponi ambientali sulle superfici più utilizzate (telefoni, computer, elettromedicali, etc.) con riscontro della presenza di Acinetobacter in gran parte di esse (positivi 18 su 32). Dopo aver eseguito sanificazione con procedure per alto rischio dell’ambiente, è stata attuata il giorno 8 febbraio 2021 una sanificazione e decontaminazione ambientale della durata di circa 10 ore mediante raggi ultravioletti e nebulizzazione intensiva di vapori di perossido di idrogeno ad alta concentrazione con sali d’argento (sistema Deprox©), con verifica immediata di efficacia del processo mediante sensori ambientali. Si tratta di una nuova soluzione no-touch per decontaminare superfici e attrezzature normalmente difficili da raggiungere con i metodi tradizionali: dopo sigillatura dei vari ambienti, garantisce una saturazione con vapori di perossido di idrogeno e sali d’argento. Risultati. Il controllo mediante tampone ambientale
(n° 32) eseguito il giorno successivo al trattamento non ha riscontrato la presenza di
Acinetobacter né di altri patogeni. A questo punto abbiamo riaperto la rianimazione “A” ai pazienti COVID+, ma senza isolamento di MDR, e mantenuto la rianimazione “B” dedicata ai pazienti COVID+ con contemporaneo isolamento di Acinetobacter. Conclusioni. Da marzo 2021 non abbiamo rilevato ulteriori casi di positività all’Acinetobacter nella nostra Terapia Intensiva. La nostra esperienza con la metodica di decontaminazione descritta è stata sicuramente positiva.


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Antibiotico-resistenza prima e durante l’epidemia
di Covid-19: cifre e trend da un ospedale italiano
negli ultimi 5 anni (2016-2020)

J. Garlasco,1 C. Bolla,2 M. Ricci,2 E.M.I. Marino,2 
B. Montanari,
2 C. Leli,3 A. Rocchetti3

1 Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università degli Studi di Torino, Torino; 2 Controllo e Prevenzione Infezioni Ospedaliere, Azienda Ospedaliera Nazionale “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria; 3 Dipartimento di Microbiologia, Azienda Ospedaliera Nazionale “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria

Introduzione. L’antibiotico-resistenza rappresenta un problema cruciale nel controllo e nella prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza in tutti i contesti, e in modo particolare laddove vi è una diffusa circolazione di organismi multi-resistenti. L’obiettivo di questo studio era quindi valutare l’andamento delle colonizzazioni e delle infezioni da batteri antibiotico-resistenti in un ospedale italiano nel quinquennio 2016-2020, con particolare attenzione agli outcome riscontrati nel 2020 durante la pandemia di COVID-19. Metodi. Dagli archivi del Dipartimento di Microbiologia dell’Ospedale “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo” di Alessandria sono stati raccolti i dati relativi agli anni 2016-2020, e sono stati calcolati i tassi di incidenza in rapporto alle giornate di degenza. Sono stati inclusi nello studio i nuovi casi incidenti di colonizzazione (intesa come presenza di un microorganismo all’interno dell’ospite, quale che fosse il distretto corporeo interessato) o infezione (presenza del microrganismo in distretti normalmente sterili, es. sangue, urina, liquor etc.) da batteri “Alert” sottoposti a sorveglianza nazionale (Acinetobacter baumannii, Enterococcus faecalis, Enterococcus faecium, Escherichia coli, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus, Streptococcus pneumoniae), sulla base dei criteri di resistenza stabiliti dal Ministero della Salute. I tassi di incidenza nel 2020 sono stati confrontati con quelli nel quadriennio 2016-2019 tramite il test per l’equivalenza delle proporzioni. Tutti i calcoli sono stati effettuati mediante il software statistico R (versione 4.0.3). Risultati. Nel periodo considerato, sono state riportate 3.003 colonizzazioni (di cui 2.075 infezioni clinicamente rilevanti) da parte di micro-organismi resistenti agli agenti antimicrobici. Si è registrato un trend generale di crescita, sia per quanto riguarda le colonizzazioni sia per le infezioni, con un’incidenza complessiva di 16.2 infezioni per 1.000 giorni di degenza (532 infezioni complessive) nel 2020, significativamente aumentata (p < 0.0001) rispetto alle 11.9 infezioni per 1.000 giorni di degenza (1.543 in totale) occorse nel periodo 2016-2019. Il confronto tra i tassi di incidenza nel 2020 (32.802 giorni di degenza) e nel quadriennio 2016-2019 (129.989 giorni di degenza complessivi) ha mostrato che il trend generale di incremento delle infezioni da microorganismi “Alert” è stato prevalentemente dovuto ad un cospicuo aumento delle infezioni da P. aeruginosa (passate da 1.68 a 4.24 infezioni per 1.000 giorni-paziente, p < 0.0001), A. baumannii (in aumento da 0.59 a 2.68 per 1.000 giorni-paziente, p < 0.0001) e K. pneumoniae (da 2.35 a 3.32 per 1.000 giorni-paziente, p = 0.0023).
Conclusioni. L’incidenza di colonizzazioni e infezioni da parte di batteri antibiotico-resistenti è risultata maggiore nel 2020 rispetto agli anni precedenti, in particolare per alcune specie Gram-negative. Questo può essere stato causato dalle difficoltà nell’applicazione di misure per il controllo delle infezioni ospedaliere durante la pandemia, oppure ad altri fattori legati all’epidemia che hanno impatto sull’ecologia ambientale. Questo trend sottolinea l’importanza dell’implementazione di misure di controllo e prevenzione delle infezioni, e dell’attuazione di un’attenta sorveglianza dell’uso di agenti antimicrobici.


P10.

Andamento del consumo di antibiotici presso l’Ospedale di Cremona 2015-2021: monitoraggio
degli indicatori del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza

G. Chiodelli, M. Tisi, A. Zoncada, F. Bianchi, P. Contini, S. Dal Zoppo, A. Ferraresi, M. Lupi, M. Mancini, M. Milesi, G. Maghini, F. Pezzetti, S. Storti, G. Zambolin, A. Machiavelli, A. Pan

U.O. Malattie Infettive, ASST Cremona

Introduzione. L’Italia è uno dei Paesi europei dove il problema della resistenza agli antibiotici è più critico. Un elevato consumo di antibiotici è associato alla selezione di antibiotico-resistenza: il monitoraggio di questo dato è quindi indispensabile. Fra gli 11 macro obiettivi del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza (PNCAR) due sono relativi al consumo ospedaliero di antibiotici: la riduzione >5% del consumo di antibiotici sistemici nel 2020 rispetto al 2016 e la riduzione >10% del consumo ospedaliero di fluorochinoloni (FQ) per lo stesso periodo. Presso l’ospedale di Cremona il monitoraggio del consumo di antibiotici è attivo dal 2006. Oltre al consumo totale e a quello di fluorochinoloni vengono monitorati il consumo di carbapenemi e di piperacillina-tazobactam. In questo studio presentiamo i dati relativi al consumo di antibiotici dal 2015 al 2021. Materiali e metodi. Lo studio è stato condotto presso l’Ospedale di Cremona, una struttura che in questi anni ha avuto fra i 390 e i 620 posti letto. Vengono presentati i dati relativi al consumo di antibiotici espressi in dosi definite giornaliere (defined daily doses - DDD) /100 giorni di degenza (DDD/100 g deg). Il consumo e il numero di giornate di degenza sono riferiti alla sola degenza ordinaria. Per calcolare la DDD è stato utilizzato il programma dell’Organizzazione Mondiale delle Sanità “ABC Calc”. I dati sono stati raccolti prospetticamente a cadenza trimestrale dal gennaio 2015 al giugno 2021. Sono stati verificati gli indicatori previsti dal PNCAR (consumo totale e di FQ) ed è stata eseguita un’analisi sul consumo di carbapenemi e di piperacillina-tazobactam. Risultati. Il consumo di antibiotici osservato presso l’ospedale di Cremona (POC) è passato da 62,2 DDD/100 g deg nel 2015 a 53,5 nel I semestre del 2021. Il consumo più elevato è stato osservato nel 2017 con 71,1 DDD/100 g deg. A partire dal 2019 il consumo di antibiotici è calato al di sotto di 60 DDD/100 g deg. Nell’anno e mezzo di pandemia di Covid-19 il consumo di antibiotici ha raggiunto i minimi valori osservati nei 78 mesi di studio: 58 DDD/100 g deg nel 2020 e 53,5 nel 2021. L’analisi relativa agli indicatori del PNCAR ha permesso di identificare un calo del consumo totale di antibiotici del 20%: da 67 a 53,5 DDD/100 deg (-13,5 DDD/100 deg). Il consumo di FQ è passato da 5,9 DDD/100 g deg nel 2016 a 3,1 nel 2019 per salire a 7,5 nel 2020 (+ 1,6 DDD/100 g deg, +27%). Se si analizza il consumo di FQ per l’intero periodo 2015-2021, si osserva un calo da 8 a 2,1 DDD/100 deg (-5,9 DDD/100 g deg, -74%). Il consumo di carbapenemi nel periodo in studio è passato da 2,4 a 4,8 DDD/100 deg (+2,4 DDD/100 deg, +100%). Il consumo di piperacilina-tazobactam è passato da 5,8 a 9,6 DDD/100 deg (+4,1 DDD/100 deg, +71%). Conclusioni. Nel corso di sei anni e mezzo di analisi sono osservati: a) un calo significativo del consumo totale di antibiotici, ridotto del 20%, ben quattro volte quanto richiesto dagli obiettivi del PNCAR; b) un calo drammatico del consumo di FQ, ridottosi del 74% (2015-2021), anche se nel periodo di analisi previsto dal PNCAR (2016-2020) si è osservato un incremento del 27%. La pandemia di Covid-19 rende l’interpretazione di questi dati non semplice in primo luogo perché i pazienti affetti da Covid-19 non presentano frequenti sovrainfezioni batteriche, quindi la diminuzione osservata potrebbe essere forse secondaria a questo fenomeno; contro questa ipotesi vi è il dato che la riduzione del consumo globale era presente già a partire dal 2019, prima della pandemia di Covid-19. L’elevato consumo di FQ osservato nel 2020 è ascrivibile al trattamento sistematico con questi farmaci, secondo le linee guida interne, durante il primo mese di pandemia. Una revisione delle linee guida già dal mese di aprile 2020 ha permesso di proseguire con la diminuzione del consumo di FQ in atto da anni (-74% fra 2015 e 2021). Desta preoccupazione l’incremento molto significativo del consumo di carbapenemi e di piperacillina-tazobactam: uno stretto monitoraggio dell’uso di questi preziosi farmaci nel prossimo futuro rappresenta il primo importante e non dilazionabile obiettivo di politica degli antibiotici da implementare nel nostro ospedale.


P11.

Epidemiologia degli enterobatteri con diminuita sensibilità ai carbapenemi: dieci anni di osservazione

R. Marrollo,2 L. Cavazzuti,1 M. Bardaro,2 P. Nardini,2 E. Carretto2

1Direzione Medica; 2Laboratorio di Microbiologia;
IRCCS Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, Azienda USL
di Reggio Emilia

Introduzione. Il diffondersi delle resistenze ai carbapenemici negli enterobatteri (CRE) ha imposto la messa in atto di procedure di sorveglianza attiva sulla circolazione e la diffusione di questi microrganismi. Linee guida per la prevenzione della diffusione di CRE, elaborate dall’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia Romagna, sono state applicate presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova, AUSL di Reggio Emilia - IRCCS, dall’agosto 2011. Vengono di seguito riportate le caratteristiche salienti della nostra realtà epidemiologica, relativa a un ospedale maggiore e cinque stabilimenti ospedalieri minori (1.500 posti letto per acuti). Metodi. Nella valutazione sono considerati gli isolati clinici e da campioni di sorveglianza. Lo screening per CRE è stato eseguito su tutti i pazienti ricoverati in reparti selezionati (ad alta criticità), su tutti i soggetti precedentemente ospedalizzati nei sei mesi antecedenti il ricovero e su tutti i contatti di caso. I tamponi rettali sono stati processati dopo arricchimento selettivo su McConkey addizionato di meropenem e semina su terreno di coltura cromogeno e selettivo (Thermo Scientific™ Brilliance™ CRE Agar). Tutti i microrganismi cresciuti sono identificati a livello di specie e su essi sono eseguiti test di sinergia mediante disco diffusione, antibiogrammi manuale e semiautomatizzato (Phoenix™, Becton Dickinson), nonché per i carbapenemi test di diffusione a gradiente (MIC Test Strip®, Liofilchem). La conferma della eventuale presenza di geni di resistenza più comuni (blaKPC, blaNDM, blaVIM, blaIMP-1, blaOXA-48) è eseguita dal 2015 utilizzando il test molecolare Xpert Carba-R®, Cepheid. Per i microrganismi isolati precedentemente si sono utilizzate metodiche home-made, cui si è ricorso anche in casi dubbi. A fini di elaborazione statistica è stato considerato un singolo isolato per distretto corporeo per anno per paziente. Risultati. Nel periodo agosto 2011–giugno 2021 sono stati eseguiti 73.975 tamponi rettali su 22.063 pazienti. Si sono isolati, in accordo ai criteri di inclusione sopra decritti, 885 isolati in 797 pazienti (3,61%). Gli isolati sono stati ottenuti da tamponi rettali (683), campioni urinari (131), emocolture (33), tamponi ferita e altri materiali (23), campioni respiratori (15). In 66 casi il microrganismo isolato è stato considerato responsabile di infezione (33 sepsi, 13 infezioni delle vie urinarie, 12 infezioni di ferita, 8 polmoniti). Per quanto concerne gli isolati, si è trattato principalmente di Klebsiella pneumoniae (KP, 717 isolati), Escherichia coli (EC, 101), Enterobacter cloacae complex (ECLO, 40), Klebsiella aerogenes (KA, 12), Citrobacter freundii (CF, 7), Klebsiella oxytoca (KO, 3), altri (5). Il gene blaKPC è risultato il più frequente, essendosi riscontrato in 468 isolati (432 KP, 25 EC, 1 KA), seguito da blaVIM, presente in 128 isolati (84 KP, 29 ECLO, 8 EC, 3 KO), da blaNDM in 53 (35 EC, 15 KP, 2 Providencia stuartii e 1 ECLO), da blaOXA-48 in 23 (16 KP, 5 EC, 1 ECLO, 1 CF). In 13 casi sono stati isolati due diversi geni di resistenza, più spesso blaKPC + blaVIM (7 casi), blaNDM + blaOXA-48 (3 casi). In un solo caso si è isolato un Escherichia coli blaIMP positivo, risultato positivo fenotipicamente, negativo al test molecolare Xpert Carba-R® e positivo alla biologia molecolare home made. In 209 casi la diminuita sensibilità ai carbapenemi è stata dovuta a meccanismi diversi dalla produzione di carbapenemasi (microrganismi ESBL+ e/o AmpC+, con o senza deficit di porine associato). Le sepsi sono state causate principalmente da KP (in 32 casi) e in un caso da KO. In 21 casi si è trattato di KP blaKPC +, in 8 di KP blaVIM +, in 3 di KP blaOXA-48 +. KO era portatrice del gene blaVIM. Con riferimento alla temporalità degli isolati, blaKPC, blaNDM, blaOXA-48 hanno evidenziato un andamento tendenziale costante nel tempo, al netto di piccoli outbreak non significativi, mentre blaVIM ha evidenziato un picco bimodale, con isolamenti maggiori prima del 2014 e dopo il 2018. Conclusioni. La nostra epidemiologia rappresenta quella di un setting a medio-bassa criticità e dimostra come il fenomeno della resistenza ai carbapenemi sia dovuto alla circolazione di più geni di resistenza. La sorveglianza microbiologica ha consentito un buon controllo della diffusione dei CRE e una mappatura puntuale delle aree di rischio, permettendo altresì un approccio terapeutico mirato alla tipologia di gene responsabile.


P12.

Colonizzazione da enterococchi resistenti
alla vancomicina, un problema con cui dobbiamo
fare i conti

M. Driutti,1 G. Giammarini Barsanti,1 R. Cocconi,2 L. Brunelli,2 
L. Arnoldo
2

1Dipartimento di Area Medica, Università degli Studi di Udine;
2SOC Accreditamento, Gestione Rischio Clinico e Valutazione delle Performance Sanitarie, Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale, Udine.

Introduzione. L’invecchiamento della popolazione italiana, il conseguente aumento delle patologie croniche e della richiesta assistenziale rappresentano una sfida costante per l’antimicrobial stewardship. Gli enterococchi sono batteri commensali Gram positivi, caratterizzati da un’estrema resistenza ambientale e dalla facilità nello sviluppare resistenza agli antibiotici. In particolare, i ceppi resistenti alla vancomicina (Vancomycin-resistant Enterococci VRE) sono ormai diventati ubiquitari in molti reparti ospedalieri per via delle caratteristiche sopra riportate. In questo abstract vogliamo portare l’esperienza della Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale (ASU FC) nell’ambito della notifica delle VRE quale spunto di riflessione su questo problema. Metodi. Sono stati presi in esame, retrospettivamente, i dati provenienti dal sistema di notifica dei microrganismi multi-resistenti di ASU FC nel periodo gennaio- giugno degli anni dal 2018 al 2021. In particolare, sono state raccolte le segnalazioni di VRE provenienti dal Presidio Ospedaliero Santa Maria della Misericordia di Udine (struttura di 3° livello da 700 posti letto c.a). I dati raccolti sono stati stratificati per sesso, età, tipo di campione e tipologia di reparto. Sempre a partire dagli stessi dati, incrociandoli con quelli riguardanti l’occupazione dei posti letto sono stati calcolati i tassi di incidenza durante il periodo di osservazione, con particolare attenzione rivolta ai reparti di terapia intensiva. Le incidenze tra il primo semestre del 2020 e il primo semestre del 2021 sono state confrontate; l’incidenza nel 2021 è stata confrontata con quella cumulativa dei tre anni precedenti. Sono stati infine individuati tre periodi di riferimento corrispondenti alle tre ondate COVID con un primo periodo che va dal 1° Gennaio 2020 al 30 Settembre 2020, un secondo periodo che va dal 1° Ottobre 2020 al 31 Gennaio 2021 e un terzo periodo che va dal 1° Febbraio 2021 al 30 Giugno 2021. Tali periodi sono stati calcolati in base ai periodi di massima e minima prevalenza di ricoverati positivi a SARS-COV2 a livello del nostro presidio ospedaliero. Risultati. Durante il periodo di osservazione, il numero totale di colonizzazioni da VRE riportati al sistema di sorveglianza è stato di 228 nuovi casi, di cui 192 individuati tramite tampone rettale. La maggioranza dei casi riportati (58%) è di sesso maschile e un’età media di 69 anni, mentre solo il 29% ha più di 75 anni. Il 31% dei casi è stato isolato in un reparto di terapia intensiva. Per quanto riguarda la distribuzione temporale dei casi, la maggior parte è riferita agli anni 2020 e 2021 con rispettivamente 22 e 165 casi. Per quanto riguarda i tre periodi di riferimento sono stati registrati 34 casi tra Gennaio e Settembre 2020, 38 tra Ottobre 2020 e Gennaio 2021 e 155 tra Febbraio e Giugno 2021. L’incidenza del periodo di osservazione, 896.599 giorni di ricovero, è risultata pari a 2,7 nuovi casi per 10.000 giorni di ospedalizzazione. L’incidenza del 2021 è significativamente superiore a quella del 2020, con un tasso di incidenza di 12,1 nel 2021 contro 1,6 nuovi casi per 10.000 giornate nel 2020 (p <0,001; IC 95%). Significativa è anche la differenza tra il 2021 e i tre anni precedenti (p <0,001; IC 95%) con un trend di incidenza in netto aumento con rapporto tra i due tassi di 8,7 e una differenza di 10,7. Differenze significative (p <0,001; IC 95%) sono state riscontrate anche tra le tre ondate COVID con un trend in netto aumento tra la prima ondata (tasso di incidenza calcolato in 1,65 casi per 10.000 giornate) e la terza (13,7 casi per 10.000 giornate). Conclusioni. L’aumento nell’incidenza di colonizzazioni da VRE che abbiamo osservato negli ultimi due anni rappresenta un segnale d’allarme importante che deve far riflettere sulla sostenibilità di un modello di cure basato sull’uso massivo di antibiotici ad ampio spettro. D’altra parte, l’aumento osservato potrebbe essere dovuto anche a una maggiore attenzione al tema delle malattie infettive legata alla pandemia da COVID-19 che potrebbe essersi tradotta in un aumento delle segnalazioni da parte dei reparti ospedalieri e in una maggiore frequenza dei tamponi di sorveglianza. Un’ altra possibile spiegazione potrebbe trovarsi nella diminuzione della compliance nell’ adottare le misure di isolamento da contatto per via di difficoltà logistiche causate dal massiccio afflusso di pazienti COVID 19.


