X Congresso Nazionale SImPIOS

Ancona 26-28 settembre 2022


Poster

Sorveglianza clinica delle IOS/ICA
e delle pratiche assistenziali


P1.

Sorveglianza delle infezioni dopo endoscopia urologica: descrizione di una casistica

R. Novati 1, A. Gorraz 1, T. Viviano 1, G. Occhipinti 1, C. Galotto 1

1Direzione sanitaria, Ospedale regionale di Aosta

Introduzione. La chirurgia urologica è sempre più spesso sostituita dalle tecniche interventistiche endoscopiche, a rischio di complicanze infettive, causa l’uso di tecniche invasive con strumentario non sterile e la frequente presenza di litiasi delle vie urinarie; vi è tuttavia carenza di studi di incidenza di complicanze infettive in questi pazienti. Con questo studio abbiamo analizzato le complicanze infettive dopo endoscopia urologica in una popolazione di casi consecutivi sottoposti a procedura. Metodi. Da Luglio 2021 sono stati analizzati gli interventi consecutivi di endoscopia urologica. La prima fase della sorveglianza si svolge in reparto, tramite scheda che riporta a- età, sesso paziente e ASA score b- esito dell’urinocoltura pre intervento c- profilassi antibiotica d- durata intervento e- uso di materiale protesico f- durata cateterismo vescicale g- comparsa di febbre >37,5 C il giorno dell’intervento h- tipo e durata di eventuale terapia antibiotica post intervento I- esito urinocoltura e/o emocoltura di controllo. La seconda parte della sorveglianza è svolta tramite intervista telefonica a 10/14 giorni dall’intervento, ed indaga la comparsa di febbre e/o infezione delle vie urinarie sintomatica, definita come da criteri ECDC 2016. Risultati. Sono stati studiati 99 pazienti, età media 69 anni, i maschi erano l’89,8%, il 46% dei pazienti erano ASA 3. L’intervento più frequente era la resezione transuretrale di lesione vescicale o neoplasia, seguito da estrazione endoscopica dall’uretere di: coagulo di sangue, calcolo ecc. L’urinocoltura pre intervento era positiva in 26/95 pazienti casi (27,4%), in un caso per Klebsiella CRE. Gli antibiotici più usati in profilassi sono cefazolina (72,5%) e gentamicina (11,5%); la durata media dell’intervento è di 37 minuti (range: 8-156), del cateterismo post operatorio di 2 giorni; in 19 pazienti è stato posizionato materiale protesico. La degenza media era di 5,6 giorni (range: 3-20). Alla dimissione è stata prescritta terapia antibiotica in 18/69 pazienti (26%), il farmaco maggiormente prescritto era la ciprofloxacina. In 9/99 pazienti è comparsa febbre il giorno dopo l’intervento, in 5/9 era stato posizionato materiale protesico; emo- ed urinocolture erano negative in tutti e 9 i casi. All’intervista post dimissione l’86% dei pazienti presenta sintomatologia locale, mentre un solo paziente ha riferito comparsa di febbre, con successivo ricovero per urosepsi da Escherichia coli ESBL produttore, ad esito favorevole. Discussione e Conclusioni. I nostri dati suggeriscono che le complicanze infettive dopo endourologia sono infrequenti se non rare, anche se il comune riscontro di sintomi post traumatici locali potrebbe sottostimare l’incidenza di infezione. Ci sentiamo di raccomandare l’urinocoltura pre intervento, che può indirizzare la profilassi peri operatoria, mentre nel nostro Ospedale la prescrizione di antibiotico alla dimissione merita un approfondimento in termini di appropriatezza. Non ultimo, i nostri dati suggeriscono particolare attenzione al follow-up dei pazienti con posizionamento di materiale protesico. Infine, sarebbe come sempre interessante il confronto con analoghe esperienze.


P2.

Appropriatezza prescrittiva e idoneità dei campioni
di emocoltura in AUSL della Romagna

N. Marcatelli 1, S. Alvisi 1, A. Amadori 1, M. Assirelli 1, A. Boschi1,
E. Cimatti
1, M. Fantini 1, M. Leopardi 1, E. Magalotti 1,
V. Magnani
1, M. Malavolti 1, M. Minghetti 1, A. Pazzini 1,
M.F. Pedna
1, V. Sambri 1, L. Savegnago 1, C. Biagetti 1

1 AUSL della Romagna

Introduzione. La sepsi è una condizione clinica grave, potenzialmente letale, correlata a morbilità e mortalità elevate con costi economici molto elevati. Nei casi di sospetta sepsi, l’emocoltura rappresenta il gold standard della diagnosi microbiologica. La corretta esecuzione del prelievo, la rapida identificazione dei microrganismi nel torrente circolatorio e il relativo antibiogramma sono essenziali per l’impostazione precoce di una terapia mirata, soprattutto in caso di microrganismi multiresistenti. L’isolamento colturale di microrganismi dal sangue, non solo possiede quindi un importante valore diagnostico, ma anche prognostico e terapeutico. Secondo le raccomandazioni internazionali le emocolture da vena periferica contaminate non dovrebbero essere più del 3%. Per l’esecuzione delle emocolture in AUSL Romagna erano utilizzate procedure distinte, una per ciascun Ambito Territoriale (Rimini, Ravenna, Forlì, Cesena). Nel 2019 la Struttura Programma per la gestione del rischio infettivo ed uso responsabile degli antibiotici (SPIAR), ha programmato la redazione di una procedura aziendale, al fine di migliorare ed uniformare l’appropriatezza prescrittiva e i comportamenti degli operatori sanitari nell’esecuzione del prelievo per ridurre le contaminazioni e il numero di emocolture rispetto alle giornate di degenza in costante crescita negli anni. Metodi. La procedura aziendale denominata “Emocoltura perché?”, per i pazienti di età superiore a 14 anni, è stata redatta da un gruppo multidisciplinare costituito da Infettivologi, Microbiologi, Infermieri Specialisti in Rischio Infettivo (ISRI) e medici di Pronto Soccorso. Valutate le più recenti linee guida, sono stati definiti i criteri di appropriatezza prescrittiva, esecuzione, trasporto e refertazione delle emocolture da vena periferica e da CVC. I punti di forza sono: indicazioni per la richiesta dell’esame in base alla patologia e la modalità di prelievo “Single-Sampling Strategy” (SSS) che utilizza un’unica venipuntura per il prelievo di 4 flaconi, in sostituzione alla precedente “Multi-Sampling Strategy” (MSS) che utilizza più venipunture per il prelievo dei set, applicabile solo in caso di endocardite o febbre di origine ignota; la richiesta informatizzata costruita con sistemi di “blocco” e di “alert” del laboratorio. A giugno 2021 la Procedura è stata pubblicata sull’intranet aziendale e diffusa al personale medico, infermieristico ed ostetrico dell’AUSL della Romagna tramite 4 webinar registrati con relazioni di infettivologo, microbiologo ed ISRI. È stata creata una Formazione a Distanza (FAD) per diffondere capillarmente a tutto il personale di ogni Unità Operativa le nuove indicazioni sull’emocoltura (slide e video). Risultati. Sono stati confrontati i dati nei due semestri 2021, pre e post introduzione procedura, relativi alla percentuale d’idoneità (prelievo di almeno 2 set, costituiti da flacone aerobio e anaerobio) e percentuale di contaminazione (riscontro positività di 2 o più flaconi con stesso microrganismo possibile contaminante con stesso antibiotico). I dati del secondo semestre mostrano un miglioramento statisticamente significativo rispetto al precedente, in dettaglio l’idoneità aumenta dal 90% al 98% (p=0.000, test sulle proporzioni) superando ampiamente il valore soglia indicato nella procedura del 95% e le contaminazioni diminuiscono dal 7% al 6% (p=0.002, test sulle proporzioni), valore ancora superiore al 3% indicato in letteratura. Il numero di emocolture da vena periferica su 1.000 giornate di degenza aveva negli anni un trend in crescita (23.7 nel 2018, 24.7 nel 2019, 26.6 nel 2020 e 28.9 nel 2021) ma confrontando i 2 semestri 2021 si evidenzia una lieve flessione da 29.3 a 28.4 esami su 1.000 GD (giornate degenza). Discussione e Conclusioni. Al fine di valutare l’impatto dell’introduzione e totale applicazione della nuova procedura in tutte i setting sarà necessario prolungare il periodo di osservazione ed intervenire eventualmente con azioni correttive solo in quelle che mostreranno particolari criticità. Verranno monitorati: percentuale di emocolture contaminate e numero di emocolture eseguite su 1.000 GD.


