Un anno dopo… no: non è andato tutto bene…

A year later ... no: not everything went well ...



Mattia Maggioni

Psicologo, psicoterapeuta, psicoanalista
Presidente dell'ASP
Bergamo


Dopo quasi due anni dall’esplosione della pandemia nel nostro Paese e nel mondo (la famosa/famigerata zona rossa risale ai primi di marzo del 2020 ) possiamo iniziare a tratteggiare una prima valutazione degli effetti a lungo termine dell’“esposizione psichica “all’esperienza relativa al COVID.

Sottolineo questo aspetto perché mentre al momento non ci sono evidenze di un impatto diretto a livello neurofisiologico del contagio da SARS-CoV-2 sulle strutture psichiche, cognitive (anche se alcuni filoni di ricerca sembrano suggerire una possibile correlazione con deficit mnestici e stati di “confusione”) ed affettive, si accumulano invece le evidenze delle conseguenze psichiche dell’“ esperienza” (o del vissuto) di tutto ciò che è stato generato dalla pandemia.

Un recente studio condotto in Italia dall’istituto universitario Humanitas su un campione di 2.400 persone ha prodotto i seguenti risultati:

— incidenza di sintomatologie di franca sofferenza psichica per oltre il 70% della popolazione, sia durante i vari lockdown che, soprattutto, dopo;

— sintomatologie ricorrenti rilevate sono ansia, disturbi del sonno, disturbi dell’umore, difficoltà relazionali, perdita di concentrazione, spossatezza fisica e psichica;

— sono aumentate anche le sindromi/sintomatologie di rilevanza clinica (diagnosticate come francamente patologiche), in particolare:

• + 14% di pazienti che per la prima volta hanno fatto uso di ansiolitici/ipnotici,

• +10% di pazienti che per la prima volta hanno fatto uso di antidepressivi,

• 19% di pazienti in cura farmacologica aumenta il dosaggio,

• + 21% di sintomatologie ansiose clinicamente rilevanti,

• + 20% di disturbo post traumatico da stress (PTSD),

• + 28% di sintomi ossessivo/compulsivi disturbanti ed interferenti con la quotidianità.




Sono numeri drammatici che descrivono una situazione di profonda crisi e che, soprattutto, introducono un tema sostanziale relativo alla definizione stessa di trauma e, conseguentemente, alla presa in carico della sofferenza ad esso connessa.

Nella definizione classica di Mitchell (1996) “un evento si definisce traumatico quando è improvviso, inaspettato ed è percepito dalla persona come minaccia alla sua sopravvivenza, suscitando un sentimento di intensa paura, impotenza, perdita del controllo, annichilimento”; se questa definizione si rivela perfettamente adatta all’impatto iniziale con la pandemia, risulta però priva di una dimensione fondamentale nel tentativo di descrivere la complessità dei processi psichici di cui ci stiamo occupando ovvero la continuità nel tempo di diversi “vissuti potenzialmente traumatizzanti” ripetuti nel corso di questi ultimi due anni.

Da diversi anni le neuroscienze da un lato e la psicoanalisi dall’altro sono arrivati a definire in modo chiaro le basi e le conseguenze neurofisiologiche dei vissuti traumatici descrivendo diversi tipi di “esperienze traumatiche”. Khan, ad esempio, ci aiuta molto con il suo costrutto del “trauma cumulativo” nel darci un contesto in cui inserire le riflessioni cliniche basate sui dati numerici: non è stata tanto l’esposizione al “trauma naturale” a causare la sofferenza psichica, ma la continua esperienza di vissuti francamente traumatici a livello intrapsichico ed affettivo/relazionale nel corso del tempo. Lo stesso Liotti ci ricorda che non sono i “traumi naturali” a provocare la dissociazione (sintomatologia gravissima in cui la personalità è divisa e inconsapevole) ma solo la relazione umana “andata male” ovvero la difficoltà a sentirsi “sufficientemente sicuri” nella rappresentazione di sé nel rapporto con l’altro.

Risulta credo evidente come l’isolamento forzato, la sospensione delle possibilità reali di incontro con l’altro, il senso generale di incertezza e di instabilità, la speranza illusoria di “essere ormai alla fine del tunnel” periodicamente frustrata, abbiano costituito un “habitat ideale” per l’insorgere e proliferare di sintomatologie ansiose e depressive anche per effetto della lenta e costante erosione delle risorse psichiche ed emotive delle persone.