P13.

Risultati dell’utilizzo di un sistema di sorveglianza sanitaria per infezione da SARS-CoV-2 nel personale
di un ospedale oncologico lombardo nel periodo
post vaccinazione

S. Capizzi, R. Passerini, S. Guerini, A. Moro, S. Grisanti,
S. Laurenza, G. Magon, L. Pase, F. Mastrilli

IRCCS Istituto Europeo di Oncologia, Milano

Introduzione. Da marzo 2020, a seguito della pandemia da COVID 19, l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano è stato designato dalla Regione Lombardia quale Hub oncologico con il compito di accogliere pazienti ed equipe chirurgiche inviate dalle altre Strutture impegnate in prima linea nella gestione dei pazienti COVID. L’obiettivo primario dell’Istituto è stato quello di preservare l’ospedale COVID-free, così da garantire prestazioni sanitarie sicure ai pazienti oncologici. Allo scopo, a gennaio 2021 è stata avviata la campagna vaccinale di tutto il personale ospedaliero, sanitario e non sanitario, che ha consentito il raggiungimento di una copertura vaccinale del 98.6% ed è stato implementato un modello di sorveglianza sanitaria per infezione da SARS-CoV-2 nel personale vaccinato. Scopo dello studio è descrivere i risultati dell’applicazione di questo modello nel periodo gennaio - giugno 2021. Metodi. La strategia di sorveglianza sanitaria nel personale ospedaliero vaccinato (2.296 soggetti, età 19-81 anni, età media 41 anni) è stata incentrata sui seguenti test: 1. sierologici: per testare lo sviluppo degli anticorpi è stato effettuato, con metodica ELISA, un dosaggio delle IgG anti SARS-CoV-2 a t0 (7 gg dalla seconda dose del vaccino Pfizer o 21 gg dalla prima dose del vaccino AstraZeneca) e a cadenza mensile, così da monitorarne la permanenza. Il valore soglia per la presenza degli anticorpi è stato fissato a 0.28 AU/ml: con valori al di sopra della soglia il personale è stato considerato responder (sviluppo di anticorpi dopo completamento del ciclo vaccinale) e protetto (permanenza del titolo anticorpale al di sopra del valore soglia). Con valori al di sotto è stato considerato non responder (mancato sviluppo di anticorpi dopo completamento del ciclo vaccinale) e non protetto (calo degli anticorpi al di sotto del valore soglia). 2. salivari: test molecolari per la ricerca dell’RNA virale su campione di saliva, più sensibili dei tamponi naso-faringei, in particolare sui soggetti asintomatici e/o con bassa carica virale. Sono stati eseguiti a cadenza mensile nel personale responder e protetto e a cadenza quindicinale nel personale non responder o non protetto. L’eventuale positività è stata confermata tramite test molecolare su tampone naso-faringeo. Risultati. A t0 la percentuale di soggetti responder al vaccino è stata pari a 98.8% e la mediana del titolo anticorpale è stata pari a 15.83 UA/ml. Nei controlli mensili è stata registrata una progressiva diminuzione della mediana del titolo anticorpale: t1=7.93 UA/ml; t2=3.46 UA/ml; t3=2.26 UA/ml; t4= 1.57 UA/ml e 17 (0.9%) soggetti hanno presentato un calo del titolo al di sotto del valore soglia. Il calo del titolo anticorpale non ha presentato differenze per genere mentre è risultato maggiore nelle fasce d’età più avanzate. In tutto il personale “non più protetto” la frequenza della sorveglianza sanitaria è stata incrementata da mensile a quindicinale. Tra i 2.296 vaccinati sottoposti a sorveglianza sanitaria sono stati identificati 17 casi (0.74%) di positività per SARS-CoV-2 al test molecolare salivare, di cui 10 casi (0.43%) confermati con test molecolare su tampone rino-faringeo. Nove casi sono stati registrati nei vaccinati con 2 dosi di vaccino Pfizer e un caso in un vaccinato con una dose di vaccino AstraZeneca. In 6 dei 10 casi confermati il numero di cicli di replicazione alla PCR è risultato <30 e 3 di essi sottoposti a sequenziamento sono risultati positivi per la variante VOC 202012/01, lineage B.1.1.7 (variante inglese). In tutti i casi di positività al SARS-CoV-2 post vaccinazione il titolo anticorpale era superiore al valore soglia. Tutti i casi positivi sono stati posti in isolamento e nessun caso secondario di infezione da SARS-CoV-2 è stato registrato nel personale dell’IEO. Conclusioni. Il sistema di sorveglianza implementato presso l’IEO si è dimostrato efficace nella classificazione del personale in relazione alla risposta alla vaccinazione, alla protezione conferita dagli anticorpi anti SARS-CoV-2 e alla rapida identificazione dei casi positivi al test molecolare. Ciò ha consentito di identificare il prima possibile i positivi, così da porli in isolamento fino ad esito negativo del test, e di preservare l’Istituto libero da focolai di COVID 19.


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Utilizzo di un sistema di rilevazione degli alert microbiologici per la notifica in tempo reale dei risultati dei test molecolari per SARS-CoV-2 in un hub oncologico

R. Passerini, S. Capizzi, S. Guerini, A. Moro, S. Laurenza,
S. Grisanti, E. Dossena, M. Mancini, S. Mauri, E. Meola,
C. Simone, G. Magon, F. Mastrilli

IRCCS Istituto Europeo di Oncologia, Milano

Introduzione. In corso di pandemia da COVID 19, la Regione Lombardia con la DGR 3553/20 ha designato l’Istituto Europeo di Oncologia (IEO) di Milano quale Hub della rete oncologica regionale con il compito di accogliere pazienti ed equipe chirurgiche inviate dalle altre Strutture impegnate in prima linea nella gestione dei pazienti COVID. L’obiettivo primario dell’Istituto è stato quello di mantenere l’ospedale COVID-free per poter garantire prestazioni diagnostiche, terapeutiche e assistenziali sicure ai pazienti oncologici regionali ed extraregionali, in quanto pazienti vulnerabili e particolarmente a rischio di gravi conseguenze in caso di infezione. Lo scopo dello studio è descrivere un sistema di alert finalizzato alla rapida comunicazione interna dei risultati dello screening e della sorveglianza per infezione da SARS-CoV-2 nei pazienti e nel personale sanitario, così da garantire l’immediata attivazione delle misure di contenimento. Metodi. Per ridurre al minimo il rischio di penetrazione e diffusione del virus all’interno dell’IEO, a tutti i pazienti in fase di prericovero, e comunque non oltre le 72 ore precedenti il ricovero stesso, è stata effettuata la ricerca molecolare del SARS-CoV-2 su tampone rinofaringeo e, in caso di positività, ne è stato differito il ricovero fino a negativizzazione del test molecolare. Il personale sanitario è stato sottoposto a test molecolare ogni 14 giorni. In aggiunta allo screening periodico, è stata effettuata una stretta sorveglianza sanitaria a seguito della quale, in caso di sintomi suggestivi per COVID 19 o rilievo anamnestico di contatto stretto con soggetti COVID positivi, il personale è stato immediatamente allontanato dall’ospedale e sottoposto alle misure di quarantena/isolamento, con rientro in Istituto a negatività del test molecolare. Per garantire l’esecuzione di un alto numero di test molecolari per SARS-CoV-2, l’IEO si è dotato di un Laboratorio (CORONALAB) ad alta processività, autorizzato dalla Regione e di un sistema per comunicare l’esito dei test in tempo reale. Allo scopo, è stato utilizzato il software Virtuoso Plus (Dedalus-Metafora), in grado di estrarre direttamente dal sistema di laboratorio gli esiti validati e di notificarli tramite e-mail. Tale software, già in uso per la rilevazione e notifica degli alert microbiologici, è stato parametrizzato in maniera da estrarre ogni ora i risultati dei tamponi eseguiti e inviarli in automatico ai destinatari incaricati delle notifiche e cioè alla Direzione Sanitaria (DS), alla Medicina del Lavoro (MdL) e al Dipartimento delle Professioni Sanitarie (DPS). Risultati. Tra marzo 2020 e giugno 2021 sono stati eseguiti 44.854 test molecolari (22.134 sui pazienti e 22.720 sui dipendenti). Sono risultati positivi 1.401 test (750 sui pazienti e 651 sui dipendenti) pari a 523 pazienti e 382 dipendenti positivi. Gli esiti dei test sono stati comunicati entro 1 ora ai pazienti da parte del personale afferente al DPS e ai dipendenti da parte del personale afferente alla MdL. La DS ha provveduto all’effettuazione dell’indagine epidemiologica con ricerca dei contatti e alla notifica dei casi entro 24h sul portale regionale sMAINF. Per i pazienti oncologici differibili è stato riprogrammato il ricovero all’esito negativo del test molecolare. I pazienti COVID positivi non differibili sono stati invece indirizzati presso i Centri COVID della rete. Tutti i dipendenti positivi sono stati posti in isolamento e il rientro in servizio è avvenuto solo a esito negativo del test molecolare. Sono stati effettuati nel periodo considerato 517 ricoveri e 502 interventi chirurgici per i pazienti provenienti dai Centri Spoke della rete. Conclusioni. La rapida notifica degli esiti dei tamponi entro 1 ora dalla loro disponibilità (anche in orario serale o festivo) ha consentito di: 1. evitare l’ingresso in Istituto dei pazienti con infezione da SARS-CoV-2, confermando o riorganizzando i ricoveri e gli interventi chirurgici in funzione degli esiti dei test molecolari; 2. identificare il prima possibile il personale positivo così da isolarlo fino ad esito negativo del test; 3. preservare l’IEO libero dal COVID 19.


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Whole Genome Sequencing per la sorveglianza
della trasmissione plasmidica in
K. pneumoniae

G. Lorenzin,1 F. Gona,3 F. Saluzzo,1 A. Spitaleri,1 P. Scarpellini,4 
M. Moro,
2 D.M. Cirillo1

1Divisione di Immunologia, Trapianto e Malattie Infettive; 2 Controllo delle Infezioni; 3 Laboratorio di Microbiologia e Virologia; 4 Unità di Malattie Infettive e Tropicali, IRCCS Istituto Scientifico San Raffaele, Milano

Introduzione. Le infezioni nosocomiali sostenute da Klebsiella pneumoniae (KP) resistente ai carbapenemi rappresentano una continua sfida per i sistemi di sorveglianza. La sorveglianza epidemiologica molecolare, ormai routinaria in molti centri italiani, si concentra prevalentemente sull’analisi cromosomica, nonostante i plasmidi rappresentino uno dei principali mezzi di diffusione di geni associati all’ antibiotico resistenza, specialmente tra le Enterobacteriaceae. Il principale meccanismo di resistenza ai carbapenemi trasmesso da plasmidi in Italia è la Klebsiella pneumoniae carbapenemasi (KPC) 2/3, ma il numero di isolati che presentano metallo-beta-lattamasi (in particolar modo New Delhi - NDM) è in aumento. Inoltre, i plasmidi possono trasportare molti altri fattori di virulenza oltre alle carbapenemasi, determinando lo sviluppo di ceppi ipervirulenti. L’identificazione di fattori di virulenza e di resistenza associati al “mobiloma” è essenziale per il controllo delle infezioni e per implementare gli opportuni protocolli di gestione antimicrobica nei reparti ospedalieri. Metodi. Alla fine del 2019 sono stati isolati presso il nostro centro quattro ceppi di KP resistenti ai carbapenemi, ma non KPC, da quattro diversi pazienti (denominati KP45-19, KP48-19, KP50-19, KP52-19) sensibili solo a colistina e tigeciclina. Tutti e quattro gli isolati erano positivi per la coproduzione di una metallo-beta-lattamasi e di una carbapenemasi tipo OXA-48. Gli isolati sono stati sottoposti a Whole Genome Sequencing (WGS) utilizzando una piattaforma Mini-seq Illumina (Illumina, USA). Il sequenziamento “long reads” è stato eseguito su piattaforma minION (Oxford, Nanopore). Al fine di ottenere il miglior assembly-consensus possibile, è stato scelto un approccio di assemblaggio ibrido. Risultati. Il Multi-Locus sequence typing ha determinato che KP45-19 apparteneva a ST14, KP48-19 a ST15 e i due ceppi KP50-19 e KP52-19 appartenevano a ST383. Utilizzando AMRFinderPlus abbiamo caratterizzato i ceppi per la presenza di carbapenemasi. KP45-19 e KP48-19 presentavano i geni blaOXA-48 e blaNDM-1, KP50-19 blaNDM-5 e blaOXA-48 e KP52-19 blaOXA-48, blaNDM-5 e blaNDM -1. Dall’analisi dei plasmidi è risultato che KP45-19-NDM1, KP48-19-NDM1 e KP52-19-NDM1 condividevano lo stesso plasmide. blaNDM-5 è stato rilevato solo negli isolati appartenenti a ST383. KP50-19-NDM5 e KP52-19-NDM5, sono risultati plasmidi >350Kbp, carriers di molti geni di virulenza. Tutti i ceppi erano caratterizzati dalla presenza del gene di virulenza rmpA/rmpA2, che codifica per l’up-regolazione della capsula e regola il fenotipo iper-mucoso. Sono stati identificati altri fattori di virulenza, come la perdita di OmpK35, OmpK36, la pompa di efflusso AcrAB, il trasportatore ABC del ferro, le permeasi putative di allantoina e la proteina legante il ferro periplasmatico.
Conclusioni. Solo utilizzando un approccio ibrido, con sequenziamento sia “short reads” che “long reads”, è stato possibile ottenere la struttura completa dei plasmidi e identificare numerosi geni di resistenza e virulenza in cloni non riconosciuti come ipervirulenti. La presenza di OXA48 e di NDM1 e NDM5 su diversi plasmidi in un singolo ceppo è stata solo raramente riportata in letteratura, ma potrebbe favorire l’evoluzione e la diffusione delle carbapenemasi non KPC nell’era dei “nuovi” inibitori selettivi di KPC. La scoperta di nuovi cloni ad alto rischio che ospitano più elementi mobili è un problema crescente che pone una grande sfida per la sorveglianza laboratoristica anche negli ospedali con diagnostica avanzata dei MDRO.




Prevenzione e controllo delle IOS

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Caso clinico: il ruolo dell’infection control nella gestione

di un paziente con sepsi da Candida auris dicembre 2019

C. Lorusso,4 A. Centi,4 L. Arpe,4 B. Mentore,4 S. Reali,1 L. Mendo,3 G.B. Andreoli2

1ASL 4 Liguria, Batteriologia; 2ASL 4 Liguria, Direzione Medica Presidio; 3ASL 4 Liguria, Traumatologia; 4ASL 4 Liguria, Ufficio Infezioni Correlate all’Assistenza

Introduzione. La Candida auris descritta per la prima volta nel 2009, rappresenta una minaccia per la salute globale in quanto causa di infezioni invasive ad elevata mortalità e multifarmaco-resistenza. Numerosi sono i fattori di rischio associati all’isolamento del patogeno, tra cui esposizione a procedure invasive e dispositivi medici; trattamento con antibiotici ad ampio spettro e antimicotici sistemici e ricoveri in Terapia Intensiva. La difficile identificazione del microrganismo con i comuni strumenti utilizzati nei laboratori e la scarsa conoscenza di questa specie possono contribuire ad una ritardata diagnosi aumentandone il rischio di diffusione. Tale patogeno può sopravvivere nell’ambiente per diverse settimane e divenire causa di focolai di difficile eradicazione, richiedendo rigorose misure di controllo per prevenirne la trasmissione. Metodi. Caso clinico: Paziente di 84 anni, ricoverato per intervento di frattura di femore con plurime comorbidità: diabete; cardiopatia; encefalopatia multiinfartuale; insufficienza renale acuta su cronica in dialisi intermittente attraverso Catetere Venoso Centrale. In seguito a shock emorragico ed arresto cardiocircolatorio in corso di intervento chirurgico, veniva ricoverato in Terapia Intensiva nel periodo post intervento e successivamente trasferito in Traumatologia. A distanza di 20 giorni dall’intervento comparsa di febbre trattata con terapia antibiotica empirica ad ampio spettro ed echinocandina. Dall’emocolture effettuate veniva identificata Candida auris con il sistema Malditof, mentre dal Vitek veniva segnalata la presenza di Candida spp resistente agli azoli con sensibilità conservata alle echinocandine. L’approccio di Infection Control reso possibile contestualmente all’identificazione del germe ha permesso: • Isolamento del paziente in stanza singola; • Contact Tracing mediante esecuzione di screening cutaneo ascellare, inguinale bilaterale e tampone nasale ai degenti presenti nelle strutture in cui è transitato il paziente, compreso i trasferiti in altra Struttura; • attivazione delle precauzioni da contatto per i tutti i pazienti ricoverati ed eseguito follow up settimanale; • impiego di panni impregnati di clorexidina al 2% per l’igiene di tutti i pazienti fino alla dimissione; • sono stati allertati i Servizi coinvolti nella gestione del paziente (Fisioterapia e Dialisi) per procedere alla sanificazione straordinaria degli ambienti e delle attrezzature; • utilizzo di un prodotto a base di cloro (ipoclorito al 10%) per l’igiene ambientale quotidiana ed eseguito risanamento ambientale terminale alla dimissione del paziente; • sulle attrezzature/elettromedicali non compatibili con il cloro utilizzo di salviette a base di clorexidina. Risultati. Il paziente fonte ha presentato progressivo decadimento delle condizioni cliniche generali ed è risultato persistentemente positivo alla Candida auris sia allo screening cutaneo che alle successive emocolture fino all’exitus ad un mese dal riscontro della prima fungemia. Tutti i pazienti ricoverati sono risultati negativi al test cutaneo e nasale di screening per la ricerca di Candida auris effettuati nel corso del ricovero. A tutt’oggi non si sono riscontrati ulteriori isolamenti di Candida auris nei pazienti ricoverati presso la nostra Azienda. A maggio 2021 è stata emessa la procedura Aziendale che prevede attività di sorveglianza in tutte le strutture dei tre poli ospedalieri ed RSA a partire dai fattori di rischio e la Sorveglianza attiva presso l’Unità di Terapia Intensiva. Conclusioni. Si sottolinea come sia fondamentale aumentare la consapevolezza dell’emergere di questa specie fungina tra gli operatori nelle organizzazioni sanitarie, implementando la divulgazione delle Circolari Ministeriali, dei percorsi aziendali costruiti ad hoc, nonché di momenti formativi di aggiornamento a sostegno della rete delle competenze trasversali specifiche. L’intento è quello di ottenere l’applicazione puntuale delle attività di prevenzione, a partire dal riconoscimento dei fattori di rischio e del sospetto clinico, attraverso una diagnostica di laboratorio adeguata, fino al trattamento appropriato del paziente e la gestione dell’evento mediante l’attuazione di interventi precoci ed efficaci di Infection Control.