P3.

Sorveglianza delle sepsi da Acinetobacter baumannii, Klebsiella pneumoniae e Pseudomonas aeruginosa
multi-resistenti in un ospedale di secondo livello: considerazioni e tendenze nel triennio 2018-2020

J. Garlasco 1, I. Beqiraj 2, C. Bolla 3, E.M.I. Marino 4, C. Zanelli 5,
C. Gualco
5, A. Rocchetti 6, M.M. Gianino 1, C.M. Zotti 1

1 Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino, Torino; 2 Scuola di Medicina, Università del Piemonte Orientale “Amedeo Avogadro”, Novara; 3 SC Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria; 4 SS Prevenzione e
Controllo Infezioni Ospedaliere, Azienda Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria;
5 SS Controllo di Gestione e Qualità, Azienda Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria;
6 SC Microbiologia e Virologia, Azienda Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo”, Alessandria

Introduzione. Le infezioni correlate all’assistenza costituiscono un problema rilevante in sanità pubblica, specialmente per quanto concerne i microorganismi Alert, sottoposti a sorveglianza nazionale su indicazione del Ministero della Salute per alcune loro caratteristiche intrinseche tra cui l’antibiotico-resistenza. Questo studio intende analizzare gli episodi di sepsi correlate all’assistenza avvenuti presso l’Azienda Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo” di Alessandria nel triennio 2018-2020 e causati da microorganismi multi-resistenti agli antibiotici delle specie Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii e Pseudomonas aeruginosa, valutandone le tendenze in termini di proporzioni eziologiche relative, antibiotico-resistenza e agenti antimicrobici usati per la terapia. Metodi. Sulla base dei dati relativi ai pazienti, ricoverati presso l’Azienda Ospedaliera “SS. Antonio e Biagio e Cesare Arrigo” di Alessandria tra il 2018 e il 2020 e che hanno sviluppato sepsi da A. baumannii, K. pneumoniae o P. aeruginosa multi-resistenti, è stato concepito uno studio osservazionale con disegno di coorte retrospettivo. Dal database della Struttura Complessa di Microbiologia è stato selezionato il set di pazienti con sepsi causate dai batteri citati, i cui antibiogrammi indicavano la resistenza a 2 classi di antibiotici indicate dal Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie (ECDC). I dati sono stati raccolti dalle cartelle cliniche dei pazienti e dai database informatici presenti presso l’Azienda Ospedaliera. I confronti sono stati effettuati tra il periodo pre-COVID (2018-2019) e il contesto COVID (2020) mediante test di Fisher. Risultati. Nel triennio 2018-2020, 174 pazienti hanno sviluppato una sepsi dai microorganismi in esame, più di metà dei quali nel solo 2020 (88/174). La distribuzione di frequenza relativa tra i tre batteri è variata nel 2020 rispetto agli anni 2018-2019, con un incremento di casi di A. baumannii (p<0.0001), quasi tutti resistenti a 3 classi di antimicrobici. K. pneumoniae, inoltre, ha registrato una decisa tendenza all’incremento della resistenza (p<0.0001). La maggior parte dei pazienti è stata trattata con carbapenemi (72.4%) e in 28 casi (16.1%) sono state somministrate cefalosporine di ultima generazione. Nel periodo COVID rispetto al pre-COVID si è visto un significativo aumento dell’uso di polimixine, soprattutto della colistina (62.5% vs 36%, p=0.0005). Anche l’uso di terapie empiriche quali i glicopeptidi è aumentato, passando dal 24.4% (2018-2019) al 34.1% (2020). Discussione e Conclusioni. I risultati dello studio dimostrano nel 2020, rispetto ai due anni precedenti, un aumento del numero di casi di sepsi imputabili ai tre batteri considerati e una tendenza alla presenza di profili batterici con maggiori resistenze agli agenti antimicrobici. La presenza di ceppi più resistenti ha portato all’utilizzo di maggiori quantitativi di colistina e terapie ad ampio spettro, con potenziali future conseguenze in termini di antibiotico-resistenza.


P4.

Interventi multimodali per la risoluzione di un cluster epidemico di Acinetobacter baumannii complex in UTI (terapia intensiva adulti)

R. Coppola 1, A. Sciambra 2, M.A. Stingone 3

1 Referente Aziendale Infezioni Ospedaliere; 2 Direzione Sanitaria;
3 Responsabile UOC Risk Management. Ospedale Evangelico Betania, Napoli

Introduzione. Acinetobacter baumannii è un microrganismo che può sopravvivere a lungo sia in ambiente asciutto che umido, contamina le suppellettili ospedaliere e le mani del personale e provoca facilmente epidemie nelle terapie intensive. Lo studio descrive le misure igieniche ed organizzative adottate per contenere un focolaio epidemico di Acinetobacter baumannii nella terapia intensiva adulti dell’Ospedale Evangelico Betania di Napoli. Metodi. Nel periodo dicembre 2021 a maggio 2022 si è osservato un aumento nelle colture di sorveglianza di pazienti ricoverati in terapia intensiva adulti da Acinetobacter baumannii complex organismo PDR (Pan Drug Resistance) a trasmissione diretta, negativi alle colture di sorveglianza d’ingresso. L’indagine epidemiologica svolta dalla referente delle infezioni in cooperazione con il Risk Manager e la Direzione Sanitaria, ha evidenziato che i 10 pazienti ricoverati e sottoposti a screening nell’intervallo di tempo studiato, sono risultati tutti positivi (100%) per Acinetobacter baumanii complex in una media di 5 giorni dal ricovero. Sono state avviate indagini ambientali supplementari attraverso 15 diversi campionamenti (piastre ambientali RODAC con terreni specifici per Gram Negativi) sulle superfici high touch (sponde letto, carrelli portafarmaci, tavolo servitore, mouse pc personale, ecc.) tutti i campioni sono stati analizzati in laboratorio e sottoposti ad identificazione attraverso Microscan (Beckman). Inoltre è stata monitorata per 20 giorni la tecnica del lavaggio delle mani ai 16 operatori sanitari del reparto con il sistema Semmelweis Hand Hygien System (Hand in Scan) un training device in grado di far visualizzare l’esito dello sfregamento delle mani con un gel fluorescente e fornire un feedback visivo immediato delle aree non coperte dal gel marcato con fluorescina. I partecipanti sono stati identificati dalle loro card personali collegate al software Semmelweis. L’igiene delle mani viene considerata appropriata se più del 95%della superficie è stata completamente ricoperta dal gel marcato. Risultati. I controlli mediante piastre ambientali (n°15) hanno dato esito positivo ad Acinetobacter baumannii complex lo stesso riscontrato nelle colture di sorveglianza dei pazienti, dimostrando una probabile contaminazione crociata. La gestione del cluster è stata impegnativa, per gli aspetti logistici della nostra unità di terapia intensiva, le azioni correttive sono state quelle di rivedere i processi di sanificazione e decontaminazione ambientale identificando le superfici high touch, utilizzando tecniche più innovative con prodotti di comprovata efficacia antimicrobica. A questa revisione è seguita una formazione del personale addetto alla sanificazione sulle corrette tecniche di pulizia e sul corretto uso dei disinfettanti (tempi di azione, diluizioni etc.). Il risultato del monitoraggio attraverso il Semmelweis Hand Hygien System ha inizialmente dimostrato che la compliance della distribuzione del gel era molto più bassa, perché solo il 18,75% degli operatori ha adeguatamente ricoperto la superficie delle mani raggiungendo il 95% dell’appropriatezza della tecnica del lavaggio delle mani; le zone maggiormente trascurate erano il dorso delle mani ed i polsi. Alla fine del periodo di addestramento (20 giorni) la percentuale è aumentata raggiungendo il 75%. Discussione e Conclusioni. Da maggio 2022 i risultati del monitoraggio ambientale hanno dimostrato l’assenza di contaminazione da Acinetobacter, allo stesso modo le colture di sorveglianza all’ingresso e durante il ricovero dei pazienti, sono risultate negative per Acinetobacter baumanii complex.La nostra esperienza ha dimostrato che un intervento precoce e multimodale è risultato efficace nell’outcome delle colonizzazioni/  infezioni da Acinetobacter baumannii; inoltre si evidenzia l’utilità del campionamento ambientale mirato e il monitoraggio periodico dell’igiene delle mani a supporto dell’indagine epidemiologica per la definizione delle più opportune strategie da mettere in atto per il controllo e la prevenzione delle infezioni. A tal proposito è significativo ricordare che il dato sulla corretta adesione all’igiene delle mani, per essere ulteriormente affidabile, deve essere supportato anche da altri indicatori riconosciuti validi come il consumo di gel idroalcolico.