Ad ogni ondata pandemica con relativa restrizione delle possibilità di svolgere una vita “normale” ha fatto seguito una diffusa esperienza di frustrazione delle attese di guarigione: ad ogni ondata ci si ripeteva “dai, è l’ultimo sforzo... manca poco” proiettando nel futuro le legittime attese salvifiche senza avere la possibilità di “razionare” le proprie risorse, spinti dall’urgenza e dalla speranza, generando quindi inevitabilmente una nuova caduta di tenore depressivo, spesso manifestatasi con sintomi anche produttivi come la rabbia esplosiva (l’innalzamento del livello di conflittualità ed aggressività soprattutto sui social media ne è uno specchio tanto drammatico quanto preciso) o i comportamenti autolesivi, aumentati esponenzialmente soprattutto negli adolescenti.

Roberto Goisis e Vittorio Lingiardi, pur partendo da punti di osservazioni diversi, hanno descritto entrambi in varie occasioni un fenomeno psichico piuttosto rappresentativo del livello di angoscia generalizzata del periodo pandemico: i sogni delle persone sono permeati da vissuti e contenuti spesso simili proprio perché nei periodi di emergenza globale anche i sogni, come i vissuti, tendono a diventare “collettivi”, fedele espressione di un disagio che si è “endemizzato” ben prima del virus ed i cui effetti a lungo termine probabilmente ci troveremo ad affrontare per molto tempo ancora visto che, diversamente dalla variante attualmente prevalente, non pare in alcun modo aver perso la sua “carica patogena” (diversi autori parlano di “quinta ondata” riferendosi proprio a quella relativa alla sofferenza psichica ).

Quando anche il presidente del CNOP ( il consiglio nazionale dell’ordine degli psicologi ) arriva a dire, nel corso di un recentissimo convegno nazionale, che “avere un disagio psicologico ci rende più vulnerabili, rende il nostro sistema immunitario più fragile… avere in corso una situazione depressiva aumenta di 8 volte la possibilità di ammalarsi di Covid” si evidenzia come diventi fondamentale inserire la cura del malessere psichico all’interno delle strategie di contenimento degli effetti della pandemia.

In particolare risulta delicatissima la situazione degli adolescenti, pesantemente penalizzati dalla chiusura prolungata delle scuole che, mai come in questo frangente, si è dimostrata davvero essere un luogo fondamentale di incontro, crescita, espressione e sperimentazione di sé nel rapporto con gli altri: un’ampia metanalisi recentemente pubblicata su Jama pediatrics (29 studi condotti su un totale di 80.000 giovani in diversi Paesi del mondo) rileva che il 25% degli adolescenti presenta sintomi clinici di tipo depressivo ed il 20% disturbi d’ansia. Privati per mesi della possibilità concreta di ciò che, soprattutto in quel momento dello sviluppo della personalità, è vitale tanto quanto il respirare, ovvero l’incontro con l’altro nel gruppo di pari, gli adolescenti si trovano esposti ad una sorta di “tempesta perfetta” senza aver avuto la possibilità spesso di poter accedere ad alcun tipo di sostegno strutturato: scuole chiuse, limitazione delle possibilità di incontro e socializzazione, sistemi famigliari messi alla prova dalla pandemia portano frequentemente ad isolamento sociale, quadri clinici francamente depressivi ed un considerevole aumento dei comportamenti di tipo autolesivo .




Sappiamo da tempo che lo sviluppo di sindromi depressive durante l’adolescenza è un elemento predittivo molto significativo di quadri patologici nell’età adulta, ma è pur vero che, come ricorda ancora Goisis, questa correlazione vale per le sintomatologie che non vengono “viste”, diagnosticate, riconosciute e prese in carico; occorre quindi prestare la massima attenzione ai correlati comportamentali della sofferenza psichica ed offrire ascolto e possibilità di accesso a percorsi di presa in carico .