P17.

Studio multicentrico GISIO-SIMPIOS sulla sorveglianza microbiologica post-reprocessing degli endoscopi flessibili utilizzati in endoscopia digestiva: risultati preliminari

B. Casini,1 M. Sartini,2 B. Tuvo,1 A.M. Spagnolo,2 A. Segata,3 
D. Vay,
3 B. Mentore,3 S. Vincenti,3 M. De Giusti,3 E. Vecchi,3 
L. Baroncelli,
3 M.M. Di Stefano,3 P. Laganà,3 P. Castiglia,3 
I. Torre,
3 M.L. Cristina2

1Dipartimento di Ricerca Traslazionale, N.T.M.C., Università di Pisa; 2Dipartimento di Scienze della Salute, Università di Genova; 3Gruppo Multisocietario GISIO-SIMPIOS

Introduzione. La letteratura scientifica internazionale ha documentato diversi eventi epidemici causati da microrganismi multi-resistenti a seguito di procedure endoscopiche, nonostante la rigorosa adesione alle linee guida sul reprocessing degli endoscopi. In altri casi è stato dimostrato che nonostante le procedure previste, alcune fasi manuali di pretrattamento, decontaminazione e detersione, strettamente operatore-dipendenti, vengono frequentemente disattese e/o non correttamente effettuate La sorveglianza microbiologica post-repro- cessing rappresenta uno strumento fondamentale per verificare l’efficacia delle procedure di ricondizionamento. Tuttavia, non tutte le endoscopie a livello nazionale effettuano tali controlli e quindi le dimensioni del problema sono sottostimate. A tale scopo è stato condotto uno studio nazionale multicentrico, il primo a nostra conoscenza, in collaborazione con il gruppo di lavoro “disinfezione” della SIMPIOS e con il GISIO (SItI), il cui obiettivo è stata la sorveglianza microbiologica post-reprocessing dei duodenoscopi, secondo il protocollo e le modalità definite nelle Linee guida dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC). Metodi. È stato predisposto un questionario ad hoc per la rilevazione dei dati riguardanti le caratteristiche gestionali e di attività dei centri di endoscopia e quelle relative ai dispositivi in dotazione e alle loro modalità di reprocessing e stoccaggio. Per quanto riguarda le procedure per il campionamento e le analisi colturali è stato adottato il Protocollo delle Linee Guida “Duodenoscope Surveillance Sampling and Culturing Protocol, CDC 2018”. I dati relativi ai questionari e i risultati microbiologici sono stati inviati ai centri di riferimento ed elaborati statisticamente. Risultati. Hanno aderito allo studio 15 centri così distribuiti: 7 al Nord Italia, 4 al centro e 4 al Sud. Sono stati effettuati 144 campionamenti microbiologici post-reprocessing su 55 duodenoscopi. La sorveglianza microbiologica ha evidenziato che complessivamente il 39,6% dei duodenoscopi presentava non conformità; in particolare queste ultime hanno riguardato microrganismi ad alto rischio e a basso rischio rilevati rispettivamente nel 29,2 % e nel 10,4% delle analisi. I microrganismi ad alto rischio più frequentemente rilevati sono stati in ordine decrescente: Pseudomonas aeruginosa (16%), Escherichia coli (16%), Klebsiella pneumoniae (14%). Il valore medio di carica microbica relativo ai microrganismi ad alto rischio è risultato pari a 441.5±1196.27 (UFC/duodenoscopio), con valori minimi e massimi pari a 1 e 5.400 UFC/duodenoscopio. Conclusioni. I risultati preliminari dello studio multicentrico hanno evidenziato una percentuale rilevante (39,6%) di non conformità all’indagine microbiologica, sostenute principalmente da germi ad alto rischio, e, conseguentemente, un rischio potenziale di cross-trasmissione associato all’utilizzo dei duodenoscopi. Lo studio, in accordo con la letteratura scientifica e le indicazioni dei CDC e delle Società scientifiche internazionali, sottolinea l’importanza di mettere in atto un sistema di sorveglianza microbiologica post-reprocessing, che consenta di individuare e rimuovere le criticità collegate al processo di ricondizionamento di questi dispositivi, anche attraverso programmi di formazione sul personale, al fine di ridurre al minimo il rischio di trasmissione delle infezioni associate alle procedure endoscopiche.


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Andamento del consumo di antibiotici presso l’Ospedale di Cremona 2015-2021: monitoraggio
degli indicatori del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza

G. Chiodelli, M. Tisi, A. Zoncada, F. Bianchi, P. Contini, S. Dal Zoppo, A. Ferraresi, M. Lupi, M. Mancini, M. Milesi, G. Maghini, F. Pezzetti, S. Storti, G. Zambolin, A. Machiavelli, A. Pan

U.O. Malattie Infettive, ASST Cremona

Introduzione. L’Italia è uno dei Paesi europei dove il problema della resistenza agli antibiotici è più critico. Un elevato consumo di antibiotici è associato alla selezione di antibiotico-resistenza: il monitoraggio di questo dato è quindi indispensabile. Fra gli 11 macro obiettivi del Piano Nazionale di Contrasto dell’Antimicrobico Resistenza (PNCAR) due sono relativi al consumo ospedaliero di antibiotici: la riduzione >5% del consumo di antibiotici sistemici nel 2020 rispetto al 2016 e la riduzione >10% del consumo ospedaliero di fluorochinoloni (FQ) per lo stesso periodo. Presso l’ospedale di Cremona il monitoraggio del consumo di antibiotici è attivo dal 2006. Oltre al consumo totale e a quello di fluorochinoloni vengono monitorati il consumo di carbapenemi e di piperacillina-tazobactam. In questo studio presentiamo i dati relativi al consumo di antibiotici dal 2015 al 2021. Materiali e metodi. Lo studio è stato condotto presso l’Ospedale di Cremona, una struttura che in questi anni ha avuto fra i 390 e i 620 posti letto. Vengono presentati i dati relativi al consumo di antibiotici espressi in dosi definite giornaliere (defined daily doses - DDD) /100 giorni di degenza (DDD/100 g deg). Il consumo e il numero di giornate di degenza sono riferiti alla sola degenza ordinaria. Per calcolare la DDD è stato utilizzato il programma dell’Organizzazione Mondiale delle Sanità “ABC Calc”. I dati sono stati raccolti prospetticamente a cadenza trimestrale dal gennaio 2015 al giugno 2021. Sono stati verificati gli indicatori previsti dal PNCAR (consumo totale e di FQ) ed è stata eseguita un’analisi sul consumo di carbapenemi e di piperacillina-tazobactam. Risultati. Il consumo di antibiotici osservato presso l’ospedale di Cremona (POC) è passato da 62,2 DDD/100 g deg nel 2015 a 53,5 nel I semestre del 2021. Il consumo più elevato è stato osservato nel 2017 con 71,1 DDD/100 g deg. A partire dal 2019 il consumo di antibiotici è calato al di sotto di 60 DDD/100 g deg. Nell’anno e mezzo di pandemia di Covid-19 il consumo di antibiotici ha raggiunto i minimi valori osservati nei 78 mesi di studio: 58 DDD/100 g deg nel 2020 e 53,5 nel 2021. L’analisi relativa agli indicatori del PNCAR ha permesso di identificare un calo del consumo totale di antibiotici del 20%: da 67 a 53,5 DDD/100 deg (-13,5 DDD/100 deg). Il consumo di FQ è passato da 5,9 DDD/100 g deg nel 2016 a 3,1 nel 2019 per salire a 7,5 nel 2020 (+ 1,6 DDD/100 g deg, +27%). Se si analizza il consumo di FQ per l’intero periodo 2015-2021, si osserva un calo da 8 a 2,1 DDD/100 deg (-5,9 DDD/100 g deg, -74%). Il consumo di carbapenemi nel periodo in studio è passato da 2,4 a 4,8 DDD/100 deg (+2,4 DDD/100 deg, +100%). Il consumo di piperacilina-tazobactam è passato da 5,8 a 9,6 DDD/100 deg (+4,1 DDD/100 deg, +71%). Conclusioni. Nel corso di sei anni e mezzo di analisi sono osservati: a) un calo significativo del consumo totale di antibiotici, ridotto del 20%, ben quattro volte quanto richiesto dagli obiettivi del PNCAR; b) un calo drammatico del consumo di FQ, ridottosi del 74% (2015-2021), anche se nel periodo di analisi previsto dal PNCAR (2016-2020) si è osservato un incremento del 27%. La pandemia di Covid-19 rende l’interpretazione di questi dati non semplice in primo luogo perché i pazienti affetti da Covid-19 non presentano frequenti sovrainfezioni batteriche, quindi la diminuzione osservata potrebbe essere forse secondaria a questo fenomeno; contro questa ipotesi vi è il dato che la riduzione del consumo globale era presente già a partire dal 2019, prima della pandemia di Covid-19. L’elevato consumo di FQ osservato nel 2020 è ascrivibile al trattamento sistematico con questi farmaci, secondo le linee guida interne, durante il primo mese di pandemia. Una revisione delle linee guida già dal mese di aprile 2020 ha permesso di proseguire con la diminuzione del consumo di FQ in atto da anni (- 74% fra 2015 e 2021). Desta preoccupazione l’incremento molto significativo del consumo di carbapenemi e di piperacillina-tazobactam: uno stretto monitoraggio dell’uso di questi preziosi farmaci nel prossimo futuro rappresenta il primo importante e non dilazionabile obiettivo di politica degli antibiotici da implementare nel nostro ospedale.


P19.

Validazione di un sistema robotico sperimentale
per la disinfezione con radiazione UV-C
delle aree critiche sanitarie

B. Tuvo,2 L. Coviello,4 M. Baroni,3 M. Petrillo,3 F. Cavallo,1 
B. Casini
2

1 Dipartimento di Ingegneria Industriale, Università di Firenze e Istituto di Biorobotica, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa; 2 Dipartimento di Ricerca Traslazionale, N.T.M.S., Università di Pisa; 3 Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Massa Carrara; 4 Istituto di Biorobotica, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa

Introduzione. La disinfezione ambientale, di aria e superfici, mediante radiazione UV-C ha trovato ampio utilizzo negli ultimi anni e recentemente è stata proposta per il controllo della trasmissione di SARS-CoV-2. L’utilizzo di sistemi automatizzati garantisce la ripetibilità del processo, riducendo la possibilità di errore da parte dell’operatore e la tracciabilità delle operazioni effettuate. Ad oggi tuttavia questo impiego non è supportato da un’adeguata normativa di riferimento, sia per la valutazione dell’efficacia che per la sicurezza dell’operatore, come segnalato dal Sistema Comunitario di Allerta Rapido della Commissione Europea nel luglio 2020. A tal fine, è stato condotto uno studio di validazione secondo standard internazionale di un sistema robotico sperimentale per la disinfezione delle aree critiche sanitarie. Metodi. La piattaforma robotica MoveR-UVC, Co-Robotics, in grado di navigazione autonoma, alloggia nove lampade a mercurio a bassa pressione (360 W/h). Il test di calibrazione è stato condotto attraverso la misura della dose emessa, su superfici ortogonali o parallele alla sorgente, con radiometro a sensore UVGI (RMD Pro, Opsytec Dr. Gröbel, DE). L’efficacia antimicrobica è stata valutata secondo lo standard ASTM E3135-18. In ambiente sanitario, il robot è stato utilizzato in un ambulatorio per la pre-ospedalizzazione presso un ospedale di alta specialità per la cura delle patologie cardiovascolari, confrontando la sua efficacia rispetto al protocollo operativo standard di sanificazione (POS) applicato in un ambulatorio con la stessa destinazione d’uso. Dodici superfici ad alta frequenza di contatto sono state sottoposte a campionamento microbiologico secondo ISO 14698-1, dopo attività sanitaria, dopo POS e UV-C (2 cicli da 5 minuti), per un totale di 167 siti sui quali è stata misurata la dose emessa in condizioni statiche e di navigazione autonoma. Risultati. Applicando lo standard ASTM E3135-18, dopo 5 minuti a 194,57 mJ/cm2 è stata osservata una riduzione rispettivamente di 6,05 Log e 6,50 Log (100%) per S. aureus ATCC 25923 su acciaio AISI 316 e policarbonato. Sugli stessi materiali, P. aeruginosa ATCC 10145 ha mostrato una riduzione di 6.19 Log e 6.17 Log. Gli stessi valori di riduzione si sono osservati anche per gli altri tempi di esposizione e alla distanza di 1,50 cm. Anche con 1 min di esposizione la riduzione è stata del 100%, per entrambi i ceppi testati. La riduzione è scesa al 96,3% (1,43 Log) e 98,5% (1,82 Log) a 115,25 mJ/cm2 /3 min, mentre al 98,5% (1,8 Log) e 74,5% (0,6 Log) a 35,93 mJ/cm2 /1min per S. aureus. In ambiente sanitario, 76,5% (36/47) siti sono risultati positivi dopo applicazione del POS mentre dopo POS+UV-C il 16,2% (6/37). I valori medi di carica riscontrati dopo POS e dopo POS+UV-C sono stati pari a 2,87±5,69 e 0,22±0,54, rispettivamente, con valori minimi pari a 1 UFC/cm2 e massimi pari a 36 UFC/cm2 dopo POS, mentre dopo POS+UV-C valori minimi pari a 1 UFC/cm2 e massimi pari a 2 UFC/cm2. Sui siti maggiormente contaminati si è registrata una riduzione di 2Log con una dose media di 33,40 mJ/cm2. Conclusioni. La validazione di nuovi sistemi robotici risulta essenziale nella stima della loro effettiva capacità di implementare i protocolli di sanificazione standard. Il dispositivo a UVC testato ha dimostrato di avere efficacia sulla riduzione della contaminazione ambientale riducendo il rischio di rilevare patogeni responsabili di infezioni nosocomiali. Una ulteriore valutazione incentrata sulla riduzione delle ICA è di fondamentale importanza al fine di migliorare l’appropriatezza degli investimenti economici sostenuti dalle amministrazioni pubbliche.


P20.

Protocollo operativo per la prevenzione di contagi intraospedalieri di SARS-CoV-2 in reparti non Covid presso l’ASO S. Croce e Carle di Cuneo

N. Marengo,1 A. Raviolo,2 E. Lorenzin,3 P. Occelli,3 A.G. Re,3 
A. Garibaldi,
2 P. Pellegrino3

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università
di Torino;
2Direzione Sanitaria di Presidio, ASO S. Croce e Carle di Cuneo; 3Direzione Sanitaria di Presidio, Unità Prevenzione Rischio Infettivo, ASO S.Croce e Carle di Cuneo

Introduzione. La prevenzione di contagi intraospedalieri di SARS-Cov-2 nei reparti non COVID è un importante obiettivo per garantire un’ottimale cura dei pazienti non affetti dal virus, ma che presentano la necessità di essere ospedalizzati in tempi di pandemia. È imprescindibile, infatti, che un paziente non rischi di contrarre il COVID-19 durante il ricovero, aggiungendo così una pericolosa comorbilità al suo stato di salute già compromesso dalla patologia principale. L’Unità di Prevenzione Rischio Infettivo (UPRI) dell’ASO S. Croce e Carle di Cuneo ha elaborato uno specifico protocollo operativo con lo scopo di prevenire, per quanto possibile, i cluster intraospedalieri di SARS-CoV-2 all’interno dei suoi due presidi. L’ASO S. Croce e Carle di Cuneo, rappresenta l’Hub provinciale di riferimento per il quadrante sud orientale della Regione Piemonte, assistendo un territorio di circa 590.421 abitanti. Data l’importanza dell’Azienda per i cittadini della provincia di Cuneo, preservare i reparti non COVID dai cluster intraospedalieri del virus, è stato fondamentale per garantire la continuità delle cure durante tutte le fasi della pandemia di COVID-19. Metodi. Il protocollo operativo, revisionato in base all’evoluzione del quadro epidemiologico territoriale in cui l’Azienda opera, prevede l’effettuazione di tamponi molecolari di screening seriati ai pazienti ricoverati in ciascun reparto non COVID. Ogni paziente, dopo l’esclusione della positività per COVID-19 al momento dell’accesso in ospedale, viene sottoposto ad un tampone molecolare per SARS-CoV-2 all’ingresso in reparto non COVID e, successivamente, dopo 72h, dopo 5 giorni (in 7-8° giornata) e ogni ulteriori 7 giorni (in caso di ricovero prolungato). Lo screening non viene effettuato, su esplicita indicazione regionale, in caso di pazienti guariti da COVID-19 entro i 90 giorni dalla prima positività/esordio dei sintomi, se non in presenza di sintomi suggestivi che possano insinuare il sospetto clinico di reinfezione. I reparti devono gestire lo screening in modo personalizzato per ogni paziente, non potendo organizzare giornate di screening dedicate per tutto il reparto. Qualora un paziente risulti positivo ad un tampone di screening, deve essere immediatamente trasferito in un reparto COVID, con conseguente attivazione del protocollo di contact tracing aziendale per i contatti stretti: isolamento dei pazienti della stessa stanza (se presenti) e segnalazione al Medico Competente degli operatori sanitari a rischio, per la relativa sorveglianza sanitaria. Risultati. L’Unità Prevenzione Rischio Infettivo aziendale (UPRI) si occupa di coordinare e supportare il personale dei reparti non COVID durante lo screening e la gestione delle eventuali positività. Inoltre, sono eseguiti controlli periodici nei reparti non COVID, con lo scopo di osservare la corretta applicazione del protocollo e fornire chiarimenti e formazione al personale. Dal 28 dicembre 2020, con la diffusione del primo protocollo operativo aziendale per la prevenzione dei contagi intraospedalieri, ad oggi, sono stati eseguiti mediamente oltre 60 tamponi di screening al giorno nei reparti non COVID. In questo periodo, sono stati: a) rilevati e tempestivamente gestiti i pazienti risultati positivi durante il ricovero e; b) contenuti gli effetti negativi legati al contagio di altri pazienti ricoverati nella stessa area di degenza. Conclusioni. L’esperienza maturata dall’ASO S. Croce e Carle di Cuneo ha dimostrato che è possibile limitare il contagio dall’infezione di COVID-19 tra pazienti durante la loro ospedalizzazione attraverso la diffusione di istruzioni operative correttamente condivise con il personale dei reparti. La campagna di vaccinazione in corso e il monitoraggio costante della diffusione di nuove varianti, renderanno certamente necessario l’aggiornamento delle misure di prevenzione dei cluster intraospedalieri, implementando i criteri considerati per preservare la salute del paziente. Al momento della elaborazione del presente abstract le procedure sono già in fase di revisione alla luce di aggiornamenti normativi, sia nazionali che regionali.