P5.

Sorveglianza delle infezioni post-chirurgiche e ruolo
dei drenaggi negli interventi di artroprotesi presso l’ospedale classificato equiparato IRCCS Sacro Cuore, Negrar di Valpolicella

M.A. Zanella 1, M. Verzè 1, D. Brunelli 1, E. Paiola 3,
C.B. Dantone
3, C. Savio 1, A. Caporali 1, A. Angheben 2

1Comitato Infezioni Ospedaliere, 2Dipartimento di Malattie Infettive -
Tropicali e Microbiologia,
3Unità di Ortopedia e Traumatologia,
IRCCS Ospedale Sacro Cuore – Don Calabria, Negrar di Valpolicella

Introduzione. Dal 2010 è attivo presso il nostro ospedale un programma strutturato di controllo periodico delle infezioni del sito chirurgico secondo il Protocollo Sistema Nazionale di Sorveglianza delle Infezioni del Sito chirurgico (SNICh) con feed-back ai reparti coinvolti. Il sistema di controllo adottato probabilmente ha contribuito a promuovere l’attenzione al problema delle infezioni tra gli operatori dei reparti che segnalano al Comitato Infezioni Ospedaliere possibili cluster o eventi sentinella. Metodi. Da settembre 2020 ad agosto 2021 sono state raccolte 22 segnalazioni precoci di possibili infezioni protesiche: 17 riguardavano il ginocchio e 5 l’anca. Dall’analisi sono state escluse le revisioni protesiche e le infezioni di protesi impiantate presso altro ospedale (1 Protesi di ginocchio - PTG e 1 Protesi di Anca - PTA). Delle 22 segnalazioni sono state confermate 16 infezioni su base microbiologica e/o clinica (12 PTG e 4 PTA), la maggior parte precoci (definite come infezioni a comparsa entro il mese dall’intervento) e coinvolgenti PTG. È stata quindi attivata una ricerca epidemiologica con revisione dell’intero processo di assistenza e cura (dalla preparazione del paziente alla sua dimissione); tra i fattori favorenti l’infezione è stato ipotizzato un ruolo da parte del tipo di drenaggio utilizzato e della sua gestione. Al momento dello studio il drenaggio era un device aperto, in aspirazione continua, posizionato in cavità articolare durante gli interventi di impianto, rimosso generalmente dopo 24 ore negli interventi di PTA e dopo alcuni giorni (da 3 a 4) negli interventi di PTG. A partire dal 15 febbraio 2022, a seguito dell’indagine epidemiologica di cui sopra, nella chirurgia ortopedica maggiore è stata decisa l’adozione di un sistema in aspirazione a circuito chiuso (no-wash system) come intervento di miglioramento. È stato quindi condotto uno studio di incidenza ad hoc, dal 15 febbraio al 13 maggio 2022, durante il quale sono stati arruolati tutti i pazienti sottoposti a primo impianto di PTA o PTG. I pazienti sono stati seguiti in follow-up fino a 90 giorni su base clinica (visita specialistica post-intervento o infettivologica) al fine di rilevare eventuali infezioni precoci, stabilirne l’incidenza nel periodo osservato (secondo i criteri SNICh) e verificare l’impatto del nuovo dispositivo medico. Risultati. Nel periodo di studio sono stati arruolati 298 pazienti che hanno subito 345 interventi (94 PTA e 251 PTG). È stata completata ad oggi la sorveglianza a 90 giorni per 151 pazienti, a 30 giorni per 125 e per 22 pazienti l’osservazione è tutt’ora in corso. Ad oggi non sono state registrate infezioni protesiche precoci che andremo ad analizzare al termine della sorveglianza. Discussione e Conclusioni. L’introduzione del nuovo sistema di drenaggio ha portato ad una revisione delle modalità operative attraverso le quali vengono effettuate le medicazioni oltre che ad un aggiornamento delle indicazioni relative alla gestione del drenaggio con rigoroso rispetto delle tempistiche di posizionamento. Dagli studi effettuati, ed in particolare della relazione tra gestione dei drenaggi ed infezioni, è sorta l’esigenza di un approfondimento della reale efficacia dei drenaggi post-operatori in chirurgia protesica ortopedica che potrà trovare una risposta adeguata solo programmando ulteriori studi prospettici mirati. È importante evidenziare che i risultati raggiunti, ancorché parziali, sono stati possibili grazie ad un coinvolgimento proattivo degli operatori.


P6.

Trend nella mortalità associata alle infezioni del sito chirurgico: uno studio di coorte in Piemonte, 2009-2019

G. Paladini 1, H.S.M.A. Elhadidy 1, A.R. Cornio 1, V. Bordino 1,
C. Vicentini
1, C.M. Zotti 1

1Dipartimento delle Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche,
Università degli Studi di Torino, Torino

Introduzione. I programmi di sorveglianza hanno dimostrato la propria validità nel ridurre i tassi delle Infezioni del Sito Chirurgico (ISC). Il Piemonte ha aderito al sistema di Sorveglianza Nazionale delle Infezioni del Sito Chirurgico (SNICh) nel 2008. Questo studio aveva l’obiettivo di valutare trend nei tassi di ISC e di mortalità associata alle ISC in Piemonte dal 2009 al 2019, prendendo in considerazione le due procedure più frequentemente effettuate: la chirurgia protesica dell’anca (HPRO) e la chirurgia del colon (COLO). Metodi. Tramite la sorveglianza, sono stati raccolti dati dai 42 ospedali del Piemonte che hanno partecipato nel periodo tra il 2009 ed il 2019. I tassi di infezione specifici per ciascuna categoria d’intervento, la mortalità e la letalità sono stati calcolati sia globalmente che per anno di sorveglianza. I trend sono stati valutati usando il test del Chi-quadro. Le analisi sono state effettuate tramite Epi Info v. 7.2. Risultati. Durante il periodo in oggetto, sono stati monitorati 33.438 interventi chirurgici (21.645 HPRO, 11.793 COLO). In totale, sono state riscontrate 1.215 ISC (293 HPRO, 922 COLO) e 617 morti (222 HPRO, 395 COLO). Per quanto riguarda gli interventi di protesi d’anca, è stato calcolato un tasso d’infezione dell’1,35%, con una mortalità dell’1,03% e una letalità del 3,75%. Non è stato riscontrato alcun trend significativo. Considerando gli interventi sul colon, invece, è stato identificato un tasso d’infezione del 7,82% con una mortalità del 3,35% e una letalità del 6,94%. Dalle analisi è emerso un trend in diminuzione, statisticamente significativo, sia per i tassi d’infezione che di mortalità (rispettivamente, p=0,046 e 0,005). Discussione e Conclusioni. Questo studio porta ulteriori evidenze dell’effetto protettivo della sorveglianza, che potrebbero essere indicative di un miglioramento della qualità dell’assistenza sanitaria. Valutando gli interventi di protesi d’anca, è possibile che la mancanza di trend significativi possa essere dovuta ai già bassi tassi di infezione e mortalità per le caratteristiche dell’intervento stesso, assieme al possibile raggiungimento di un plateau dell’effetto protettivo della sorveglianza. Prendendo in esame la chirurgia del colon, è stata osservata una riduzione significativa nei tassi d’infezione e di mortalità durante il periodo in esame. L’andamento di quest’ultimo indice potrebbe essere una conseguenza della diminuzione stessa del tasso d’infezione, ma altri fattori non presi in considerazione durante l’analisi potrebbero aver contribuito al risultato.