Concludo queste brevi riflessioni ben consapevole di aver tralasciato altri ambiti che meriterebbero un approfondimento partendo dai dati della ricerca: uno per tutti l’effetto diretto sulla popolazione sanitaria...  Un buon argomento per un eventuale terza puntata di questo mini reportage dal “pianeta psicologia”.

Vi lascio con le parole sempre lucide ed illuminanti di Edgard Morin nel corso di un’intervista rilasciata a “franceinfo – cultura” in occasione del suo centesimo compleanno a gennaio 2021, spietatamente precise nella descrizione dei processi, ma comunque colme di speranza.


“Sono rimasto sorpreso dalla pandemia, ma nella mia vita

sono abituato a vedere accadere l’imprevisto.

L’arrivo di Hitler è stato inaspettato per tutti.

Il patto tedesco-sovietico è stato inaspettato e incredibile.

L’inizio della guerra algerina è stato inaspettato.

Ho vissuto solo per l’imprevisto e l’abitudine alle crisi.

In questo senso, sto vivendo una nuova, enorme

crisi che ha tutte le caratteristiche della crisi.

Cioè, da un lato suscita l’immaginazione creativa e

suscita paure e regressioni mentali. Cerchiamo tutti

la salvezza provvidenziale, ma non sappiamo come.

Devi imparare che, nella storia, l’imprevisto

accade e accadrà di nuovo. Pensavamo di vivere di

certezze, statistiche, previsioni e dell’idea che

tutto fosse stabile, quando già tutto cominciava a

entrare in crisi. Non ce ne siamo accorti.

Dobbiamo imparare a convivere con l’incertezza,

cioè ad avere il coraggio di affrontare, essere pronti a

resistere alle forze negative.

La crisi ci sta rendendo più pazzi e più saggi. Una cosa e

un’altra. La maggior parte delle persone perde la

testa e altre diventano più lucide. La crisi favorisce

le forze più opposte. Vorrei che fossero le forze

creative, le forze lucide e coloro che cercano una

nuova strada, quelle che si impongono, anche se

sono ancora molto disperse e deboli.

Possiamo giustamente indignarci, ma non dobbiamo

rinchiuderci nell’indignazione …

La mente deve affrontare le crisi per dominarle e superarle.

Altrimenti siamo le sue vittime …

Alla vigilia del mio centesimo compleanno, cosa

posso desiderare? Auguro forza, coraggio e

lucidità. Abbiamo bisogno di vivere in piccole oasi

di vita e di fraternità”.


Bibliografia

1. Broomberg PM. Clinica del trauma e della dissociazione. Standing in the spaces. Milano: Raffello Cortina, 2007.

2. Broomberg PM. L’onda dello tsunami. La crescita della mente relazionale. Milano: Raffello Cortina, 2012.

3. Caretti V, Craparo G. Trauma e psicopatologia. Un approccio evolutivo relazionale. Roma: Astrolabio, 2008.

4. Craparo G, Ortu F, van der Hart O. Riscoprire Pierre Janet. Trauma dissociazione e nuovi contesti per la psicoanalisi. Milano: Franco Angeli, 2020.

5. Ferenczi S (1929). Il bambino indesiderato e il suo istinto di morte. In: Fondamenti di Psicoanalisi Vol. III. Ulteriori contributi (1908-1933). Rimini: Guaraldi Editore, 1974.

6. Goisis R, Moroni AA. Lock-mind: due diari dalla pandemia. Brescia: Enrico Damiani Editore, 2022.

7. Khan MMR (1963). Il concetto di trauma cumulativo. In: Lo spazio privato del Sé. Torino: Bollati Boringhieri, 1979.

8. Liotti G, Farina B. Sviluppi traumatici. Eziopatogenesi, clinica e terapia della dimensione dissociativa. Milano: Raffaello Cortina, 2011.

9. Mucci C. Trauma e perdono. Una prospettiva psicoanalitica intergenerazionale. Milano: Raffaello Cortina, 2014.

10. Pozzetti R, Grimaldo E, Rotolo L (a cura di). Verità e segreti del Covid-19. Le ondate della pandemia. Roma: Alpes Italia, 2021.

11. Van der Hart O, Ellert RS, Steele K. Fantasmi del sé. Trauma e trattamento della dissociazione strutturale. Milano: Raffaello Cortina, 2010.