P21.

Protocollo operativo per la gestione di paziente positivo all’interno di reparto non Covid presso l’ASO
S. Croce e Carle di Cuneo

A. Raviolo,2 N. Marengo,1 E. Lorenzin,3 P. Occelli,3 A.G. Re,3 
A. Garibaldi,
2 P. Pellegrino3

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino; 2Direzione Sanitaria di Presidio, ASO S.Croce e Carle di Cuneo; 3Direzione Sanitaria di Presidio, Unità Prevenzione Rischio Infettivo,
ASO S.Croce e Carle di Cuneo

Introduzione. L’ASO S. Croce e Carle di Cuneo rappresenta l’Hub provinciale del quadrante Sud-Orientale della Regione Piemonte. Durante le tre ondate della pandemia di COVID-19, l’Azienda si è trovata a dover mantenere il livello specialistico delle cure per i pazienti del territorio cuneese, affrontando contestualmente la progressiva conversione di molte strutture a reparti per il trattamento di pazienti affetti da SARS-CoV-2. Data l’esigenza di preservare risorse umane e conservare l’adeguato numero di strutture dedicate al trattamento di pazienti non COVID, l’Azienda ha elaborato uno specifico protocollo per la gestione dei pazienti positivi all’interno dei reparti non COVID.

Metodi. L’Unità Prevenzione Rischio Infettivo (UPRI) aziendale, ha elaborato un protocollo dedicato alla gestione di pazienti non COVID, ricoverati in reparti non COVID, che risultino positivi al tampone molecolare per SARS-CoV-2 di screening. L’UPRI, in caso di riscontro di positività, prende contatto immediatamente con il reparto di provenienza del paziente, per coordinare congiuntamente il trasferimento del paziente, il tracciamento dei contatti e la notifica della nuova positività al territorio. Risultati. In caso di riscontro di positività al tampone molecolare di screening per SARS-CoV2 si valuta la presenza di sintomi sospetti per COVID-19. In caso di paziente positivo e sintomatico, il paziente va considerato affetto da COVID-19; viene immediatamente trasferito in un reparto COVID, segnalando i contatti del paziente come sospetti e trasformando in “grigia” la stanza di provenienza all’interno del reparto non COVID. In caso di positività in paziente asintomatico, il paziente viene trasferito in un reparto COVID, preferibilmente in stanza singola, per essere ulteriormente sottoposto ad accertamenti in base al livello di sospetto clinico. Anche in questo caso i contatti stretti vengono monitorati come sospetti e la stanza considerata “grigia”. Il medico del reparto accettante esegue un’anamnesi clinica vaccinale ed eventuali accertamenti laboratoristici e diagnostici che reputi opportuni per confermare la diagnosi di COVID (es. test sierologico per valutare il titolo anticorpale di SARS-Cov-2 del paziente), oltre a richiedere una consulenza infettivologica. Nelle 48h successive al trasferimento, deve essere effettuato in ogni caso un nuovo tampone molecolare. Se l’esito degli approfondimenti conferma la diagnosi di COVID-19, il paziente viene considerato positivo e non si effettuano ulteriori approfondimenti. Se la diagnosi di COVID non viene confermata, il paziente viene trasferito in un reparto non COVID (possibilmente quello di provenienza), in stanza singola e i contatti segnalati in precedenza non vengono più monitorati come sospetti. In caso di esito incerto degli approfondimenti nel dirimere il basso sospetto clinico per COVID-19 del paziente, viene prolungata la sua permanenza in reparto COVID, con gestione personalizzata del caso da parte di un’equipe multispecialistica. Conclusioni. L’esperienza dell’ASO S.Croce e Carle di Cuneo nella gestione dei pazienti positivi al tampone molecolare di screening periodico ha permesso di monitorare costantemente la prevalenza intraospedaliera del COVID-19, per poter gestire in modo tempestivo e omogeneo i casi di pazienti con basso sospetto clinico risultati positivi a tamponi di screening, al fine di evitare, per quanto possibile, i contagi intraospedalieri, mantenendo separati i reparti COVID da quelli non COVID, preservando la continuità delle cure di tutte le patologie. La campagna di vaccinazione in corso e il monitoraggio costante della diffusione di nuove varianti, renderanno certamente necessario l’aggiornamento delle misure di prevenzione in relazione all’evoluzione della pandemia. Al momento della elaborazione del presente abstract le procedure sono già in fase di revisione alla luce di aggiornamenti normativi, sia nazionali che regionali.


P22.

Campionamento ambientale per RNA di SARS-CoV-2
nei reparti ospedalieri di pazienti con Covid-19: l’esperienza dell’ASST di Lodi

A. Anesi,4 S. Bracco,3 V. Rognoni,3 M. Villani,1 M. Testolina,6 
E. Sudati,
6 F. Borgo,5 G. Perotti2

1Dipartimento Emergenza-Urgenza, ASST di Lodi; 2Direzione Sanitaria, ASST di Lodi; 3Laboratorio di Microbiologia, Ospedale Maggiore, ASST di Lodi; 4Patologia Clinica, Ospedale S. Chiara, APSS di Trento; 5PTP Science Park S.c.a.r.l., Lodi; 6Servizio Igiene Ospedaliera, ASST di Lodi

Introduzione. Il primo caso autoctono italiano ed europeo di COVID-19 è stato documentato il 20 febbraio 2020 in un paziente ricoverato all’ospedale di Codogno, nell’ ASST di Lodi. Nei giorni seguenti nella provincia di Lodi si è verificato un rapido incremento nel numero di pazienti ricoverati negli ospedali in prima linea di Codogno e di Lodi con forte impatto non solo sulle strategie sanitarie e di gestione del personale, ma anche logistico e strutturale. Si sono resi necessari dinamici cambiamenti nella configurazione ospedaliera sulla base delle necessità con ridisegno degli spazi, riorganizzazione delle infrastrutture, cambio della destinazione d’uso dei reparti e creazione di zone filtro. La scarsa conoscenza degli aspetti di diffusione indoor e di stabilità di SARS-CoV-2 sulle superfici ci ha portato ad effettuare ispezioni per valutare la contaminazione virale nei settings ospedalieri ad ogni cambio della destinazione d’uso dei reparti. Riportiamo i risultati dell’esperienza effettuata tra aprile e giugno 2020 nei reparti COVID-19 dell’Ospedale Maggiore di Lodi e di Codogno. Metodi. Sono state campionate 30 diverse tipologie di superfici frequentemente toccate dalle mani, relative a: stanze (componenti del letto dei pazienti, arredi, maniglie, pavimenti, muri), bagni, corridoi, magazzini, studi, spogliatoi, zone filtro, aree ricreazione e inoltre i dispositivi medici e ausili sanitari utilizzati. I tamponi (FLOQSwab) con 3 mL di medium di trasporto universale (UTM) sono stati eseguiti su aree di 10x10 cm prima e dopo le procedure di pulizia e la sanificazione finale delle aree che avevano ospitato pazienti con COVID-19. Sono stati utilizzati disinfettanti a base di cloro attivo alla concentrazione di 2.000 ppm e di 5.000 ppm e alcol etilico al 70% e infine una nebulizzazione al 10% di perossido di idrogeno e nitrato d’argento (1 mL/1m3 di volume) (DS 2.0 con soluzione WPH2025). L’RNA virale è stato estratto utilizzando il kit Zymo Quick-DNA/RNA Viral MagBead 96 compatibile con la stazione DreamPrep NAP. La rilevazione di SARS-CoV-2 è stata effettuata mediante Real Time PCR utilizzando il termociclatore ABI 7900 HT. Risultati. Sono stati raccolti un totale di 678 campioni in 12 diversi reparti ospedalieri pre- e post-sanificazione includendo aree classificate come contaminate (aree con pazienti COVID-19), semi-contaminate (aree svestizione, magazzini, studi) e aree pulite (aree filtro, ricreazione). Complessivamente, sono risultati positivi all’RNA virale l’11,2% dei tamponi pre-sanificazione e il 4,8 dei tamponi post-sanificazione. Il tasso di positività pre-sanificazione è risultato più alto nelle aree semi-contamiate (17/90, 18,8%) e contaminate (22/245, 8,9%) che nell’area pulita (2/30, 6,6%). Il tasso di positività post-sanificazione è risultato ancora elevato nelle aree semi-contaminate (13/90, 14,4%) per le positività persistenti su dispositivi medici e presiti sanitari (7/90, 7,7%) e strumentazione elettronica (4/90, 4,4%); ridotto nelle aree contaminate (2/193, 1%) e pulite (0/30, 0%). Conclusioni. L’identificazione di RNA virale sulle superfici inanimate può essere un indicatore dell’inefficacia del protocollo di pulizia e sanificazione. I dispositivi medici, gli ausili sanitari e la strumentazione elettronica si sono rivelati elementi critici nel controllo dell’infezione. La loro disinfezione è risultata, almeno inizialmente, trascurata ed ha richiesto sia re-interventi di sanificazione che un richiamo all’attenzione del personale addetto.


P23.

Serratia marcescens in una terapia intensiva neonatale: interventi per il controllo di un cluster epidemico

R. Loss,3 M. Lopez,3 E. Pagani,2 R. Aschbacher,2 D. Gianotti,1 
A. Staffler
1

1Divisione di Neonatologia e Terapia Intensiva Neonatale;
2Laboratorio di Microbiologia e Virologia;
3Servizio di igiene ospedaliera, Direzione medica;
Ospedale Centrale di Bolzano

Introduzione. Serratia marcescens è un patogeno raro, ma importante nelle infezioni contratte in ospedale, in particolare nelle terapie intensive neonatali (TIN). I focolai possono causare una significativa mortalità tra i neonati e sono molto difficili da eradicare. Lo studio descrive le misure igieniche e organizzative adottate per contenere un focolaio di S. marcescens in una TIN di un ospedale altoatesino tra giugno e luglio 2021. Metodi. L’ospedale regionale di Bolzano è l’unico ospedale che offre cure intensive per neonati critici e neonati pretermine nell’area della provincia autonoma di Bolzano. La TIN dispone di n. 22 posti letto totali di cui n. 8 posti letto di terapia intensiva, n. 8 di terapia subintensiva e n. 6 posti letto ordinari. Tra il 21 giugno 2021 e il 31 luglio 2021, n.9 neonati ricoverati sottoposti a screening sono risultati positivi per S. marcescens. Abbiamo esaminato la gestione del focolaio con i provvedimenti applicati e gli esiti, compreso il campionamento ambientale. Tutti i pazienti ricoverati sono stati sottoposti a screening colturale per S. marcescens (piastre agar MacConkey, identificazione tramite Maldi-Tof) mediante tampone al momento del ricovero e poi settimanalmente. Un assistente sanitario addestrato ha giornalmente monitorato l’igiene delle mani attraverso la scheda di osservazione fornita dalla WHO. È stato eseguito un campionamento ambientale diffuso su diverse superfici e macchinari (culle, scaldabiberon, superfici, lavandini, dosatori di disinfettante e sapone, pulsante apriporta, carrelli etc) risultati negativi. Sono stati eseguiti n. 60 campionamenti (piastre agar MacConkey) di mani degli operatori sanitari, distribuiti su 3 settimane successive, risultati anch’essi negativi. Non si è ritenuto necessario procedere con uno screening attraverso tampone rettale sul personale. Dal punto di vista organizzativo sono state rafforzate le pulizie di tutti gli ambienti e rimossi i fasciatoi comuni. Sono stati introdotti dei coprisonda monouso per le ecografie e la strumentazione ecografica veniva disinfettata quotidianamente. Le visite per i genitori, prima aperte 24h, sono state ridotte a 2 turni giornalieri di 2 ore ciascuno. Non è stato possibile eseguire un isolamento di coorte perchè i pazienti occupavano sia letti di terapia subintensiva che di intensiva. Per la carenza di personale non è stato possibile garantire personale infermieristico dedicato all’assistenza dei pazienti risultati positivi. La chiusura della TIN è stata fin dall’inizio esclusa per motivi logistici e di assistenza essendo anche l’unica della Provincia. Risultati. Nessuno dei neonati ha sviluppato infezione correlata a S. marcescens, né vi sono stati decessi. Il focolaio è stato rapidamente gestito con interventi attivi di igiene ospedaliera, tra cui l’adozione di precauzioni per un isolamento da contatto (guanti e camice per ogni paziente) e l’igiene rigorosa delle mani. Il focolaio è stato contenuto in 7 settimane e non sono emerse altre nuove positività. Conclusioni. Un focolaio di S. marcescens in una TIN è molto pericoloso e può causare rapidamente un aumento della mortalità e morbilità nei neonati ricoverati. Nella nostra esperienza lo screening settimanale dei pazienti, l’introduzione di una serie di interventi volti a monitorare l’ambiente, i pazienti e gli operatori in concomitanza con l’adozione di rigide misure igieniche hanno permesso di contenere con successo il focolaio.


P24.

Epidemiologia molecolare di Acinetobacter baumannii
multiresistenti isolati in un ospedale del centro Italia

M. Tamburro, M.L. Sammarco, I. Fanelli, G. Ripabelli

Dipartimento di Medicina e Scienze della Salute “V. Tiberio”,
Università degli Studi del Molise

Introduzione. Acinetobacter calcoaceticus-baumannii complex (A. baumannii) è inserito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità nell’elenco dei patogeni con priorità critica a causa dell’elevata antibiotico-resistenza, soprattutto verso i carbapene- mi, che è mediata dalla produzione di carbapenemasi, over-espressione di pompe di efflusso e/o alterazione di proteine della membrana esterna. Il presente studio ha riguardato la caratterizzazione di ceppi di A. baumannii isolati nel principale Presidio Ospedaliero della regione Molise al fine di determinare la suscettibilità a molteplici antibiotici, inclusi i carbapenemi, la prevalenza di geni di resistenza ai carbapenemi e codificanti per sistemi di efflusso e la presenza di relazioni e gruppi clonali. Metodi. Per 21 ceppi selezionati è stata determinata la minima concentrazione inibente (MIC) per antibiotici appartenenti alle classi dei carbapenemi, monobattami, fluorochinoloni, penicilline, cefalosporine, polimixine, tetracicline, aminoglicosidi e agenti misti. L’interpretazione dei risultati è stata effettuata in accordo con le linee guida EUCAST. La ricerca di geni di resistenza ai carbapenemi (blaSHV, blaKPC, blaGES, blaIMP, blaVIM, blaNDM, blaGIM, blaAmpC, blaOXA23, blaOXA24, blaOXA51 e blaOXA58) e codificanti per i sistemi di efflusso (adeB, adeG, adeJ, abeS, craA, abeM, soxR) è stata condotta mediante saggi di amplificazione genica (PCR). I ceppi sono stati, inoltre, tipizzati attraverso pulsed field gel electrophoresis (PFGE) con ApaI/AscI e multilocus sequence typing (MLST) utilizzando lo schema Oxford.
Risultati. Tra gli antibiotici testati, i ceppi hanno mostrato suscettibilità solo alla colistina, presentando, quindi, un profilo simile di multiresistenza e complessivamente sono stati generati 10 resistotipi. Nella totalità degli isolati è stata osservata la presenza di blaAmpC, blaOXA23, blaOXA51, craA e abeM, mentre gli altri geni ricercati sono risultati assenti. La PFGE, ad un livello di similarità del 95%, ha permesso di identificare 15 pulsotipi con ApaI (potere discriminante D=94%) e 12 con AscI (D=88%). È stata, inoltre, identificata la circolazione di 5 sequence type denominati ST (D=77%), in particolare, ST369 (38,1%) e ST281 (9,5%), seguiti da altri tre non ancora riportati in letteratura (STa e STb, ciascuno con una prevalenza del 23,8% e STc 4,8%). Conclusioni. I ceppi di A. baumannii hanno mostrato un profilo di multiresistenza, evidenziando l’importanza della sorveglianza continua e segnalazione rapida nel contesto ospedaliero. La resistenza ai carbapenemi è stata associata soprattutto ai geni blaOXA-23 e blaOXA-51, in accordo con i dati epidemiologici nazionali. I risultati hanno anche confermato il contributo significativo della beta-lattamasi AmpC, riscontrata in tutti i ceppi, nella resistenza alle cefalosporine e penicilline, nonché l’ampia distribuzione di adeB, adeG e adeJ codificanti per sistemi di efflusso. La PFGE ha evidenziato un elevato livello di clonalità tra i ceppi, classificati nel medesimo cluster e caratterizzati da una circolazione nello stesso periodo di tempo e che presentavano identico profilo di resistenza. Sebbene studi condotti in Italia abbiano riportato che la resistenza ai carbapenemi in A. baumannii sia principalmente guidata dalla disseminazione di isolati appartenenti a ST2 (clone europeo II), che hanno acquisito OXA-23, da solo o in associazione con OXA-58 o OXA-51, l’MLST effettuato in questo studio ha rivelato una differente distribuzione di ST nei ceppi testati, suggerendo anche la circolazione di cloni emergenti. Tali informazioni consentono di completare e meglio definire il contesto epidemiologico di A. baumannii in ambiente ospedaliero non solo a livello locale e forniscono un valido supporto per sviluppare interventi efficaci per contrastare la diffusione di ceppi multiresistenti e le infezioni (ICA) da essi sostenute.


P25.