P7.

La gestione del paziente adulto a rischio di sepsi: verifica della corretta applicazione della procedura aziendale all’interno delle Unità Operative di Medicina dell’AUSL di Ferrara

I. Zanelli 1, S. Barison 1, M. Mercenaro 1, M.C. Poggioli 1,
M. Colombi
2, C. Balboni 1

1Nucleo Operativo Controllo Infezioni (NOCI),
2Responsabile FF. Direzione Infermieristica e Tecnica,  

Azienda USL Ferrara

Introduzione. La sepsi è una risposta non controllata a un’infezione da parte dell’organismo ospite, che porta a una disfunzione d’organo acuta. È, dunque, una condizione clinica grave, correlata a morbilità e mortalità elevate e che rappresenta un’emergenza medica a livello globale. Uno studio ha stimato che, nel 2017, si sono verificati quasi 50 milioni di casi di sepsi nel mondo e circa 11 milioni di decessi correlati, corrispondenti a circa il 20% dei decessi totali. L’incidenza e la mortalità associate alla sepsi variano in modo sostanziale tra le regioni del mondo, con il carico più elevato in Africa subsahariana, Oceania, Asia. In Europa, secondo le ultime stime, la sepsi colpisce oltre 3 milioni di persone, provocando quasi 700.000 decessi l’anno, la maggior parte dei quali è prevenibile. I costi economici associati alla sepsi sono molto elevati. Negli Stati Uniti, ad esempio, la sepsi è la causa più comune di decesso e ha un costo stimato di oltre 24 miliardi di dollari/anno. Nello scenario pandemico attuale, inoltre, circa il 20% dei pazienti con Covid-19 sviluppano complicanze come sepsi o disfunzione d’organo multipla, contribuendo al già enorme onere dei decessi per sepsi. Per combattere la sepsi, dunque, è importante ridurre la frequenza delle infezioni correlate all’assistenza e delle infezioni causate da organismi multi-resistenti. Metodi. Nel 2018 è stata elaborata una procedura aziendale per la gestione del paziente adulto a rischio di sepsi con l’obiettivo di riconoscere precocemente la sepsi nei suoi diversi stadi. Parte integrante della procedura è una scheda che segue i pazienti a rischio di sviluppare una sepsi durante il percorso clinico-assistenziale. Tale scheda diventa quindi parte della documentazione clinica. Obiettivo del progetto è di verificare la corretta applicazione della procedura aziendale attraverso l’analisi dei dati estrapolati dalle cartelle cliniche dei pazienti deceduti nelle Unità Operative di Medicina degli stabilimenti ospedalieri di presidio dell’AUSL di Ferrara. Si sono estrapolate le cartelle cliniche dei pazienti che riportano nelle schede di dimissione le codifiche di “sepsi”, “sepsi severa”, “shock settico”, “setticemia” nel periodo dal secondo semestre 2018 al primo semestre 2021. Visto l’elevato numero di cartelle si è deciso di analizzare 5 cartelle cliniche per ogni anno (2018-2019-2020-2021) di pazienti deceduti nelle UO di Medicina degli Ospedali di Argenta, Cento, Delta. Si sono escluse le cartelle che nella SDO riportavano la codifica Covid-19. L’estrazione è stata eseguita in maniera casuale utilizzando un’apposita app. In seguito è stata creata una griglia contenente gli item di nostro interesse (es. presenza scheda valutazione sepsi, corretta applicazione della procedura dell’emocoltura, diagnosi di ammissione e di dimissione). Allo stato attuale si è terminata l’analisi dei dati relativi alla UO di Medicina di Argenta. Risultati. Dal totale di cartelle di pazienti deceduti presso l’UO di medicina di Argenta (77) ne sono state analizzate 22. Le caratteristiche dei pazienti sono così suddivise: età compresa fra i 75 e i 100 anni con un’incidenza più alta del sesso femminile rispetto a quello maschile (14/8). Sono stati analizzati gli esami colturali eseguiti e le schede SDO che hanno permesso di portare alla luce difformità nella corretta applicazione della procedura aziendale. Discussione e Conclusioni. L’analisi dei dati ha evidenziato che la scheda di valutazione della sepsi non viene sempre utilizzata dai professionisti; inoltre si evince che spesso viene riportata la codifica di sepsi nella dimissione anche quando gli esami effettuati non si dirigono verso questo tipo di diagnosi. Alla luce di quanto raccolto, il NOCI ha deciso di implementare i momenti formativi col personale delle UO di Medicina, di avviare l’applicazione di un nuovo metodo di antisepsi della cute (Chloraprep), nonché di rivedere la procedura sulla corretta esecuzione dell’emocoltura alla luce delle nuove evidenze scientifiche attraverso la creazione di un apposito bundle.



P8.

Prevalenza delle infezioni correlate all’assistenza e uso degli antibiotici: quattro anni di esperienza presso la ASL2 Savonese

C. Alicino 3, R. Riente 2, S. Penazzo 2, D. Raiteri 3, V. Faccio 3,
R. Iudici
2, F. Tassinari 3, S. Carozzo 2, S. Tigano 4,
A.L. Garlaschelli
5, E.N. Malfatto 5, G. Carrega 4, L. Tulimiero 2,
L. Garra
1

1Direttore Sanitario, ASL2 Savonese; 2SC Direzione Medica dei Presidi
Ospedalieri, Ospedale San Paolo in Valloria di Savona;
3SC Direzione Medica dei Presidi Ospedalieri, Ospedale Santa Corona di Pietra Ligure; 4SC Malattie Infettive Osteo-articolari, Ospedale Santa Maria di Misericordia di Albenga; 5SC Malattie Infettive, Ospedale San Paolo in Valloria di Savona,

ASL2 Savonese

Introduzione. Gli studi di prevalenza puntuale rappresentano un importante strumento di sorveglianza per valutare l’impatto delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) a livello ospedaliero e misurare l’efficacia delle misure adottate per contrastarne la diffusione.