Sorveglianza attiva degli eventi avversi dopo vaccinazione con Comirnaty negli operatori sanitari
di una clinica privata nella Regione Molise

G. Ripabelli,2 M. Tamburro,2 M.L. Sammarco,2 N. Buccieri,1
C. Adesso,3 V. Caggiano,3 F. Cannizzaro,3 M.A. Di Palma,3 
G. Mantuano,
3 V.G. Montemitro,3 A. Natale,3 L. Rodio3

1Casa di Cura Istituto Europeo di Riabilitazione, Isernia; 2Dipartimento
di Medicina e Scienze della Salute “V. Tiberio”, Università degli Studi
del Molise;
3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Università degli Studi del Molise

Introduzione. A seguito della raccomandazione dell’Agenzia europea del farmaco (EMA), nel dicembre 2020 la Commissione Europea ha autorizzato il primo vaccino contro COVID-19, denominato mRNA BNT162b2 (Comirnaty) e la data del 27 dicembre in tutta l’Europa, inclusa l’Italia, ha segnato il via ufficiale della campagna di vaccinazione. Nel mese di marzo 2021, è stato condotto uno studio per valutare la comparsa di eventi avversi riportati, dopo la somministrazione della I e II dose di Comirnaty, dal personale sanitario di una clinica privata della regione Molise. Lo studio ha consentito di raccogliere informazioni relative non solo alla tipologia e frequenza di eventi, ma anche riguardo l’associazione con caratteristiche sociodemografiche e cliniche dei soggetti vaccinati. Metodi. Un questionario ad hoc è stato somministrato agli operatori sanitari da intervistatori formati per raccogliere dati sociodemografici e informazioni su storia pregressa di COVID, vaccinazioni negli ultimi 6 mesi, eventi avversi dopo la I e II dose di Comirnaty, premedicazione, trattamento per sintomatologia post-vaccinazione ed eventuale segnalazione effettuata agli organi preposti. Gli eventi sono stati stratificati per livello di gravità in lievi, moderati e gravi, annotando anche quelli segnalati dai partecipanti e non riportati in letteratura o nel foglio illustrativo del vaccino. L’associazione tra eventi avversi e variabili sociodemografiche/cliniche è stata valutata usando i test Chi-quadrato o Esatto di Fisher ed è stata considerata significativa per p<0,05. Risultati. Nello studio sono stati inclusi 82 soggetti (53,7% femmine; età media 46,2±12,9 anni). L’84% (n=69) dei partecipanti ha dichiarato la comparsa di eventi avversi dopo la I dose, riportati soprattutto da soggetti di 50-59 anni e di sesso femminile (59,4%, p=0,016). La maggior parte degli eventi si sono verificati entro 24 ore e si sono risolti nell’arco delle 12-24 ore successive; il 92,8% non ha assunto farmaci per trattare la sintomatologia. I partecipanti hanno riportato per lo più eventi lievi, come dolore/arrossamento/ gonfiore nel sito di iniezione (98,6%), astenia o cefalea (24,6%) e brividi (17,2%), seguiti da reazioni moderate come artralgia/mialgia (10,1%) e diarrea o linfoadenopatia (1,4%), mentre orticaria diffusa e parestesia (ciascuna 1,4%) sono stati gli unici eventi severi. Dopo la II dose, l’86,6% (n=71) ha dichiarato la comparsa di reazioni avverse, anche in questo caso riportate soprattutto da soggetti di 50-59 anni e di sesso femminile (77,5%, p=0,010). Tali eventi si sono verificati entro 12-24 ore e risolti dopo 48 ore; il 59,2% ha assunto farmaci per trattare le manifestazioni. Sono stati dichiarati eventi lievi già occorsi dopo la I dose, come dolore/arrossamento/gonfiore nel sito di iniezione (83,1%), astenia (49,3%), cefalea o brividi (38%), a cui si sono aggiunti febbre <38°C, nausea, dolore addominale, disturbi del sonno e insonnia. Rispetto alla I dose, una maggiore prevalenza (p<0,05) di soggetti ha riportato artralgie/ mialgie (47,9%) e diarrea (9,8%) tra gli eventi moderati, che hanno anche incluso linfoadenopatia, vomito, febbre >38 e <39°C e orticaria localizzata non riportati dopo la I dose. Tra gli eventi avversi severi sono state dichiarate parestesie (2,8%) e febbre >39°C (1,4%). Conclusioni. I risultati non si discostano dai dati presenti nei report dell’Agenzia Italiana del Farmaco sulla comparsa di eventi avversi generalmente nella stessa giornata della somministrazione di Comirnaty e soprattutto dopo la II dose. In linea con i dati disponibili, tali eventi sono stati più frequenti nelle femmine, plausibilmente per una differenza biologica nella risposta infiammatoria post-vaccino. Il ricorso al trattamento farmacologico per la comparsa di eventi avversi è stato evidente dopo la II dose, denotando da un lato sicuramente una maggiore frequenza di reazioni di entità moderata/severa rispetto alla I dose, dall’altro probabilmente anche un potenziale impatto negativo di una comunicazione confusa sui vaccini anti-Covid-19 accentuatasi nel periodo a cui fa riferimento lo studio, che ha finito per acuire i timori dei vaccinati dopo la somministrazione. I dati hanno evidenziato sostanzialmente la comparsa di reazioni avverse non gravi, anche tenuto conto che solo 5 soggetti hanno provveduto ad effettuarne la segnalazione agli organi preposti su un totale di 140 che invece li hanno segnalati solo quando arruolati nella sorveglianza attiva.


P26.

Azioni di controllo a contrasto del Covid-19.
Applicazione del modello ospedaliero
nelle strutture sociosanitarie di ASL4

C. Lorusso,4 L. Arpe,4 A. Centi,4 B. Mentore,4 G.B. Andreoli,4 
S. Lucarini,
2 S. Giacobbe,5 C. Giordano,3 B. Rebagliati1

1Direttore Generale; 2Direttore RSA; 3Direttore Socio Sanitario; 4DMPO, Ufficio infezioni Ospedaliere; 5Risk Manager; ASL4 Liguria

Introduzione. A livello ospedaliero la gestione della pandemia ha comportato una riconfigurazione delle risorse e dei percorsi assistenziali ed ha rappresentato una sfida nell’adeguamento strutturale, organizzativo con potenziamento delle caratteristiche di flessibilità e multidisciplinarietà. Tale ristrutturazione risulta essere difficilmente applicabile nel setting territoriale RSA, RP e Strutture Sociosanitarie. Scopo del nostro intervento è stata l’analisi dei contesti operativi e l’individuazione di strategie per l’applicazione delle pratiche di prevenzione e controllo dell’infezione SARS-CoV-2 attraverso l’utilizzo del modello Ospedaliero. Metodi. Nel contesto Regionale Ligure la rapida evoluzione del quadro epidemiologico di SARS-CoV-2 e l’emergenza di numerosi focolai nelle regioni limitrofe hanno promosso azioni puntuali da parte dell’ Azienda Sanitaria Ligure (A.Li.Sa), mirate al contrasto della diffusione del virus. Tra le azioni intraprese la costituzione di una task force con il mandato di avviare tempestivamente attività di sorveglianza, controllo e gestione clinica dei casi riscontrati all’interno di setting ad alto rischio. Sono stati quindi attivati teams aziendali costituiti da infermieri specialisti nel rischio infettivo con il mandato di operare all’interno delle strutture sociosanitarie territoriali. Per Asl4 il team a carattere multidisciplinare era composto da un Isri e da una figura medica. Obiettivo principale è stato quello di predisporre sopralluoghi per la valutazione del rischio infettivo e la messa in atto di strategie individualizzate per ogni realtà, mediante:  Analisi dei processi e percorsi assistenziali di ogni singola Struttura Sociosanitaria.  Uso della check list predisposta da A.Li.Sa. nella rilevazione dei parametri di criticità per:  dispositivi medici;  presenza di spazi;  sostanze antisettiche e disinfettanti;  personale;  attività formative in tema Covid-19;  adozione delle precauzioni;  conoscenze e applicazione delle procedure per il controllo del rischio;  modalità di gestione dei rifiuti; attività di audit;  modifica/costruzione e separazione di percorsi assistenziali calibrati sulle criticità delle strutture in conformità con il modello ospedaliero;  creazione di aree buffer per i nuovi ingressi;  collaborazione nell’approvvigionamento e nella modalità di utilizzo dei dispositivi;  successive revisioni di audit. Risultati. Il team, attivato dall’inizio di aprile, al giugno 2020 ha eseguito sopralluoghi in 42 Strutture su 56 presenti sul territorio. Attraverso l’analisi degli items indagati è stato possibile modificare e/o costruire percorsi assistenziali ex novo quando non conformi al principio “sporco –pulito” con il fine di garantire al meglio la sicurezza di ospiti ed operatori. Ogni percorso è stato realizzato in base alle particolarità strutturali di ogni singola realtà. Sono stati altresì riorganizzati gli spazi (aree di isolamento e/o buffer) e creati cohorting staffing per i pazienti Covid. Fondamentale il coinvolgimento diretto del personale di struttura nei momenti formativi specifici, allo scopo di favorire l’adozione di comportamenti rivolti a ridurre la diffusione delle infezioni, riprendendo concetti alla base del contenimento del rischio infettivo. In particolare sull’applicazione della corretta procedura di sanificazione per ambienti e dispositivi medici con l’impiego delle molecole più efficaci in conformità con la normativa vigente, nonché sul corretto utilizzo dei dispositivi di protezione (modalità di vestizione/svestizione) mediante la visualizzazione di video aziendali costruiti ad hoc. A seguito delle indagini effettuate e dell’analisi del fabbisogno di risorse umane è stato possibile l’inserimento di figure sanitarie formate. Conclusioni. La presenza del team all’interno delle strutture, nonostante il ruolo di supervisione e controllo, è risultata di fondamentale ricchezza per gli operatori nell’aumento della consapevolezza del fenomeno e nell’applicazione corretta degli strumenti utili al contenimento della diffusione del virus, tra cui la costituzione delle zone buffer nelle realtà che strutturalmente lo consentivano. Si sottolinea inoltre come la situazione di emergenza sia stata affrontata anche grazie allo spirito di dedizione dei professionisti sanitari, che saranno, sulla base di questa esperienza, la risorsa principale per affrontare i futuri mutamenti socio-sanitari globali.


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Un outbreak sostenuto da Klebsiella pneumoniae con diminuita sensibilità ai carbapenemici non produttrice di carbapenemasi maggiori

R. Marrollo,2 L. Cavazzuti,1 M. Bardaro,2 E. Carretto2

1Direzione medica; 2Laboratorio di Microbiologia;
Arcispedale Santa Maria Nuova, Azienda USL di Reggio Emilia - IRCCS

Introduzione. La recente pandemia di SARS-CoV-2 ha posto in essere condizioni impattanti sulla diffusione della resistenza antibiotica, quali la riduzione del rapporto fra personale sanitario/paziente, il ricorso sub-ottimale alle procedure microbiologiche per la difficoltà a individuare patologie intercorrenti nei pazienti COVID, l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale per prevenire il rischio di infettarsi, ma non per la prevenzione della trasmissione di microrganismi multiresistenti (MDR), il ricorso a terapie empiriche a largo spettro. Riportiamo il caso di un outbreak sostenuto da Klebsiella pneumoniae con diminuita sensibilità ai carbapenemici con meccanismo di resistenza atipico verificatosi presso l’Arcispedale Santa Maria Nuova, AUSL di Reggio Emilia - IRCCS, nei primi mesi del 2021, in piena emergenza COVID-19. Metodi. Lo screening per Gram-negativi MDR viene eseguito su tutti i pazienti ricoverati in reparti selezionati (ad alta criticità), sui soggetti precedentemente ospedalizzati nei sei mesi antecedenti il ricovero e su tutti i contatti di caso. I tampone rettali, raccolti con E-swab® Copan, vengono processati dopo arricchimento selettivo su McConkey addizionato di meropenem e semina su terreno di coltura cromogeno e selettivo (Thermo Scientific™ Brilliance™ CRE Agar). Tutti i microrganismi cresciuti sono identificati a livello di specie mediante spettrometria di massa (MALDI-TOF Biotyper® - Bruker). Su essi sono eseguiti test di sinergia mediante disco diffusione, antibiogrammi manuale e semiautomatizzato (Phoenix™, Becton Dickinson), nonché per i carbapenemi test di diffusione a gradiente (MIC Test Strip®, Liofilchem). La conferma di eventuale presenza di geni di resistenza più comuni (blaKPC, blaNDM, blaVIM, blaIMP-1, blaOXA-48) è eseguita utilizzando il test molecolare Xpert Carba-R®, Cepheid. Dopo il riscontro del possibile outbreak, sugli isolati negativi al test Xpert è stata eseguita ricerca del gene blaCTX-M utilizzando test molecolare in real-time PCR (ELITe InGenius®, ELITech group). Gli isolati positivi sono stati quindi nuovamente amplificati e di essi sono state analizzate le sequenze utilizzando metodiche home-made. Risultati. Nel periodo gennaio – giugno 2021 sono stati eseguiti 7.120 tamponi su 2.300 pazienti. In 85 casi si sono isolati microrganismi identificati come Klebsiella pneumoniae, con un profilo di resistenza caratteristico (MIC per ertapenem, sempre >32 mcg/ml; MIC per imipenem, 2-8 mcg/ml; MIC per meropenem, 8-16 mcg/ml; CMI per cefoxitina, sempre >16 mcg/ml), negativi alla sinergia con acido fenilboronico, dipicolinico e cloxacillina. Per tutti gli isolati, l’analisi molecolare con Xpert Carba-R® è risultata negativa, mentre è risultata positiva l’amplificazione per blaCTX-M. Il sequenziamento genico ha permesso di identificare il gene come appartenente al gruppo blaCTX-M-1. La resistenza alla cefoxitina fa inoltre supporre che gli isolati siano anche portatori di geni di resistenza plasmidici tipo AmpC (verosimilmente blaCMY. caratterizzazione in corso). Gli isolati mostravano un profilo MDR per diverse classi antibiotiche, rimanendo sensibili ad amikacina, imipenem, colistina, cefiderocol, ceftazidime/avibactam, imipenem/ relebactam, meropenem/vaborbactam. Due reparti, la Pneumologia e la Terapia Intensiva, hanno registrato il maggior numero di casi (17 e 31, rispettivamente), con picco dell’outbreak nei mesi di aprile e maggio, per poi decrescere significativamente. Nel mese di giugno è stato intrapreso intervento mirato di retraining del personale della Terapia Intensiva in merito al controllo della diffusione di microrganismi multiresistenti. Soltanto in 3 casi i pazienti colonizzati hanno sviluppato infezione: in tutti e tre i casi si è trattato di polmoniti in soggetti sottoposti a ventilazione. Conclusioni. Diverse concause hanno fatto sì che si verificasse un outbreak da microrganismi MDR con genotipo di resistenza inusuale (ESBL + AmpC); tra queste citiamo i frequenti spostamenti di pazienti a diverso livello di criticità, il turnover del personale, spesso non formato sullo specifico tema della prevenzione delle infezioni da germi MDR, la presenza di soggetti colonizzati con microrganismi a elevata diffusibilità. Interventi mirati sul personale e sull’epicentro dell’epidemia stanno permettendo un iniziale controllo dell’outbreak.


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Quale impatto ha avuto l’epidemia da SARS-CoV-2
sul controllo della
Legionella in ospedale?

T. Bisaglia,2 M. Bernardo,1 S. Manfrè,1 P. Santa,2 R. Loss2

1Ripartizione tecnica e patrimoniale, Ospedale di Bolzano;
2Servizio di igiene ospedaliera, Direzione medica, Ospedale di Bolzano

Introduzione. Durante la pandemia da SARS-CoV-2 le strutture ospedaliere hanno conosciuto importanti cambiamenti sia organizzativi che strutturali: molti reparti sono stati trasformati in reparti COVID 19, altre aree e ambulatori sono stati chiusi o sottoutilizzati per permettere di concentrare l’assistenza ai pazienti COVID-19, compresa la conversione del personale medico e infermieristico prima destinato ad altre attività. In questo contesto anche la rete idrica degli ospedali ha subito delle modifiche di utilizzo; in alcune aree chiuse per diverse settimane l’acqua è ristagnata o circolata poco. Il rischio di avere rialzi dei livelli da contaminazione da Legionella è molto aumentato. Lo studio descrive i fattori associati allo sviluppo della contaminazione da Legionella e le misure adottate per il controllo della stessa, in un ospedale altoatesino tra marzo 2020 e giugno 2021. L’obiettivo è comprendere quale impatto possa aver avuto la pandemia da COVID-19 nella gestione e controllo della Legionella in ospedale. Metodi. L’ospedale regionale di Bolzano è costituito da una struttura a blocco centrale a cui si è aggiunta dal 2020 una struttura a poliblocco con 3 padiglioni su piastra centrale. L’apertura della nuova area è stata causata dalla necessità di far fronte all’emergenza COVID-19, con la creazione di 30 nuovi posti letto di terapia intensiva, 2 reparti di medicina di 36 posti letto ciascuno, la riorganizzazione del Pronto Soccorso e l’ampliamento della unità di sorveglianza epidemiologica per tracciamento dell’infezione SARS-CoV-2. I campionamenti sono stati eseguiti come da LG 2015, previa valutazione del rischio e secondo numerosità proporzionata alle dimensioni dell’impianto. Vengono considerate le concentrazioni di Legionella in 2 momenti per quanto riguarda la struttura principale: novembre 2019, in epoca precovid, tra dicembre 2020 e marzo 2021 in epoca covid e dopo riorganizzazione di vari reparti e servizi dell’ospedale; per la struttura nuova a poliblocco si riportano invece gli esiti degli esami eseguiti soltanto dopo l’attivazione di alcune aree. Il monitoraggio prima a carico del laboratorio provinciale nel 2020-2021 è stato regolato attraverso appalto con ditta esterna con prelievi e diagnostica autonomi. Come trattamento continuativo dell’acqua sono utilizzate la disinfezione termica e il perossido di idrogeno. Risultati. Nel novembre 2019 è stato eseguito un campionamento della struttura principale con la raccolta di n 89 campioni di acqua calda e fredda, di cui 15 (17%) risultati positivi per una concentrazione >1.000 UFC/L e 74 (83%) <1.000 UFC/L. Sono seguiti chiusura temporanea di docce e rubinetti con interventi di disinfezione straordinaria e disinfezione dei boiler di deposito dell’acqua con successivo ricampionamento. Tra dicembre 2020 e marzo 2021 è stato eseguito il primo intervento di monitoraggio dalla comparsa del COVID 19. Dei 160 campioni eseguiti nella struttura a poliblocco, 118 (73%) sono risultati compresi tra 1.000 e 10.000 UFC/L mentre nella struttura principale sono stati raccolti n 102 campioni, di cui 53 (51%) risultati positivi per una concentrazione >1.000 UFC/L. I restanti campioni avevano concentrazioni < 1.000 UFC/L. Sono seguiti interventi di disinfezione straordinaria dei tratti interessati, nella struttura a poliblocco sono stati applicati dei filtri antilegionella. Successivamente sono stati ripetuti i controlli. Inoltre è stato introdotto e implementato con la ditta di pulizie un protocollo per l’apertura settimanale in ogni reparto/servizio di ogni punto acqua calda e fredda della durata di 5 minuti. Conclusioni. La nostra esperienza ha dimostrato che la pandemia da SARS-CoV-2 ha ridotto l’attenzione sulla contaminazione da Legionella, con conseguenti elevati e diffusi valori di contaminazione. La riorganizzazione degli ospedali per l’emergenza COVID-19 ha portato a chiusure e spostamenti di interi reparti con conseguente ristagno dell’acqua nelle tubature e aumento di concentrazioni di Legionella. Anche l’apertura in pochi giorni di aree non ancora utilizzate ha rilevato la mancanza di controllo sul rischio da Legionella. Non si sono verificati casi di polmonite da Legionella. Un approccio proattivo di prelievi periodici associato a un trattamento continuativo dell’acqua e ad un protocollo di apertura regolare di tutti i punti acqua possono avere un ruolo protettivo per ridurre la contaminazione da Legionella ed evitare focolai di malattia.