L’obiettivo dello studio è descrivere il trend di prevalenza delle ICA e dell’utilizzo di antibiotici, registrato attraverso quattro studi di prevalenza puntuale condotti secondo il protocollo dell’European Center for Disease Prevention and Control (ECDC) presso i quattro stabilimenti ospedalieri di ASL2 Savonese. Metodi. Nel quadriennio 2016-2019, presso i quattro stabilimenti ospedalieri di ASL2, dotati complessivamente di oltre 1.000 posti letto, sono stati condotti quattro studi di prevalenza puntuale. Gli studi sono stati svolti tra febbraio e marzo di ciascun anno da team composti da un medico igienista e un’infermiera addetta al controllo delle ICA con il supporto clinico di un medico infettivologo. Risultati. Nel quadriennio sono stati arruolati complessivamente 2.744 pazienti. L’età mediana dei pazienti è risultata pari a 73 anni (IQR 57 – 81). Il tempo di degenza mediano è risultato pari a 6 giorni (IQR 3 – 13). Il 23,6% dei pazienti aveva un McCabe score fatale o rapidamente fatale. Il 30,7% dei pazienti era stato sottoposto ad una procedura invasiva o minimamente invasiva. Il 65,7% dei pazienti era esposto ad almeno un dispositivo invasivo il giorno dello studio. La prevalenza di ICA è risultata pari al 8,6% (IC 95% 7,6% - 9,7%). L’area specialistica in cui è stata registrata la maggior prevalenza di ICA è la terapia intensiva con un dato pari al 13,5% (IC 95% 8,9% - 19,3%). Per quanto riguarda la localizzazione delle ICA, le più frequenti sono risultate: le infezione delle vie urinarie (19,7%), le infezioni delle basse vie respiratorie (18%), le infezioni del sito chirurgico (16,4%), le batteriemie (13,9%). L’accertamento eziologico è avvenuto nel 52,7% delle ICA rilevate per un totale di 150 microrganismi isolati. Il microrganismo isolato con maggiore frequenza è risultato Escherichia coli (16%), seguito da Clostridium difficile (13,3%), Klebsiella pneumoniae (10,7%), Pseudomonas aeruginosa (8,7%) e Proteus mirabilis (6,7%). Per quanto attiene il profilo di antibiotico resistenza di Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae, la prevalenza d’isolati resistenti ai carbapenemi è risultata rispettivamente pari al 12,5% e al 50%. Il giorno dello studio, il 46,2% (IC 95% 44,3-48,0) dei pazienti risultava in trattamento antibiotico. Il 45% dei trattamenti antibiotici era indirizzata alla terapia di un’infezione comunitaria, il 19,5% alla terapia di un’infezione correlata all’assistenza ed il 18,3% era per profilassi medica. Le principali classi di molecole antibiotiche utilizzate sono risultate: le combinazioni di penicilline (22%), i fluorochinoloni (19,3%) e le cefalosporine di 3° generazione (17,2%). Discussione e Conclusioni. La prevalenza di infezioni correlate all’assistenza e di pazienti in trattamento antibiotico è risultata sovrapponibile a quanto rilevato, a livello italiano, nell’ambito dell’ultimo studio di prevalenza europeo condotto nel 2016-2017. È in fase di conclusione il primo studio di prevalenza condotto dopo l’inizio dell’emergenza pandemica da SARS-CoV-2 che fornirà un quadro epidemiologico aggiornato delle ICA presso i quattro stabilimenti ospedalieri di ASL2.


P9.

Analisi epidemiologica e gestione di un cluster di Candida auris presso l’Ospedale Policlinico San Martino IRCCS di Genova, periodo 2020-2022

R. Lupia 1, M. Bongiovanni 1, A. Bocchio 1, E. Costa 1, R. Amato 1,
A. Talamini
2, D. Bellina 2, B. Guglielmi 2, M. Cappellin 2, A. Orsi 1

1Dipartimento di Scienze della Salute (DISSAL), Università degli Studi di
Genova, Genova;
2UO Igiene, Ospedale Policlinico San Martino IRCCS, Genova

Introduzione. Durante gli ultimi due anni la pandemia da SARS-CoV-2 ha portato a grossi cambiamenti nel setting ospedaliero per la gestione del paziente; questo ha rappresentato un terreno fertile per la crescita di Candida auris, che si è diffusa rapidamente nei nosocomi in tutto il mondo. Abbiamo condotto un’analisi epidemiologica per monitorare la crescita di C. auris nel nostro ospedale e successivamente valutare l’impatto di un protocollo che abbiamo introdotto per la gestione delle criticità emerse. Metodi. È stato condotto un monitoraggio giornaliero da Maggio 2020 a Maggio 2022 nell’Unità di Terapia Intensiva (UTI) da cui è partito il cluster. I nuovi casi sono stati isolati tramite tampone colturale cutaneo di screening o da altri siti in base al sospetto clinico. Da marzo 2021 è stato introdotto nel nostro ospedale un protocollo per la gestione dell’epidemia di C. auris. Da luglio 2021 abbiamo utilizzato per il monitoraggio anche il tampone molecolare. Risultati. Millenovantacinque persone sono state ricoverate nell’UTI durante il periodo di studio; 237 hanno avuto una positività per C. auris. Di questi, 16 erano già positivi all’ingresso in reparto, mentre 21 sono risultati positivi al tampone effettuato dopo il trasferimento in un altro reparto. Centoquarantotto  erano maschi, 89 femmine. L’età mediana era di 64 anni (età minima 16 anni, età massima 91 anni). Settantacinque pazienti (il 31,6% dei positivi) sono deceduti, con un’età mediana di 72 anni. Il tempo mediano tra la prima positività e il decesso era di 16 giorni. Quarantuno pazienti hanno successivamente sviluppato un’infezione sistemica, con un tempo mediano di 21 giorni dalla prima positività al tampone all’emocoltura positiva. Il 36,59% di questi pazienti è deceduto. Quarantasette  pazienti (il 19,8%) hanno avuto anche l’infezione da SARS-CoV-2 durante il ricovero. Da Marzo 2021 è stato introdotto nel reparto il protocollo per il controllo di C. auris. Questo ha portato all’implementazione di misure per limitare la trasmissione, tra cui in primo luogo l’identificazione precoce dei casi, con l’introduzione di uno screening con tampone cutaneo al momento dell’ammissione nel reparto e una volta alla settimana durante la degenza. Il protocollo prevede inoltre l’isolamento dei pazienti risultati positivi (se possibile in camera singola, o in coorte in caso di pazienti multipli positivi a C. auris) e una tempestiva comunicazione a tutti gli operatori sanitari, anche occasionali, come dializzatori e radiologi. In tutti i reparti devono essere attuate le precauzioni standard da contatto, come l’igiene delle mani e l’uso di Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). Per quanto riguarda l’ambiente, è stata introdotta una pulizia quotidiana con prodotti a base di ipoclorito di sodio e una pulizia terminale post dimissione o trasferimento del paziente. Anche la decontaminazione dei pazienti con wipes acquose alla clorexidina digluconata è stata eseguita quotidianamente. L’incidenza ha mostrato due picchi, il primo a novembre 2020, corrispondente alla seconda ondata pandemica da SARS-CoV-2, dovuto in parte alla mancanza di un protocollo standardizzato e in parte alla complicata gestione dei pazienti ospedalizzati presso le UTI in un periodo di forte pressione delle patologie Covid-19 correlate. Il secondo picco è stato ad Ottobre 2021, dovuto all’introduzione del tampone molecolare che ha una migliore sensibilità e un minor tempo di refertazione. Dopo l’introduzione del protocollo si è assistito ad una diminuzione dei casi, con un’incidenza di 28,4 nuovi casi per 1.000 giorni/persona ad Aprile, 12,4 a Maggio e 11,2 a Giugno. Discussione e Conclusioni. Dopo 24 mesi, nonostante le misure di controllo introdotte, C. auris continua ad essere isolato in diversi campioni colturali, dimostrando quanto questo microrganismo sia difficile da eradicare. Lo screening e le misure preventive continuano ad essere necessarie per il controllo del patogeno, ma probabilmente la pandemia da SARS-CoV-2 ha portato a individuare troppo tardi la crescita di questo nuovo patogeno nell’UTI e di conseguenza quando le misure di contenimento sono state stabilite, C. auris aveva già contaminato l’ambiente, rendendo l’eradicazione estremamente problematica.


P10.

Valutazione dell’impatto della pandemia sulle infezioni del sito chirurgico dopo chirurgia addominale in Piemonte

H.S.M.A. Elhadidy 1, G. Paladini 1, E. Ugliono 2, A.R. Cornio 1,
V. Bordino
1, C. Vicentini 1, C.M. Zotti 1

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche,
2Dipartimento delle Scienze Chirurgiche, Università degli Studi di Torino

Introduzione. La pandemia da COVID-19 ha determinato forti ritardi nell’attività chirurgica oncologica e l’interruzione della chirurgia elettiva. La Sorveglianza Nazionale delle Infezioni del Sito Chirurgico (SNICh) è continuata anche durante lo scenario pandemico, l’obiettivo del presente studio è stato quello di valutare l’impatto che questa ha avuto sugli esiti della chirurgia addominale nella regione Piemonte. Metodi. I dati sono stati raccolti dai 42 ospedali che hanno partecipato alla sorveglianza regionale negli anni 2018-2020. Per le Infezioni del Sito Chirurgico (ISC), sono stati calcolati i tassi d’infezione, di mortalità e di letalità, paragonando i dati del 2020 con la media dei dati degli anni 2018-19. Le differenze tra la proporzione di procedure urgenti e oncologiche (identificate sulla base dei codici ICD-9-CM) e tra i tassi di ISC nei due periodi sono state analizzate attraverso test del Chi-quadro. Inoltre, sono state effettuate ulteriori analisi sui dati del 2020, mettendo a confronto le procedure urgenti con quelle elettive e gli interventi oncologici con quelli non oncologici, utilizzando test del Chi-quadro. Le analisi sono state eseguite utilizzando SPSS v. 28.0.1.0. Risultati. In totale sono stati registrati 5.407 interventi chirurgici nel periodo 2018-19, con 310 ISC e 120 decessi. Le proporzioni medie degli interventi urgenti e oncologici sono risultate, rispettivamente, del 21,90% e del 43,24%. Nel 2020, invece, sono state effettuate 1.057 procedure, con 44 ISC e 29 decessi. Il 34,44% delle procedure erano urgenti e il 39,74% oncologiche. La media dei tassi d’infezione del biennio 2018-2019 era del 5,73%, con una mortalità del 2,22% e una letalità del 7,42%. Il tasso d’infezione nel 2020 era del 4,16%, con una mortalità del 2,74% e una letalità del 9,09%. La proporzione di interventi urgenti differiva significativamente tra i due periodi in analisi (p<0,001), così come la proporzione di interventi oncologici e i tassi d’infezione (p=0,05 per entrambi). Valutando i dati del 2020, sono state osservate differenze statisticamente significative nella mortalità degli interventi urgenti rispetto a quelli elettivi (4,95% vs. 1,59%, p=0,002) e nei tassi d’infezione tra i pazienti oncologici e non oncologici (3,57% vs. 2,20%, p=0,02). Discussione e Conclusioni.  Durante la pandemia da COVID-19, le caratteristiche dei pazienti sottoposti a interventi chirurgici hanno subito significative alterazioni, riflettendo le priorità poste dalle politiche di sanità pubblica. I risultati di questo studio suggeriscono che le scelte di priorità messe in atto durante la pandemia potrebbero aver determinato un impatto negativo sugli esiti dopo chirurgia addominale: nel 2020, rispetto agli anni precedenti, si è registrato un incremento nei tassi di mortalità e letalità, anche se non è stata raggiunta la soglia di significatività. Ulteriori studi a lungo termine sono necessari per stabilire l’impatto delle politiche implementate durante la pandemia, così da indirizzare future strategie decisionali.


P11.

Epidemiologia delle infezioni correlate all’assistenza
in pazienti affetti da COVID-19 ricoverati in terapia intensiva nella regione Molise tra marzo 2020 e aprile 2022: indagine preliminare

V. Viccione 3, A. D’Amico 3, R. De Dona 3, M. Tamburro 1, R. Flocco 2, A. Parente 3, N. Samprati 3, A. Santagata 3, C. Adesso 3, A. Natale 3, M.A. Di Palma 3, F. Cannizzaro 3, M.L. Sammarco 1, G. Ripabelli 1

1Dipartimento di Medicina e di Scienze della Salute “V. Tiberio”, Università degli Studi del Molise; 2Ospedale “A. Cardarelli”, Azienda Sanitaria
Regionale del Molise;
3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina
Preventiva, Università degli Studi del Molise

Introduzione. L’evoluzione di COVID-19 può portare a gravi quadri di polmonite interstiziale con insufficienza respiratoria acuta, che richiede un setting assistenziale di tipo intensivo. La gestione di questi casi è complessa, anche per la possibile insorgenza di complicanze, come le infezioni correlate all’assistenza (ICA), difficili da trattare soprattutto se sostenute da germi multi- (MDR) ed ampiamente- (XDR) resistenti. In questo studio, è stata valutata l’epidemiologia delle ICA da marzo 2020 ad aprile 2022 in un reparto di terapia intensiva (TI) dell’ospedale hub della regione Molise, descrivendo le principali caratteristiche dei pazienti affetti, i siti di infezione e i microrganismi responsabili. Metodi. Lo studio ha preso in esame una sottopopolazione (n=66; 30,6%) di pazienti reclutati in maniera random e ricoverati in TI con infezione da SARS-CoV-2 tra il 05/03/2020 e il 14/04/2022, provenienti da altro reparto di area medica o con accesso diretto. I casi di ICA considerati in questa rilevazione sono stati solo quelli insorti almeno 48h dopo l’ingresso in reparto e confermati dalla presenza di un referto microbiologico. Risultati. I soggetti ricoverati in TI erano per la maggior parte maschi (n=43, 65,2%) e con età media di 66,8+10,6 anni (range 35-87 anni). In 22 pazienti (33,3%) di età media pari a 66,1+10,3 anni (range 36-84), è stata riscontrata almeno una ICA; i soggetti con infezione erano soprattutto maschi (n=19, 86,4%). Tutti i pazienti erano portatori di catetere vescicale e vascolare centrale (CVC) e 21 (95,5%) erano stati sottoposti a tracheostomia. Per 13 pazienti (59,1%) è stata evidenziata la presenza contemporanea di più di un sito di infezione interessato, per un totale di 47 segnalazioni, di cui 31 (66%) da broncoaspirato e 16 (34%) da urinocoltura. Dagli esami colturali, sono stati isolati 11 microrganismi, di cui i più frequenti sono stati Pseudomonas aeruginosa (n=14, 29,8%), Enterococcus faecalis (n=9, 19,1%), Staphylococcus aureus (n=7, 14,9%) e Klebsiella pneumoniae (n=4, 8,5%). Inoltre, in 32 (48,5%) dei 66 soggetti ricoverati è stata riscontrata una colonizzazione a carico di almeno un device utilizzato tra catetere vescicale, CVC e tubo endotracheale, sostenuta prevalentemente da Candida spp. Discussione e Conclusioni. L’analisi ha mostrato che un terzo dei pazienti arruolati nello studio ha acquisito almeno una ICA nel periodo di ricovero in reparto e che P. aeruginosa multiresistente è risultato il microrganismo più associato ai casi. Alcuni studi, condotti anche in Italia, mostrano invece che le infezioni sostenute da questo microrganismo sono meno frequenti rispetto ad altre ICA nei pazienti COVID ricoverati in TI, riportando infatti Acinetobacter baumannii, Klebsiella spp., altre Enterobacteriaceae e Candida albicans tra i patogeni maggiormente isolati. Dai risultati ottenuti è emerso che il principale fattore di rischio di ICA è stato l’utilizzo di devices invasivi, in particolare i tubi endotracheali e il catetere vescicale, sebbene anche altri tipi di dispositivi, come CVC, siano stati coinvolti nei casi di colonizzazione. Questi dati, seppur preliminari, possono contribuire ad offrire spunti fondamentali per la comprensione dell’epidemiologia delle ICA nei pazienti affetti da COVID-19 in TI, non solo a livello locale ma anche nel panorama nazionale, fornendo le basi per lo sviluppo e l’implementazione di strategie utili a ridurre il rischio infettivo. Certamente la riorganizzazione delle unità di TI causata dall’emergenza COVID-19 ha introdotto ulteriori stress organizzativi che possono aver impattato sulla verifica costante dell’applicazione delle corrette misure di controllo delle infezioni, sebbene le dinamiche dell’effetto della pandemia sulle ICA siano ancora da comprendere pienamente.


P12.