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Implementazione dell’uso dei tamponi rettali
di sorveglianza e delle misure di contenimento
delle infezioni: l’importanza di un approccio
ad ampio respiro

D. Zago,1 D. Montemurro,2 C. Biscaro,2 M. Bellante,2 L. Contin,2 M.E. Buggio,3 M. Basso,1 S. Parisi,1 A. Arseni4

1Dipartimento di Medicina Molecolare, Università degli Studi di Padova;
2Direzione Medica di Presidio, Ospedale di Piove di Sacco, Azienda ULSS n. 6 Euganea, Padova; 3Servizio Professioni Sanitarie, Ospedale di Piove di Sacco, Azienda ULSS n. 6 Euganea, Padova; 4UOS Rischio Clinico, Azienda ULSS n. 6 Euganea, Padova

Introduzione. È ormai consolidato da tempo che il controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) richieda un approccio ampio e coerente e che la loro prevenzione sia una responsabilità che riguarda ogni operatore sanitario, da chi è coinvolto direttamente nell’assistenza ai pazienti, a chi svolge ruoli dirigenziali. Oggi ciò risulta ancor più significativo, dal momento che in questo periodo di pandemia non si è verificata, come atteso, una netta riduzione dell’incidenza di infezioni da germi multiresistenti (MDR), a dispetto della grande attenzione e formazione del personale circa le misure di controllo e l’utilizzo dei dispositivi di protezione. Questo studio riporta come siano state implementate le modalità di sorveglianza delle infezioni da germi MDR presso il Presidio Ospedaliero (PO) di Piove di Sacco e quali misure di controllo siano state adottate in occasione di un outbreak occorso nel Reparto di Medicina Generale (MG). Metodi. Il PO di Piove di Sacco (142 PL) a marzo 2021 ha avviato un progetto che prevede lo screening tramite l’esecuzione del tampone rettale di sorveglianza (TR) a tutti i pazienti all’ingresso, indipendentemente dalla presenza di fattori di rischio noti, e, successivamente, a cadenza settimanale durante il corso della degenza. Viene considerato nell’analisi solo il primo riscontro di positività per MDR per paziente occorso dall’01/04/2021 al 30/06/2021. A causa dell’incremento dell’incidenza di germi MDR in MG rispetto agli altri Reparti, sono stati adottati i seguenti interventi con il coinvolgimento di diverse figure interne ed esterne al Reparto stesso: - periodici sopralluoghi condotti utilizzando una check list come guida all’osservazione, a cui hanno fatto seguito audit clinici per monitorare la situazione e proporre azioni di miglioramento mirate; - isolamento per coorte dei pazienti positivi e divisione del Reparto in settori con conseguente riorganizzazione del lavoro degli operatori; - analisi sulle superfici ambientali e opportuna sanificazione; - percorso di formazione per il personale infermieristico e gli operatori socio-sanitari coinvolti; - incontro di formazione con il personale della ditta esterna responsabile delle pulizie del PO. Risultati. Nel trimestre in osservazione sono stati riscontrati nel PO 98 pazienti positivi per germi MDR, di questi 37 (37,8%) erano ricoverati in MG. Nello specifico la prevalenza di MDR in MG rispetto agli altri Reparti è passata dal 57,5% (15/26) in aprile, al 36,4% (12/33) a maggio e infine al 25,7% (10/39) a giugno. Il trend in discesa nel Reparto è risultato statisticamente significativo (p=0,0102). Riguardo le positività evidenziate in MG, in 22 su 37 (59,5%) casi si è trattato di colonizzazioni a livello del TR e di questi solo un paziente ha successivamente sviluppato un’infezione da parte dello stesso germe nel torrente circolatorio. In 19 (86,4%) pazienti i TR erano positivi per Acinetobacter baumannii MDR, nei restanti casi, 2 TR erano positivi per Escherichia coli MDR e 1 per Klebsiella pneumoniae resistente ai carbapenemi. Dall’analisi dei tempi e delle modalità di presentazione dei casi in MG sono state identificate 27 (73%) ICA, con un andamento nel trimestre pressoché costante (66,7%, 83,3% e 70% di casi rispetto al totale degli isolamenti in Reparto rispettivamente ad aprile, maggio e giugno). Conclusioni. L’avvio del progetto sulla sorveglianza tramite TR che ha coinvolto l’intero PO ha riportato alto il livello di attenzione ed evidenziato delle colonizzazioni che non sarebbero state altrimenti riconosciute. Ciò ha permesso in tutti i Reparti una tempestiva identificazione dei pazienti positivi e di tutti quelli a rischio, cosa che è risultata innanzitutto fondamentale per la loro sicurezza (solo per un paziente lo stato di colonizzazione è evoluto in infezione) e che ha consentito inoltre di limitare il rischio di contaminazione ambientale. In particolare, il coinvolgimento di numerosi attori e l’approccio a 360° adottato in MG nella gestione dell’outbreak si sono dimostrati un’arma efficace nel contenimento delle infezioni, il cui calo è risultato statisticamente significativo alla fine del trimestre di studio. Utilizzando quindi ciò che già è a disposizione, come l’acquisizione di consapevolezza da parte degli operatori e il lavoro sull’abitudine alle buone pratiche, si è cercato di riprendere degli automatismi che la pandemia ha portato a sottostimare e tutt’ora sta offrendo la possibilità di rispettare degli standard assistenziali di qualità elevata.




Igiene delle mani

P30.

Educare all’igiene delle mani con un video.
La strategia multimediale del Niguarda

E. Masturzo,1 M.G. Parrillo,3 C. Lattes2

1Direzione Medica di Presidio Ospedaliero; 2SC Qualità e rischio clinico;
3SS Comunicazione e Relazioni esterne;
ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, Milano

Introduzione. Secondo la Teoria del cono dell’apprendimento di Edgar Dale l’uomo ricorda il 10% di ciò che legge, il 20% di ciò che ascolta, il 20% di ciò che guarda, il 50% di ciò che vede e ascolta. La curva dell’apprendimento cresce con il crescere del coinvolgimento attivo. Il destino delle procedure, sovente percepite come un assedio della burocrazia, è invece invariabilmente quello di venire archiviate nei fascicolatori ed esiliate dalla pratica quotidiana. Un video è per converso molto più vicino alla realtà di quanto non sia un testo scritto. In una strategia di educazione multitasking il materiale audiovisivo può supportare il training o il consolidamento delle conoscenze degli operatori sanitari, specie se connotato da contenuti di storytelling tali da favorire un processo di compenetrazione e immedesimazione del fruitore paragonabili all’esperienza diretta. Metodi. Focalizzare l’attenzione su elementi essenziali, attivare automatismi mentali, minimizzare il carico cognitivo, alleggerire il trasferimento di informazioni divertendosi e rendere più intrigante e agile il percorso di apprendimento sono solo alcune delle funzioni psicologiche che giustificano il ricorso al video/tutorial nell’educazione degli adulti. Risultati. Come supporto alle politiche aziendali per la lotta all’antibiotico resistenza e alle infezioni correlate all’assistenza nel 2018 è stato realizzato un video dal titolo “Il delitto perfetto, educazione all’igiene delle mani” quale strumento di engagement dell’operatore e del paziente, ivi compreso quello meno ‘igienicamente alfabetizzato’. Il tutorial ha la trama di un thriller simile a “Il delitto perfetto” di Hitchcock con tanto di killer seriale, il germe (il primo in ordine di apparizione), di complice (le mani), di scena del crimine e flash back… ma con un lieto fine a base di soluzione alcolica. Il video è stato patrocinato dall’Ordine dei Medici di Milano e nel 2020, preconizzando le esigenze dei tempi, è entrato nel novero delle Buone pratiche per l’emergenza coronavirus di AGENAS. Conclusioni. Offrire prodotti multimediali, capaci di coinvolgere e orientare nelle decisioni è uno degli obiettivi della comunicazione a sostegno dell’educazione in ambito sanitario. Il tutorial, veicolato anche dai canali sociali dell’Azienda, ha raggiunto quasi 21.000 utenze di visualizzazione sul canale Youtube NiguardaTV a testimoniare una curiosità diffusa e un fabbisogno di semplificazione oltre i limiti dell’Ospedale Niguarda https://www.youtube. com/watch?v=gFDGHFv5LYA



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Analisi di correlazione tra compliance all’igiene
delle mani e consumi di gel idroalcolico
in due ospedali Torinesi

I. Canta, G. Libero, C. Vicentini, V. Bordino, C.M. Zotti

Dipartimento delle Scienze di Sanità Pubblica e Pediatriche,
Università di Torino

Introduzione. Le infezioni associate all’assistenza sanitaria (HAI), insieme alla resistenza agli antibiotici, sono uno dei principali rischi per la sicurezza del paziente negli ospedali, aumentando la morbosità e i costi dell’assistenza sanitaria. L’igiene delle mani (HH) è considerata la misura più efficace e più conveniente per la riduzione delle HAI. L’osservazione diretta è considerata il gold standard per la valutazione dell’HH, sebbene richieda molte risorse e sia soggetta a errori. Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare la compliance all’HH tra gli operatori sanitari in diverse tipologie di reparti, di valutare se esiste una relazione tra compliance e consumi di gel idroalcolico e se il gel può essere un valido indicatore. Metodi. Questo studio osservazionale è stato condotto per un periodo di tre mesi, tra febbraio e aprile 2021, in due ospedali specializzati facenti parte della Città della Salute e della Scienza di Torino: l’Ospedale Ginecologico S. Anna e l’Ospedale Infantile Regina Margherita (OIRM). Lo studio è stato condotto in 6 reparti: due unità di terapia intensiva, due reparti chirurgici e due day hospital. Le sessioni di osservazione in ogni reparto sono durate un’ora circa e hanno incluso un minimo di 200 osservazioni ciascuna; due degli autori dello studio fungevano da osservatori, opportunamente addestrati e affiancati da infermieri dedicati al controllo delle infezioni. Sono stati osservati medici, infermieri, personale ausiliario e qualsiasi altro personale sanitario presti assistenza nei reparti inclusi. La conformità all’HH è stata definita come l’azione di lavarsi le mani con acqua e sapone oppure di frizionare le mani con gel idroalcolico, ed è stata registrata per ogni occasione presentatasi durante il periodo di osservazione. Per misurare le indicazioni per l’HH è stato utilizzato l’approccio “cinque momenti per l’igiene delle mani” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: prima del contatto con il paziente, prima di una procedura asettica, dopo il contatto con fluidi corporei, dopo il contatto con il paziente, dopo il contatto con l’ambiente circostante. La compliance (codificata come sì o no) e il tipo di azione eseguita (con gel idroalcolico, con acqua e sapone, o non eseguita) per ogni occasione sono state registrate in tempo reale utilizzando l’app SpeedyAudit®. La compliance all’HH è stata calcolata come percentuale (numero di opportunità di HH rispettate/numero totale di opportunità di HH). Il volume totale di gel idroalcolico acquistato da ogni reparto nei mesi considerati è stato ottenuto dalla farmacia ospedaliera. I giorni-paziente (PD) sono stati calcolati per ogni reparto come la durata totale di degenza di tutti i pazienti ammessi durante il periodo di studio. Il consumo di gel per ogni reparto è stato espresso in litri per 1.000 PD. La correlazione di Spearman è stata utilizzata per studiare la relazione tra la conformità dell’HH e il consumo di gel. Risultati. Per quanto riguarda l’ospedale Sant’Anna, sono stati osservati i reparti di chirurgia oncologica (250 osservazioni, 60% compliance, consumo gel 12,82 L/1.000 PD), la terapia intensiva neonatale (282 osservazioni, 84% compliance, 30,15 L/1.000 PD) e il Day Hospital oncologico (377 osservazioni, 71% compliance, 4,71 L/1.000 PD). Per l’Ospedale Ostetrico Ginecologico S. Anna (OIRM) sono stati presi in considerazione il Day Hospital di Oncoematologia Pediatrica (242 osservazioni, 79% compliance, 14,38 L/1.000 PD), il reparto di anestesia e rianimazione (203 osservazioni, 75% compliance, 33,23 L/1.000 PD) e la Week Surgery (230 osservazioni, 73% compliance, 19,47 L/1.000 PD). È stata identificata una correlazione positiva fra compliance e consumo di gel idroalcolico, sebbene non statisticamente significativa con coefficiente di correlazione 0,657 (p=0,156). Conclusioni. I consumi di gel idroalcolico possono costituire un proxy per il monitoraggio dell’HH, con il vantaggio di evitare bias osservazionali e di richiedere meno tempo e risorse. Questo monitoraggio non permette tuttavia di ottenere informazioni importanti, quali le differenze nelle pratiche di HH tra i vari operatori e tra i 5 momenti, utili per l’implementazione di interventi di miglioramento della qualità dell’assistenza rivolti alle aree maggiormente problematiche e quindi da perseguire. Pur con tutti i limiti dell’uso del gel come indicatore di compliance all’HH, questo resta uno strumento semplice e di facile disponibilità per monitorare il comportamento di singoli reparti.


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Andamento del consumo di soluzioni idro-alcoliche
per l’igiene delle mani presso l’Ospedale di Cremona 2008-2021

A. Zoncada, M. Mancini, M. Tisi, G. Chiodelli, F. Bianchi,
L. Cimardi, P. Contini, S. Dal Zoppo, A. Ferraresi, D. Ferrari,
A. Grandi, M. Lupi, M. Milesi, A. Machiavelli, G. Maghini,
F. Pezzetti, M. Rossi, A. Pan

U.O. Malattie Infettive e CIO; ASST Cremona

Introduzione. Il consumo di soluzione idro-alcolica (CSIA) e la valutazione dell’adesione all’igiene delle mani secondo il metodo dell’Organizzazione Mondiale della Sanità rappresentano gli indicatori più precisi e più diffusamente disponibili per poter valutare il comportamento del personale sanitario nell’esecuzione di questa semplice, comune ed estremamente importante procedura assistenziale. Il CSIA, espresso in litri per 1.000 giorni di degenza (L/1.000 g deg), rappresenta il sistema più semplice e rapido di valutazione, facilmente a disposizione di ogni ospedale. Dal 2000 è attivo presso l’ospedale di Cremona un progetto per migliorare l’igiene delle mani e dal 2008 viene calcolato il CSIA. In questo studio presentiamo i dati relativi al CSIA dal 2008 al 2021, con una particolare analisi relativa al periodo della pandemia. Materiali e metodi. Lo studio è stato condotto presso l’Ospedale di Cremona, una struttura a cui afferisco due presidi ospedalieri, che attualmente ha a disposizione circa 550 posti letto. Vengono presentati i dati relativi al CSIA, forniti in L/1.000 g deg. Il consumo e il numero di giornate di degenza sono riferiti alla sola degenza ordinaria. I dati sono stati raccolti prospetticamente a cadenza trimestrale dal gennaio 2008 al giugno 2021. Dal 2008 al 2013 è stato raccolto il dato relativo al consumo globale, a partire dal 2014 il dato di consumo è suddiviso per unità operativa. Il dato viene fornito suddiviso per presidio ospedaliero – Cremona e Oglio-Po – con una sotto-analisi per unità operativa. È stato inoltre calcolato il numero di trimestri con uno CSIA adeguato: superiore a 20 L/1.000 g deg per i reparti di degenza comune, >90 per le terapie sub-intensive, >120 per le terapie intensive. Dal luglio 2020 al giugno 2021 è stato inoltre calcolato il numero medio di degenti affetti da Covid-19. Risultati. Il CSIA osservato presso il presidio ospedaliero di Cremona (POC) è passato da 0,9 L/1000 gdeg nel I trimestre del 2008 a 34,7 nel II trimestre del 2021; i consumi presso il presidio ospedaliero Oglio-Po (POOP) negli stessi trimestri sono stati rispettivamente 3 e 31,6 L/1000 gdeg. Il consumo più elevato è stato osservato in entrambi i presidi durante il II trimestre del 2020, in concomitanza alla prima ondata della pandemia di Covid-19: 55,6 L/1000 g deg a Cremona e 52,6 L/1000 g deg all’Oglio-Po. Il numero di trimestri con un consumo medio per presidio superiore a 20 L/1.000 g deg è stato di 8 a Cremona e 6 all’Oglio-Po. L’analisi relativa ai singoli reparti ha mostrato che nel 2014 3/27 reparti (11%) avevano uno CSIA adeguato, nel IV trimestre del 2019, appena prima della pandemia, i reparti erano 14/27 (52%), nel II trimestre del 2020, al picco pandemico, erano 26/29 (90%), infine nel II trimestre del 2021 i reparti con uno CSIA adeguato sono stati 20/23 (87%). Il numero medio di degenti affetti da Covid-19 è stato di 12 nel III trimestre 2020, di 84 nel IV trimestre 2020, di 112 nel I trimestre 2021 e di 50 nel II trimestre 2021. Conclusioni. Nel corso di oltre 13 anni di analisi i due presidi ospedalieri hanno avuto un andamento del CSIA sovrapponibile. Consumi accettabili si sono osservati presso il POC a partire dal 2019, prima della pandemia di Covid-19, mentre presso il POOP i consumi hanno superato la soglia critica dell’OMS solo in concomitanza alla pandemia. L’interpretazione dei consumi registrati durante la pandemia è molto complessa dato l’elevatissimo incremento (+>500%) dei letti di terapia intensiva osservato durante questo periodo, con il conseguente aumento del carico assistenziale e quindi un più alto fabbisogno di soluzioni idroalcoliche. Inoltre si deve considerare la necessità di auto-protezione dal Covid-19 da parte del personale sanitario. Il CSIA osservato nel II trimestre 2021, quando la media giornaliera di degenza di pazienti affetti da Covid-19 è stata solo relativamente elevata (50), insieme alla percentuale di reparti con un consumo adeguato ancora buona (87%) fa sperare che la pandemia di Covid-19 abbia rappresentato uno stimolo culturale con un effetto duraturo per poter avere una adesione all’igiene delle mani di buon livello negli anni a venire.




Miscellanea

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Età, biomarcatori e score radiologico predicono
il rischio di morte in pazienti ospedalizzati per Covid-19 grazie ad un modello di machine learning (BS-EWM)

E. Garrafa,2 M. Vezzoli,2 M. Ravanelli,1 D. Farina,1 A. Borghesi,1 
S. Calza,
2 R. Maroldi1

1Dipartimento di Specialità Mediche e Chirurgiche, Scienze Radiologiche e Salute Pubblica, Università di Brescia; 2Dipartimento di Medicina Molecolare e Translazionale, Università di Brescia.