Impatto di un intervento di Infection Control (IC) multidimensionale in un outbreak da Enterococco Vancomicina Resistente (VRE) in area medica in epoca pandemica

C. Dalle Carbonare 1, S. Mondino 7, D. Brodesco 4, E. Sandri 3, M.P. Zanon 4, S. Zanovello 4, V. Manfrin 5, M. Rassu 6, R. Cazzaro 2

1UOC Direzione Medica Ospedaliera; 2UOC Direzione Medica;
3UOC Direzione Medica Ospedaliera Arzignano; 4UOC Direzione Medica Ospedaliera; 5UOC Malattie Infettive; 6UOC Microbiologia;
7UOS Risk Management Direzione Sanitaria; AULSS 8, Berica, Vicenza

Introduzione. Nel corso del 2021 presso l’ospedale S. Bortolo di Vicenza è stato riscontrato un outbreak da germi multiresistenti (MDR) sostenuto da VRE in un reparto di area medica. I VRE hanno a) una resistenza intrinseca alla maggior parte degli antibiotici comunemente usati ed al contempo b) la capacità di acquisire resistenza sia per mutazione che per ricevimento di materiale genetico estraneo; hanno inoltre un vantaggio selettivo rispetto ad altri microrganismi nella flora intestinale per cui rappresentano una grande sfida terapeutica. Nella maggior parte dei casi trattasi di colonizzazioni, ed il rapporto colonizzazioni/infezioni è 10:1, come descritto in letteratura. Pertanto l’Infection Control Team (ICT) aziendale è intervenuto al fine di contenere la diffusione di VRE. Metodi. Le misure di sorveglianza attivate sono state: screening in ingresso con tampone rettale di tutti i pazienti ricoverati, ripetuto con frequenza settimanale ed alla dimissione e/o trasferimento in altra struttura. Sono state attuate le misure di isolamento ed interventi osservazionali sull’igiene delle mani e sulle misure di isolamento con relativo sistema di reporting. Inoltre sono state intensificate le misure di igiene ambientale con revisione di alcune procedure. Risultati. Sono state riscontrate in totale 78 segnalazioni di colonizzazione nel primo quadrimestre 2021, con un aumento significativo dei casi rispetto alla media del periodo medesimo considerato, con picchi che superano la media sommata al doppio dello standard. La percentuale di VRE era così distribuita il 72% è risultato positivo durante il ricovero mentre il 28% in ingresso; nessuno dei casi ha avuto un’evoluzione in sepsi/batteriemie o infezioni sistemiche. Il tasso di pazienti colonizzati durante il ricovero ha raggiunto un picco di 0.9 pazienti per 100 giornate di degenza con calo progressivo fino a 0.2 per poi annullarsi il mese successivo con la risoluzione dell’outbreak. Discussione e Conclusioni. Gli interventi di IC hanno permesso il contenimento della diffusione intraospedaliera dei casi; anche in un’unità operativa che ha accolto pazienti positivi a SARS-CoV-2 è risultato fondamentale recuperare i concetti di igiene ospedaliera e verificare la corretta applicazione di procedure standard e da contatto attraverso la condivisione di strategie e la restituzione dei dati.


P13.

Sorveglianza informatizzata nella gestione dei cateteri venosi centrali

P. Lovera 6, A. De Luigi 2, R. Vacchelli 1, R. Penso 5, C. Lerda 4,
P. Silvaplana
3, M. Giori6

1 Anestesia e Rianimazione; 2 Direzione delle Professioni Infermieristiche;
3 Direzione Sanitaria; 4 Servizio di Farmacia; 5 Pneumologia;
6 Unità Prevenzione Rischio Infettivo;
AOU San Luigi Gonzaga - Orbassano (TO)

Introduzione. L’utilizzo di cateteri venosi centrali (CVC) è indispensabile nella gestione clinica dei pazienti ricoverati nelle Terapie Intensive, nel trattamento delle patologie oncologiche e, sempre più frequentemente, nei pazienti ricoverati, considerata l’aumentata complessità assistenziale. Nonostante le raccomandazioni delle Linee Guida internazionali sull’impianto di CVC e sull’assistenza, la colonizzazione dei CVC è ancora un problema rilevante sia per i pazienti, i quali possono andare incontro a complicanze infettive locali o sistemiche o di tipo tromboembolico gravi, sia per le strutture sanitarie, che sono costrette a prolungare la degenza di questi pazienti nei loro reparti ed a trattare con alti costi le complicanze. In particolare, i CVC colonizzati possono causare infezioni del sistema circolatorio associate ai CVC (Catheter Related Bloodstream Infection – CRBSI). Il tasso di infezione per 1.000 giornate catetere documentato in letteratura è compreso tra 2.5 e 7.5 infezioni per 1.000 giornate catetere (Biehl 2016). Da un’analisi retrospettiva di dati ottenuti dal Laboratorio di Microbiologia dell’AOU San Luigi Gonzaga – Orbassano (TO) si constata la presenza del fenomeno con tassi paragonabili ai dati di letteratura. Obiettivo. Avviare una sorveglianza dei pazienti con cateteri venosi centrali impiantati presso l’AOU San Luigi, attraverso la progettazione ed implementazione di un sistema informatizzato inserito nel portale applicativo aziendale. Metodi. - Progettazione ed inserimento di una maschera informatizzata per imputazione dei dati (con sezioni di seguito elencate), inserita sul portale applicativo aziendale, ad uso di ogni struttura di ricovero e servizio diurno: a) Scheda rilevazione dati paziente. Include: Dati Anagrafici, Data del ricovero, Diagnosi al Ricovero, Diagnosi alla Dimissione, Data della dimissione, Consenso, b) Scheda tecnica di monitoraggio CVC (una per ogni CVC): include, oltre ai dati generali descriventi l’impianto, anche le medicazioni del catetere, flushing del catetere, sorveglianza giornaliera, rimozione del catetere e sua sostituzione. c) Scheda complicanze, compresa infezione.
d) Scala di valutazione del grado di flebite. e) Scala di valutazione del grado di stravaso. - Compilazione giornaliera da parte del personale sanitario dei dati giornalieri presenti in ogni maschera del programma. - Visualizzazione di alert, rilevabili sia dalla struttura sanitaria utilizzatrice, sia da parte dell’Unità Prevenzione Rischio Infettivo (UPRI) relativamente alla comparsa di segni/sintomi indicativi della presenza o rischio di infezione insorgente. - Attivazione nell’immediato, in caso di comparsa di segni/sintomi infezione o di altre complicanze, al fine di intervenire precocemente con gli specifici interventi correttivi. - Rilevazione ed elaborazione dei dati epidemiologi relativamente a:  Incidenza di infezioni correlate al catetere venoso centrale.  Tasso di esposizione al dispositivo.  Tasso di infezioni associate al dispositivo.  Tempo di insorgenza dell’infezione dal momento dell’inserzione del CVC.  Tasso di rimozione.  Tasso di altre complicanze. - Stampa cartacea del diario giornaliero delle varie maschere con inserimento di tale materiale nella documentazione clinica del paziente.
Risultati. -  Monitoraggio e uniformità nella gestione dei cateteri venosi centrali. - Corretta valutazione dei tassi reali di incidenza delle infezioni locali e sistemiche correlate all’inserzione dei device presenti in Azienda e nelle aree di ricovero e day hospital. - Elaborazione dei dati epidemiologici e statistici dell’anno 2022/2023 e comparazione dei tassi con i dati degli anni precedenti. Discussione e Conclusioni. L’avvio della sorveglianza informatizzata permetterà una strutturazione comune del processo di raccolta dati e incrementerà la possibilità di porre in atto gli specifici interventi correttivi ove necessario per evitare l’insorgenza dell’infezione catetere correlata. Si ipotizza, con la valutazione dei dati epidemiologici post inserimento del programma, una riduzione dei tassi di infezione al di sotto dei range attuali.





Sorveglianza di laboratorio

P14.