Introduzione. Durante la pandemia moltissimi pazienti con sintomatologia simile sono giunti all’attenzione del Pronto Soccorso. Allo stesso quadro clinico corrispondevano però esiti diversi. Per facilitare il triage di questi pazienti è stato quindi sviluppato un modello in grado di predire precocemente il rischio di morte (BS-EWM), progetto finalizzato a supportare il clinico nella decisione di dove collocare questi malati (Brescia-Early Warning Model: BS-EWM). Metodi. In totale, 2.782 pazienti sono stati arruolati tra Marzo e Dicembre 2020. Tra questi 2.106 pazienti giunti in Pronto Soccorso durante la “prima ondata” dell’emergenza COVID-19 e 676 pazienti nella “seconda ondata”. I pazienti del primo gruppo sono stati divisi in 2 sottogruppi di cui 1.474 i cui dati sono stati utilizzati per sviluppare l’algoritmo, mentre i dati dei rimanenti 632 per validarlo. I dati dei 676 pazienti della seconda ondata sono invece stati utilizzati per testare il modello. L’algoritmo è stato sviluppato utilizzando come variabili: età, 17 biomarcatori e lo score radiologico, attraverso l’utilizzo dell’algoritmo Random Forest. Per validare le performance del modello sono state utilizzate le curve statistiche ROC (Receiver operating characteristic). Infine è stato implementato un “calcolatore” fruibile on line che è stato integrato con Sistema Informativo Laboratorio (LIS) dell’ospedale (https://github.com/biostatUniBS/BS_ EWS). Risultati. Oltre all’età, tra i biomarcatori i predittori più importanti sono risultati essere LDH, D-dimero, PCR, Ferritina e Neutrofili/Linfociti. L’area sotto la curva ottenuta dai tre gruppi (sviluppo del modello, validazione e test) sono risultati essere 0.98, 0.83 e 0.78 rispettivamente. Conclusioni. L’algoritmo predice la mortalità intraospedaliera sulla base di dati acquisibili rapidamente all’ammissione in Pronto Soccorso. Inoltre il calcolatore on line (https://github.com/biostatUniBS/BS_EWS) è di facile ed intuitivo utilizzo ed offre come risultato una percentuale di rischio di morte facilmente interpretabile. Il modello potrebbe essere utile al triage del paziente per definire, in base al rischio, ove sia più opportune ricoverare il paziente.


P34.

Impatto delle infezioni correlate all’assistenza
sulle richieste di risarcimento nel Veneto

M. Saia, C. Barbiellini Amidei, S. Kusstatscher, S. Bellio

Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. Nell’ambito della gestione del rischio clinico, e in particolare del complesso fenomeno delle infezioni correlate all’assistenza (ICA), si assiste talvolta all’utilizzo di flussi informativi non propriamente dedicati a fornire quadri epidemiologici attendibili in considerazione della natura di tali flussi, quali ad esempio il flusso delle richieste risarcitorie, strumento largamente utilizzato dalle compagnie assicurative per la gestione del contenzioso (claims management) e il contenimento delle perdite economiche (loss prevention). Metodi. Per dimensionare il fenomeno delle richieste di risarcimento in tema di ICA a livello regionale è stato condotto uno studio retrospettivo utilizzando come fonte informativa il flusso ministeriale SIMES, nel quale viene obbligatoriamente conferita la totalità delle richieste risarcitorie, considerando tutte le richieste per supposta ICA avanzate nel decennio 2010-2019, valutandone contestualmente lo scostamento temporale, ovvero la latenza con la quale è stata presentata la richiesta di risarcimento rispetto all’anno di accadimento. Per quanto concerne il trend, la percentuale è stata calcolata sulle richieste per danni a persona (lesioni personali e decessi), che nel periodo hanno rappresentato complessivamente l’83% delle richieste totali. Risultati. Le richieste di risarcimento per lesioni personali e decessi nel decennio considerato ammontavano a 12.283, con una netta prevalenza delle prime (n. 10.517 – 86%) rispetto ai decessi (n. 1.766 – 14%); le richieste inerenti a supposte ICA erano 698, ovvero il 5,7% del campione considerato, avanzate con uno scostamento temporale mediamente pari a 5 anni, progressivamente ridottosi nel corso degli anni con il dato relativo all’ultimo anno pari a 2 anni e 11 mesi. Mentre la distribuzione delle richieste di risarcimento ha evidenziato un complessivo calo, pari al 22% confrontando primo e ultimo anno dell’analisi per le categorie che annoverano le ICA come danno, ovvero lesioni personali e decessi, nel corso dell’ultimo anno si è assistito ad un significativo incremento delle ICA (n° 898), passate da 4,5% a 10,9% (X2 trend: 22,318; p<0,000). Estremamente rilevante inoltre, analizzando separatamente le due tipologie di danno, il marcato incremento delle ICA all’interno della categoria dei decessi (X2 trend: 35,436; p<0,000) che nell’ultimo anno considerato hanno rappresentato il 24% delle richieste di risarcimento per decesso. Per quanto concerne le sedi di supposta ICA riportate, escludendo le pratiche senza specifica (n. 196) pari al 28% delle richieste, le principali sedi erano sito chirurgico (66%) e le vie ematiche (29%) con percentuali marginali per le vie respiratorie (4%) e per quelle urinarie (1%), mentre per quanto concerne le aree assistenziali quella chirurgica era la maggiormente interessata (66%). Conclusioni. Quanto evidenziato in merito alle richieste di risarcimento per ICA rappresenta un dato che seppur contenuto, circa 70 richieste all’anno, è rilevante in considerazione dell’incremento percentuale sul totale delle richieste, con una richiesta su quattro per decesso ascrivibile ad una supposta ICA. Dalla numerosità e dalla distribuzione per sede evidenziata si conferma come l’analisi delle richieste di risarcimento non possa essere considerata in nessun caso come un attendibile indicatore dell’andamento di un fenomeno sanitario quale le ICA, confermando altresì come vi siano fattori “esterni” estremamente impattanti sul sistema risarcitorio quali, come riportato in letteratura, tetti ai risarcimenti, densità di avvocati e percentuale degli onorari degli stessi, ovvero tutto ciò che può rendere vantaggiose le contestazioni per malpractice.


P35.

Vaccino anti-Covid-19 nel personale sanitario presso l’Ospedale di Cremona: risposta anticorpale
a uno e sei mesi e infezioni intercorrenti

E. Mainardi, F. Sagradi, L. Cimardi, P. Brambilla, S. Dal Zoppo,
A. Ferraresi, M. Lupi, M. Milesi, S. Rizzardi, S. Storti, A. Zoncada, A. Pan, S. Testa

U.O. Malattie Infettive; ASST Cremona

Introduzione. Il controllo della pandemia di Covid-19 sta migliorando soprattutto attraverso la prevenzione vaccinale. Al personale sanitario italiano è stato somministrato, a partire dal dicembre 2020, il vaccino BNT-162B2. I dati relativi alla risposta sierologica e clinica al vaccino mostrano generalmente ottimi livelli di copertura e le infezioni intercorrenti sono rare. Presentiamo i dati relativi allo studio osservazionale sulla risposta anticorpale anti-Covid-19 e sulle infezioni intercorrenti osservate presso il personale dell’Ospedale di Cremona nel periodo 27/12/2020 - 25/8/2021. Materiali e metodi. Lo studio è stato condotto presso l’Ospedale di Cremona, una struttura a cui afferiscono due presidi ospedalieri. Al personale dipendente vaccinato, sia sanitario che non, è stata offerta la possibilità di eseguire una valutazione del titolo anticorpale anti-Covid-19 a distanza di 1, 6 e 12 mesi dopo il vaccino. Sono stati valutati sia gli anticorpi anti-nucleocapside, indice di infezione naturale, sia gli anticorpi anti-spike presenti anche nei soggetti vaccinati. Per il dosaggi degli anticorpi anti-nucleocapside è stato utilizzato il test anti-SARS-CoV-2 Elecsys della ditta Roche. Per il dosaggio degli anticorpi anti-spike è stato utilizzato il test LIAISON SARS-Cov-2 TrimericS IgG della ditta Diasorin. Valori <33,8 di unità di anticorpi leganti (binding antibody units - BAU)/mL per gli anticorpi anti-spike sono stati considerati negativi. Nei soggetti con titolo anticorpale >2080 BAU/mL non sono state eseguite ulteriori valutazioni del titolo. Per gli anticorpi anti-nucleocapside è stata fornita una risposta solo di tipo qualitativo: negativo o positivo. Nei soggetti con infezione intercorrente, definiti come la presenza di anticorpi anti-nucleocapside negativi al primo controllo e positivi al secondo controllo, è stata condotta una ricerca retrospettiva di eventuali tamponi per SARV-CoV-2 eseguiti durante il periodo di studio, nonché di eventuali ricoveri presso il nostro ospedale. Risultati. Hanno partecipato allo studio 1900 dipendenti dell’ASST d Cremona; di questi 1763 (93%) hanno eseguito il controllo a uno e sei mesi. La percentuale di risposta anticorpale a un mese è stata del 99,9% (1.762 soggetti positivi /1.763 soggetti testati, con un titolo mediano >2.080 e 390 soggetti con sierologia compatibile con pregressa infezione (22,1%). Al controllo a sei mesi dal vaccino sono risultati positivi 1.757/1.763 operatori valutati (99,7%) e la mediana del titolo anticorpale è risultata 430 BAU/mL. Al primo controllo un solo dipendente (0,06%) aveva un titolo anticorpale inferiore a 33,8 BAU/mL mentre al controllo a sei mesi i lavoratori con sierologia negativa erano sei (0,34%). In nove soggetti (0,51%) gli anticorpi anti-nucleocapside si sono negativizzati al secondo controllo. Sono stati identificate 12 (0,9%) infezioni intercorrenti su 1.373 soggetti che non avevano anticorpi anti-nucleocapside al primo controllo, ma che hanno sviluppato gli anticorpi anti-nucleocapside nel periodo compreso fra il primo e il secondo controllo. In 8/12 casi è stato eseguito il tampone molecolare per SARS-Cov-2, risultato positivo in sette casi. Fra questi soggetti nessuno è stato ricoverato. Conclusioni. La vaccinazione anti-Covid-19 ha cambiato radicalmente l’andamento della pandemia e ha permesso al personale sanitario di lavorare in sicurezza. La valutazione del titolo anticorpale ha evidenziato una risposta immunologica nel 99,9% degli operatori sanitari un mese dopo la seconda dose di vaccino. A sei mesi dalla seconda dose si è osservato un calo significativo del titolo anticorpale e la negativizzazione degli anticorpi anti-spike in cinque soggetti (0,34%). Lo 0,5% dei soggetti ha perso gli anticorpi anti-nucleocapside al secondo controllo. Nel periodo fra il primo e il sesto mese dopo la seconda dose di vaccino si è osservata un’infezione da SARS-CoV-2 in 12 soggetti, infezione che non ha determinato il ricovero in alcun caso. In conclusione, in una popolazione di persone in età lavorativa, il vaccino BNT-162B2 permette di avere titoli anticorpali positivi nei primi sei mesi dopo la seconda dose in oltre il 99% dei soggetti, con un’incidenza minima di infezioni asintomatiche e sintomatiche e nessun caso di ricovero e morte.


P36.

Ospedalizzazioni per infezione meningococcica
nella Regione Veneto

C. Barbiellini Amidei, S. Bellio, M. Segala, F. Bortolan, M. Saia

Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. L’infezione meningococcica (MI) rappresenta un importante causa primaria di meningite batterica e setticemia e la gestione della stessa è complicata dalla rapida progressione e dall’imprevedibilità del decorso, che, oltre a una elevata letalità, presenta significative sequele stimate tra il 10% e il 20%. Le MI interessano tutte le età manifestandosi prevalentemente in età pediatrica e con l’obiettivo di dimensionare le ospedalizzazioni per MI dei cittadini veneti nel periodo 2000-2020 è stata condotta un’analisi retrospettiva. Metodi. Avvalendosi del database regionale anonimo delle SDO sono state identificate le ospedalizzazioni per MI, tramite gli specifici codici ICD9-CM (036.xx). Come indicatori sono stati utilizzati il tasso annuo di ospedalizzazione (TO) e di mortalità intraospedaliera (TM), espressi per 100.000 residenti, valutandone l’andamento temporale e la significatività delle variazioni occorse. Risultati. Nel periodo analizzato sono state rilevate 408 ospedalizzazioni per MI per un totale di 5.623 giornate di degenza (DM: 13,8±11,6 gg.). Il TO si è attestato complessivamente a 0,41 per 100.000 residenti, con un TM, in virtù di 40 decessi, pari al 10,2% dei soggetti ospedalizzati, pari a 0,04; sia il TO che il TM sono risultati assolutamente sovrapponibili per genere. Per quanto concerne le classi di età maggiormente interessate, si conferma il dato relativo all’età pediatrica, con il 34,6% delle ospedalizzazioni in età prescolare che ha evidenziato un TO pari a 2,6 (OR:9,141; IC95%:7,453-11,209; p<0,0001), e il maggior TO, attestatosi a 6,9 (OR: 19,335; IC95%;14,708-25,429; p<0,0001), al di sotto dell’anno di età. Riguardo al TM, si evidenzia un eccesso di rischio nella popolazione in età prescolare rispetto alla popolazione generale (TM: 0,22; OR: 7,418; IC95%: 3,77-14,59; p<0,0001) con un TM al di sotto dell’anno pari a 0,45, oltre 10 volte la popolazione generale (OR: 12,46; IC95%:4,43-35; p<0,0001). Dall’analisi dei codici ICD9-CM è emerso come le patologie maggiormente rappresentate fossero la meningite meningococcica (60%) e la meningococcemia (30%), Sindrome Waterhouse-Friderichsen meningococcica (4%), gravate da una mortalità percentuale rispettivamente pari a 4%, 15% e 50%. L’andamento temporale ha evidenziato un importante e significativo decremento sia del TO (-80%; X2 trend: 43,671; p<0,0001), che del TM (-82%; X2 trend: 29,361; p<0,0001), passando, confrontando il primo e l’ultimo anno di osservazione, da 0,84 a 0,16, e da 0,13 a 0,04. Conclusioni. Quanto emerso, in linea alla letteratura e al dato nazionale, conferma l’impatto delle infezioni meningococciche sia in termini di ospedalizzazioni che di letalità, evidenziando nel contempo, pur con il limite di non differenziare le ospedalizzazioni per ceppo di meningococco, una significativa flessione plausibilmente riconducibile all’efficace strategia vaccinale impostata.


P37.

Analisi dell’impatto dell’epidemia di Covid-19 sull’attività di ricovero in malattie infettive nel Veneto

S. Bellio, S. Pedron, N. Gennaro, F. Avossa,
C. Barbiellini Amidei, M. Saia

Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. L’epidemia di COVID-19 ha avuto un importante impatto su tutto il SSN, sia a livello ospedaliero che territoriale. Con questo studio si intende quantificare l’impatto sull’attività di ricovero presso le unità di degenza di Malattie Infettive.
Metodi. Dall’archivio informatizzato anonimo delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) del Veneto si è operato un confronto dell’attività erogata nel biennio 2019-2020 selezionando le dimissioni dalle unità di Malattie Infettive (codice HSP 24), valutando contestualmente la dotazione di posti letto mensilmente attivati (flusso HSP 22). Per le analisi statistiche sono stati applicati il test t di Student per campioni indipendenti ed il test Chi-quadro. Risultati. Nel 2020 sono state registrate 8.949 dimissioni da unità di Malattie Infettive, quasi 2,5 volte in più rispetto al 2019 (n. 3.638), a fronte di un incremento del numero di posti letto attivati a livello regionale del 227%, da un numero medio pari a 153,4 nel 2019 a 502,2 nel 2020, distribuiti in 18 strutture ospedaliere, rispetto alle 11 individuate dalla programmazione, dei quali il 53% formalmente dedicati al COVID-19. Dal confronto con l’anno precedente, pur evidenziando una diminuzione da 63,7% a 59,2%, era maggiormente rappresentato il genere maschile, con un importante incremento della quota di ultrasessantacinquenni, da 34,5% al 59,6%, con l’età media del 2020 decisamente superiore al 2019 (67,6±18,2 Vs. 56±19,9 aa, p<0,001). Considerando i soli ricoveri ordinari, che nel biennio hanno rappresentato la quasi totalità dei ricoveri, nel 2019 il raggruppamento di DRG per categoria diagnostica (MDC - Major diagnostic categories) più rappresentato era il 18 - malattie infettive e parassitarie (n. 1.282, 35,6%), seguita dal 4 - malattie respiratorie (n.669, 18,6%), mentre nel 2020 l’assistenza ai malati di COVID ha portato ad un’inversione, con il 74,2% (n. 6.616) dei DRG riconducibili all’MDC 4 e solamente l’11,2% (n. 995) al MDC 18; ciò in virtù di una maggior rappresentazione nel 2020 dei DRG 79 e 80 relativi a infezioni e infiammazioni respiratorie con o senza complicazioni (n. 5.314, 59,6%), rispetto al DRG 576 - setticemia senza ventilazione meccanica e al DRG 423 - altre diagnosi relative a malattie infettive e parassitarie, i più rappresentati nel 2019, attestatisi rispettivamente a 15,3% e 10,3%. Meritevole di attenzione come nel 2020 la diagnosi principale più frequente, ovvero “polmonite in malattie infettive classificate altrove”, fosse presente nel 59,2% dei casi (n. 5.278), superando la dispersione di diagnosi “tipica” delle unità di malattie infettive, con la diagnosi principale più frequente nel 2019, rappresentata dalla setticemia attestatasi al 8,1%. Anche per quanto riguarda la modalità di dimissione si rilevano differenze consistenti nel biennio: con la riduzione delle dimissioni a domicilio (69,2% Vs 91,1%, p<0,001), e un forte incremento della mortalità intraospedaliera (12,9% Vs 3,1%, p<0,001), nel 2020 ascrivibile nel 74,5% dei casi a problematiche respiratorie (DRG 79, 80 e 87). Aumentate significativamente infine anche le dimissioni presso strutture residenziali (10,1% Vs 1,6%, p<0,001) ed i trasferimenti ad altri istituti (3,8% Vs 1,3%, p<0,001). Conclusioni. Nel 2020 si è assistito a un cambio radicale dell’attività infettivologica di degenza, sia in termini quantitativi, per il fortissimo aumento dei ricoveri ed il contestuale incremento di posti letto, sia in termini qualitativi, con la sostanziale modifica della tipologia di pazienti e patologie trattate. Ulteriori analisi riguardanti il numero ed il profilo professionale degli operatori sanitari coinvolti potranno fornire utili informazioni per una valutazione più globale della riorganizzazione delle unità di Malattie Infettive di fronte all’epidemia di COVID-19.


P38.

Attitudini, pratiche e fonti di informazione nei confronti della vaccinazione anti-Covid-19 in un campione di operatori sanitari italiani

F. Papini,1 S. Mazzilli,4 D. Paganini,1 L. Rago,1 G. Arzilli,1 A. Pan,3 A. Goglio,2 B. Tuvo,1 G.P. Privitera,1 B. Casini1

1Dipartimento di Ricerca traslazionale e delle nuove tecnologie in Medicina e Chirurgia, Università di Pisa; 2Direttivo Società Italiana Multidisciplinare per la Prevenzione delle Infezioni nelle Organizzazioni Sanitarie; 3Malattie Infettive ASST Cremona; 4Scuola Normale Superiore, Pisa

Introduzione. Gli operatori sanitari (OS) lavorano in prima linea nella lotta alla pandemia di COVID-19 e sono inevitabilmente esposti ad un rischio maggiore di contrarre l’infezione e di trasmetterla agli altri, inclusi i propri assistiti. La vaccinazione degli OS è un elemento cruciale della strategia contro COVID-19 per garantire i livelli essenziali di assistenza. Inoltre, data la nota associazione tra l’atteggiamento degli OS nei confronti delle vaccinazioni e la copertura vaccinale dei pazienti, l’esitanza vaccinale in questa popolazione potrebbe impattare sull’efficacia della campagna di immunizzazione. Per questo SIMPIOS ha condotto un’indagine trasversale attraverso la somministrazione di un questionario anonimo e volontario per valutare conoscenze, attitudini, fonti di informazione e pratiche fra gli OS in relazione alla vaccinazione per COVID-19.
Metodi. Il questionario è stato inviato alla mailing list della società scientifica nazionale SIMPIOS e alle direzioni delle principali strutture sanitarie del Servizio Sanitario Nazionale con la richiesta di distribuirlo agli OS. Il questionario è stato somministrato tramite la piattaforma Survey-Monkey dal 19 febbraio al 23 aprile 2021. I dati raccolti sono stati sottoposti ad analisi univariata e multivariata per identificare i fattori associati significativamente ed indipendentemente alle variabili di interesse. Risultati. Hanno risposto 2.137 operatori sanitari. L’esitanza verso la vaccinazione per COVID-19 è risultata maggiore negli OS di sesso femminile, in chi ha un minor livello di preoccupazione nei confronti di COVID-19, negli infermieri, negli operatori socio-sanitari (OSS) e negli assistenti sanitari. Tale esitanza sembra non essere rivolta esclusivamente alla vaccinazione contro il COVID-19, dal momento che le stesse categorie professionali hanno rifiutato di vaccinarsi anche contro l’influenza nella stagione 2020-21. Le categorie professionali maggiormente esitanti hanno una maggiore probabilità di non consigliare la vaccinazione né ai propri assistiti né ai propri familiari. La preoccupazione personale verso il COVID-19 influenza significativamente la pratica di consigliare la vaccinazione ai propri familiari, ma non ai propri pazienti. Dai dati dell’indagine emerge che gli OS accolgono in maggioranza l’obbligo vaccinale positivamente (61,22%). Il sesso femminile, un minor livello di istruzione, una maggiore esitanza vaccinale e la mancata adesione alle campagne vaccinali antinfluenzali sono risultati fattori in grado di influenzare l’avversione verso la vaccinazione obbligatoria. Le fonti istituzionali (es. WHO, ISS) sono ritenute le più affidabili da tutte le categorie professionali. La letteratura scientifica è più utilizzata dai professionisti che si occupano di controllo infezioni e igiene ospedaliera, malattie infettive, emergenze e area critica e da chi lavora nelle regioni del nord Italia. Gli OS del centro-sud, gli infermieri, gli OSS, i tecnici con ruolo sanitario, gli amministrativi e gli OS con un minor livello di istruzione privilegiano come fonti di informazioni internet, televisione, giornali e il parere di familiari ed amici. Conclusioni. La comunicazione a sostegno delle campagne di immunizzazione dovrebbe tenere conto delle differenze fra le varie categorie professionali, in modo da raggiungere in modo omogeneo tutte le professioni e coinvolgere più efficacemente anche i professionisti più esitanti.


P39.

Outbreak di Acinetobacter baumannii resistente
ai carbapenemi (CRAB) in un reparto di terapia intensiva generale durante l’epidemia di Covid-19

F. Benazzi,1 S. Formentini,2 F. Pietrobon,4 R. Ramon,4 
R. Carlesso,
4 M.G. Rizzotto,4 E. Vian,5 N. Menegotto,5 
G. Venturato,
3 M. Salemi4

1Direzione Generale AULSS2 Marca Trevigiana -Treviso;
2Direzione Sanitaria AULSS2 Marca Trevigiana -Treviso;
3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva Università di Padova - Padova; 4UOC Direzione Medica Ospedale Ca’ Foncello AULSS 2 Marca Trevigiana - Treviso; 5UOC Microbiologia Ospedale Ca’ Foncello AULSS2 Marca Trevigiana - Treviso

Introduzione. Durante la fase di picco epidemico di COVID-19 in un reparto di terapia intensiva generale istituito da novembre 2020 nel presidio ospedaliero di Treviso (Regione Veneto), sono stati riscontrati campioni positivi da broncoaspirato per Acinetobacter baumannii resistente a carbapenemi (CRAB) associabili ad un probabile outbreak. Il presente documento descrive le modalità di indagine epidemiologica supportate da prelievi ambientali e le caratteristiche dell’outbreak. Metodi. Tra fine dicembre 2020 ed inizio gennaio 2021 si individuava un probabile outbreak di batteri multiresistenti a seguito dell’isolamento di alcuni CRAB su esame colturale effettuato da broncoaspirato in pazienti sintomatici per infezione respiratoria. Il reparto era dotato di 8 posti letto dedicati alla gestione dei pazienti affetti da forme gravi di COVID-19. È stata condotta l’indagine epidemiologica a seguito della quale sono state implementate le misure di prevenzione e controllo delle infezioni in conformità con le recenti linee guida ministeriali: è stata rinforzata la pratica della puntuale igiene delle mani (secondo linee guida OMS), è stata raccomandata l’attuazione delle precauzioni da contatto, sono stati isolati i pazienti per coorte e sono stati raccolti ulteriori campioni da broncoaspirato e tampone rettale. Inoltre, sono stati prelevati dei campioni ambientali da diverse attrezzature e superfici in base alle evidenze suggerite dall’indagine epidemiologica (acqua di risciacquo del broncoaspiratore, filtri aria della sala dei ventilatori, tastiera e mouse di un computer del personale, tavolo servitore, carrello per terapia, touch screen di una pompa per infusione, superficie e sponde di un letto, angolo del pavimento di una stanza). Tutti i campioni sono stati analizzati in laboratorio tramite coltura su piastre petri Chocolate Agar Polyvitex. Negli isolati positivi è stata saggiata la minima concentrazione inibente (MIC) tramite antibiogramma con microdiluizione in brodo su micropiastra. Risultati. Il primo paziente positivo a CRAB è stato riscontrato il 27 dicembre 2020. A seguito del rilevamento di ulteriori positività, ad inizio gennaio 2021 si individuava un probabile outbreak e si avviavano le procedure per la prevenzione e il controllo delle infezioni. In totale fino al 19 gennaio 2021, sono stati riscontrati 15 pazienti positivi a CRAB. Nello specifico, 13 campioni sono stati prelevati da broncoaspirato e 2 da tampone rettale di sorveglianza. In 2 pazienti il ricovero è stato complicato da una sepsi associata a CRAB ed 1 è deceduto. Nel periodo considerato sono deceduti altri 3 pazienti positivi a CRAB senza evidenza di sepsi. Per quanto riguarda i campioni ambientali, di 4 filtri aria della sala prelevati da altrettanti ventilatori, 2 sono risultati positivi all’esame colturale suggerendo la necessità di cambiare i filtri di tutti i ventilatori. I filtri positivi mostravano segni macroscopici di polvere ambientale. Da segnalare che i 2 filtri negativi erano già stati sottoposti alla decontaminazione con cloro prima del prelievo. Nessun altro campione ambientale è risultato positivo. Per il miglioramento della situazione epidemica di COVID-19 e per poter procedere ad una congrua pulizia e sanificazione terminale degli ambienti, il reparto è stato temporaneamente chiuso il 19 gennaio 2021. Dopo la chiusura del reparto, non sono state rilevate altre positività riconducibili al suddetto outbreak nei tamponi di sorveglianza effettuati secondo protocollo. Conclusioni. Per quanto la ridotta numerosità della popolazione oggetto di studio non consenta di trarre delle conclusioni univoche, si segnala che in letteratura è stato descritto un possibile aumento della incidenza di infezioni di CRAB nelle terapie intensive dedicate ai pazienti COVID-19. Si evidenzia, inoltre, l’utilità del campionamento ambientale mirato a supporto dell’indagine epidemiologica per la definizione delle più opportune strategie da mettere in atto per il controllo e la prevenzione delle infezioni.


P40.

Analisi della risposta anticorpale in seguito a vaccinazione anti SARS-CoV-2 in operatori e ospiti
di residenze sanitarie per anziani in Piemonte

D. Meddis, C. Vicentini, V. Bordino, A.R. Corino, J. Garlasco,
N. Marengo, S. Di Tommaso, M. Giacomuzzi, G. Memoli,
C.M. Zotti

Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche,
Università degli Studi di Torino

Introduzione. Il SARS-CoV-2, agente eziologico della malattia da Coronavirus 2019 (COVID-19), identificato per la prima volta nella città di Wuhan nella provincia di Hubei, in Cina, il 31/12/2019, è stato dichiarato pandemico dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo 2020. La diagnosi di infezione attiva è confermata dalla Real Time-RT-PCR eseguita su campioni biologici prelevati tramite tampone rino-faringeo. Il test sierologico è invece fondamentale per valutare una precedente esposizione al virus, nonché la risposta anticorpale. L’entità e la cinetica della risposta anticorpale in seguito a infezione naturale e in seguito a vaccinazione non sono ancora state completamente definite. Lo scopo di questo studio multicentrico è stato quello di analizzare la risposta anticorpale successiva a vaccinazione anti-SARS-CoV-2 in soggetti ad alto rischio di esposizione al virus: operatori sanitari e ospiti di Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), e determinare se questa sia diversa tra le due categorie di soggetti partecipanti allo studio. Metodi. I partecipanti a questo studio sono stati reclutati su base volontaria tra ospiti e operatori sanitari di 14 RSA presenti sul territorio delle ASL TO3, CN1, AL della regione Piemonte. Lo svolgimento di questo studio è stato sottoposto all’autorizzazione da parte dei Comitati Etici delle Aziende Sanitarie coinvolte e successivamente del Comitato Etico dell’Università degli Studi di Torino. Lo studio ha previsto l’esecuzione di due prelievi ematici per il dosaggio di immunoglobuline IgG specifiche anti SARS-CoV-2. Il primo prelievo è stato effettuato prima della vaccinazione con vaccino Comirnaty (t0), e il secondo è stato programmato 10 giorni dopo il completamento del ciclo vaccinale (t1). Il test sierologico è stato eseguito utilizzando un kit immunoenzimatico (ELISA) per la determinazione di anticorpi diretti contro il dominio S1 della proteina spike di SARS-CoV-2 ricombinante. Il risultato, espresso in Unità Relative su ml (UR/ml), deve essere interpretato come <8 UR/ml: negativo, ≥8 - <11 UR/ml: borderline, ≥11 UR/ml: positivo. I titoli anticorpali a t0 e t1 di ogni soggetto sono stati confrontati utilizzando il test dei ranghi con segno di Wilcoxon. Per valutare se la risposta al vaccino era diversa a seconda della tipologia di soggetto partecipante, è stato condotto il Test di Mann Whitney U per confrontare titoli di operatori vs ospiti a t1. Risultati. In totale sono stati reclutati 379 soggetti, di cui 146 operatori e 233 ospiti, di età compresa tra 22 e 106 anni (media 61.4 anni). In totale, a t0 185 soggetti sono risultati positivi (titolo medio 251.98 UR/ml) e 180 negativi; in seguito a vaccinazione (t1) 375 soggetti sono risultati positivi (titolo medio 6893.89 UR/ml) e 2 negativi. Il test di Wilcoxon ha rilevato una differenza statisticamente significativa tra i titoli anticorpali a t0 e t1 (p<0.001). Il titolo IgG medio a t1 tra gli operatori era 3728.25 UR/ml, mentre tra gli ospiti era 9426.4 UR/ml. È stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nei titoli medi a t1 confrontando operatori e ospiti (p 0.002 al test di Mann Whitney U). Conclusioni. I risultati di questo studio supportano l’efficacia del vaccino Comirnaty in termini di consistente incremento di risposta anticorpale. La differenza riscontrata nei titoli di ospiti e operatori, con titoli significativamente più alti negli ospiti, potrebbe essere dovuta a fenomeni di boosting legati a circolazione continuativa di SARS-CoV-2 nelle RSA, ma anche a situazioni cliniche correlate alla pandemia degli ospiti delle RSA. È in programma l’esecuzione di un terzo prelievo a distanza di 8 mesi dalla vaccinazione per valutare la persistenza e l’entità della risposta anticorpale in seguito a vaccino.


P41.

Persistenza di SARS-CoV-2 post mortem.
Indagine osservazionale in ULSS 8 Berica

G. Fanchin,2 U. Nardi,2 V. Cirielli,2 N. Pasini,2 R. Tamiozzo,2 
R.J. Leali,
3 M. Pascarella,3 I. Cerbaro,3 M. Rassu,3 S. Mondino,1 
R. Cazzaro
1

1 Direzione Medica; 2 Servizio Medicina Legale; 3 U.O.C. Microbiologia
ULSS 8 Berica, Ospedale San Bortolo

Introduzione. I tamponi post- mortem per il rilevamento dell’RNA del Coronavirus 2 (SARS-CoV-2) sono stati raccomandati da diversi comitati scientifici e istituzioni per ridurre il rischio di diffusione del virus negli operatori addetti alla medicina necroscopica e per consentire la partecipazione dei familiari alle esequie. Gli scopi di questa indagine sono quelli di: 1. identificare le salme positive al SARS-CoV-2 provenienti dal territorio/abitazioni; 2. conoscere quanto tempo persiste il virus dopo la morte del soggetto; 3. permettere, in caso di negatività al virus, di dar corso alle esequie senza ricorrere alla chiusura immediata del feretro. Metodi. Nei casi sospetti di Covid abbiamo eseguito il test antigenico con conferma con il test molecolare. Il test antigenico rapido di prima generazione è stato eseguito con il Kit Relab SD Biosensor seguito, nel caso di test positivo, dalla conferma con il tampone molecolare. Il campione per il test molecolare è stato raccolto in provetta con terreno di trasporto UTM Copan; la PCR real time SARS-CoV-2 eseguita con la piattaforma MDX Diasorin. Questa valutazione sulle salme pervenute dal territorio è stata condotta da novembre 2020 fino a maggio 2021. Sono stati effettuati tamponi su 246 salme. I tamponi sono stati eseguiti in 9 salme il giorno dopo il decesso, 1 dopo 2 giorni, 2 dopo 6 giorni e 1 dopo 20 giorni. Risultati. Sono stati eseguiti 246 tamponi antigenici rapidi di cui 235 sono risultati negativi; 11 salme sono invece risultate positive al test antigenico. Tre tamponi negativi al test antigenico, per il forte sospetto clinico, sono stati riesaminati anche con il test molecolare che ha dato esito positivo; in un caso il decesso risaliva a 20 giorni prima dell’esecuzione del test antigenico risultato negativo. Tutti gli 11 campioni positivi al test antigenico rapido sono stati confermati al test molecolare. Conclusioni. La persistenza di SARS-CoV-2 nei cadaveri non è ancora stata chiarita e solo pochi dati di letteratura hanno sottolineato l’importanza di valutare l’RNA del virus nei tessuti post-mortem. I medici necroscopi, constatata la morte mediante visita necroscopica, per ridurre il rischio infettivo sono tenuti ad osservare in ogni caso la massima cautela, come se la persona defunta fosse portatore asintomatico di SARS-CoV-2. Dai nostri dati emerge che il test molecolare dotato di maggiore sensibilità eseguito anche a distanza del decesso fino a 20 giorni permette di rilevare il virus e quindi consente di ridurre il rischio di trasmissione per gli operatori della medicina necroscopica e in caso di negatività permette di dar luogo alle esequie con la presenza dei familiari.


P42.

Impiego di un test molecolare rapido per la ricerca
di SARS-CoV-2 in pronto soccorso

M. Zanatta,2 R.J. Leali,1 F. Amabile,1 D. Basile,1 F. Cardullo,1 
E. Fabris,
1 N. Gonzato,1 G. Gonzo,1 G. La Pietra,1 M. Pizzi,1 
S. Rampazzo,
1 O. Riccardo,1 G. Trotta,1 L. Vucinic,1 I. Cerbaro,1 
M. Pascarella,
1 M. Rassu1

1U.O.C. Microbiologia Ospedale San Bortolo Vicenza;
2U.O.S. Accettazione e Pronto Soccorso Ospedale di Valdagno
AUlss 8 Berica

Introduzione. Il test ID Now Abbott su campioni nasofaringei è un saggio molecolare LAMP che fornisce il risultato in 13 minuti più 1 minuto di tempo manuale. Lo scopo dello studio è valutare la performance del test versus il metodo molecolare RT PCR in uso nel nostro laboratorio (SARS-CoV-2 Cobas 6800 Roche) e la riduzione del turn around time (TAT). Metodi. Sono stati analizzati 72 campioni prelevati a pazienti con accesso in Pronto Soccorso dell’Ospedale di Valdagno. Su ogni paziente è stato eseguito sia un tampone nasofaringeo raccolto con floqswab Copan senza terreno di trasporto sia un tampone nasofaringeo raccolto in provetta Copan UTM. I tamponi senza terreno di trasporto sono stati esaminati con ID Now Abbot test molecolare LAMP, i tamponi raccolti in UTM sono stati processati con lo strumento Cobas 6800 seguendo le indicazioni delle Aziende produttrici. Laboratory workflow: - Il test rapido molecolare ID Now Abbott: 13 minuti per la lettura e 1 minuto di lavoro manuale per saggio TAT: 16 minuti; il risultato positivo si ha in circa 6 minuti. - Il test molecolare Roche Cobas richiede 4 ore (3 ore e mezzo fase analitica e 30 minuti fase preanalitica di aliquotazione dei campioni) a cui si deve aggiungere il tempo per il trasporto del campione dal Pronto Soccorso al laboratorio di Microbiologia TAT intralaboratorio 4 ore. Risultati. Sui 72 campioni esaminati, 66 test erano concordanti (6 positivi, 60 negativi); in 6 casi il test ID Now è risultato invalido mentre la PCR real time era negativa. Questi sei casi invalidi si sono verificati nei primi giorni di utilizzo del test e ritestati si sono rivelati negativi. I 6 campioni positivi avevano CT compresi tra 17 e 33. Conclusioni. I dati ottenuti dimostrano che il test rapido molecolare, se eseguito secondo le indicazioni del produttore, dimostra una ottima sensibilità. Il riscontro di casi di campioni invalidi, negativi alla ripetizione del test, dovuti ad un mancato rispetto delle procedure analitiche e ad una esigua manualità, dimostra la necessità di una formazione e addestramento del personale dedicato. L’utilizzo di un test molecolare rapido riduce notevolmente il TAT ed è di supporto al clinico in quanto gli permette una migliore gestione dei pazienti nelle aree di emergenza evitando la diffusione del virus nei reparti ospedalieri.