La microbiologia delle infezioni da Clostridioides difficile (CDI) in Italia: i dati dell’Istituto Superiore di Sanità
dal 2009 al 2018

F. Barbanti 1, E.M. Criscuolo 1, P. Spigaglia 1

1Istituto Superiore di Sanità, Dipartimento Malattie Infettive, Roma

Introduzione. Clostridioides difficile è una delle cause principali di infezioni correlate all’assistenza (ICA) in Europa e negli Stati Uniti. Negli ultimi decenni si è registrato non solo un aumento dei casi di infezioni da C. difficile (CDI) in ambito ospedaliero, ma anche della gravità di queste infezioni e della mortalità associata. Inoltre, sono stati riportati un maggior numero di CDI ricorrenti, con un conseguente aumento della durata della degenza ospedaliera e dei costi di assistenza sanitaria diretta e indiretta. Questo cambiamento epidemiologico è stato associato all’emergenza di ceppi di C. difficile con caratteristiche di elevata virulenza e multi-resistenza agli antibiotici (MDR), con diffusione internazionale, come il ribotipo (RT) 027 e RT078, o con diffusione locale. L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) da molti anni raccoglie e caratterizza ceppi di C. difficile causa di CDI negli ospedali italiani. In questo studio sono presentati i risultati dell’analisi microbiologica condotta dall’ISS sui ceppi di C. difficile isolati dal 2009 al 2018, allo scopo di fornire un quadro delle caratteristiche di questi ceppi nell’ultimo decennio. Metodi. I protocolli utilizzati per la tipizzazione e caratterizzazione molecolare e fenotipica dei ceppi di C. difficile sono quelli suggeriti dall’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) che prevedono l’identificazione dei geni della tossina A, tossina B e tossina binaria (CDT) di C. difficile tramite PCR-multiplex, la tipizzazione molecolare dei ceppi con il metodo Capillary PCR-ribotyping, e l’analisi della sensibilità agli antibiotici tramite il metodo della diluizione in agar. Risultati. L’RT018, pur rimanendo la principale causa di CDI in Italia dal 2006, è stato identificato meno frequentemente negli ultimi anni (64% nel periodo 2009-2012 vs 26% nel periodo 2016-2018), mentre la percentuale dei ceppi RT607, geneticamente correlati all’RT018, è aumentato (2% nel periodo 2009-2012 vs 12% nel periodo 2016-2018). Si è anche osservato un aumento dell’RT014, un tipo molto diffuso in Europa, dall’1% nel periodo 2009-2012 al 7% nel periodo 2016-2018, mentre la percentuale di isolamento dei ceppi RT027 e RT078 si è mantenuta costante nel tempo, 8% e 7% rispettivamente. Negli ultimi anni sono emersi in Italia altri RT epidemici internazionalmente noti, come l’RT023 e l’RT017, accanto ad altri RT a diffusione locale, come l’RT569, di interesse One Health in quanto isolato anche nei suini italiani. In generale, il profilo tossinogenico dei ceppi si mantiene costante nel tempo, con il 72% dei ceppi che produce tossina A e B e il 20% che produce tossina A, B e CDT. È interessante notare che recentemente sono emersi ceppi RT033 che producono solo CDT (0.4%) e ceppi RT017 che producono solo tossina B (0.2%). La maggior parte dei ceppi di C. difficile analizzati sono stati isolati da pazienti dei reparti di Medicina Generale (32%), Pediatria (10%), dagli Ambulatori (10%) e dalle Lungodegenze (7%). In particolare, il lineage-018 (RT018 e RT607) è risultato significativamente associato ai casi di CDI registrati negli Ambulatori e nelle Lungodegenze. È interessante notare che la maggior parte dei ceppi isolati negli ultimi 10 anni è MDR e presenta un pattern di resistenza a eritromicina, clindamicina, moxifloxacina e rifampicina. Discussione e Conclusioni. I risultati ottenuti dimostrano che, sebbene il lineage-018 sia la principale causa di CDI in Italia nell’ultimo decennio, l’eterogeneità dei ceppi di C. difficile è in aumento. Accanto ai tipi RT027 e RT078, che mantengono percentuali di isolamento costanti negli ultimi anni, sono emersi nuovi RT epidemici che, come la maggior parte dei ceppi analizzati, sono altamente resistenti agli antibiotici. Questi dati sottolineano la dimensione crescente del problema delle CDI in Italia, problema peraltro parzialmente sommerso a causa della sotto-diagnosi di queste infezioni evidenziata in tutta Europa e anche nel nostro Paese. Appare quindi cruciale l’avvio da parte dell’ISS di uno studio pilota della sorveglianza delle CDI nell’ambito del progetto CCM “Sostegno alla Sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza anche a supporto del PNCAR”, che ha tra i suoi obiettivi principali proprio l’avvio di sorveglianza delle CDI nel nostro Paese.


P15.

Antibiotico-resistenza nell’area di Trieste:
cos’è cambiato nell’era COVID?

M. Busetti 1, M. Di Santolo 1, E. Piccoli 1, V. Costantino 1

1SC Microbiologia e Virologia, Azienda Sanitaria Universitaria Giuliano Isontina (ASUGI), Trieste

Introduzione. La sorveglianza epidemiologica rappresenta un cardine della lotta alle resistenze agli antibiotici, permettendo di monitorare nel tempo la diffusione delle resistenze stesse. I cambiamenti organizzativi legati alla diffusione del virus SARS CoV-2 possono aver inciso sulla frequenza delle resistenze e sulla diffusione dei germi multiresistenti (MDR) in ospedale. Metodi. La SC Microbiologia di Trieste effettua il monitoraggio delle resistenze e la sorveglianza attiva dei microrganismi multiresistenti. Le identificazioni vengono eseguite mediante MALDI-TOF (Vitek MS, BioMerieux) e gli antibiogrammi con i metodi Vitek2, BioMerieux e Sensititre, Thermo Fisher. Il monitoraggio viene fatto con cadenza semestrale e i dati condivisi con il Comitato Controllo Infezioni e diffusi sul sito aziendale e mediante corsi di formazione. Risultati. Nei pazienti ricoverati dal 2018 al 2021 la frequenza di meticillino-resistenza in Staphylococcus aureus è scesa progressivamente dal 54% nel 2018 al 46% nel 2019 al 34-36% nel 2020-2021. La frequenza di vancomicino-resistenza in Enterococcus faecium (VRE), endemico negli ospedali triestini, è rimasta elevata fino al 2020 (54%, 58% e 56% rispettivamente nel 2018, 2019 e 2020) per scendere al 24% nel 2021. Nei Gram-negativi, la frequenza di ESBL negli Enterobatteri è rimasta costante per E.coli (16% nel 2018, 18% nel 2020, 16% nel 2021) mentre è diminuita in Klebsiella spp (38% nel 2018, 23% nel 2019, 17-15% nel 2020-2021). La resistenza ai carbapenemi in Klebsiella pneumoniae, inizialmente aumentata dal 11% nel 2017 al 27% nel 2018, è poi scesa al 23%, 17% e 15% rispettivamente nel 2019, 2020 e 2021. Il meccanismo più frequente è la produzione di KPC, seguita da OXA-48. Discussione e Conclusioni. L’epidemiologia dei microrganismi multiresistenti nell’area di Trieste negli ultimi 4 anni, inizialmente caratterizzata da un elevata frequenza di Enterococcus faecium vancomicina-resistente, ed un incremento di Klebsiella resistente ai carbapenemi, ha mostrato un trend in diminuzione delle resistenze antibiotiche. La diffusione del virus SARS CoV-2 sembra associarsi ad una diminuzione della frequenza dei microrganismi MDR, attribuibile almeno in parte al maggior uso di DPI e dell’igiene delle mani. Il ruolo della sorveglianza microbiologica conferma la sua importanza nel fornire informazioni utili sull’andamento delle resistenze.


P16.

Descrizione dell’esperienza di introduzione
dello screening rettale per VRE in un presidio ospedaliero del Veneto

P. Anello 1, M. Carraro 1, A. Basso 2, C. Cabbia 1, A. Bano 1,
M. Marchiori
1

1Direzione Medica Ospedale di Camposampiero, Azienda ULSS 6 Euganea;

2Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva,
Università di Padova

Introduzione. Nella Regione Veneto, le DGR 1402/2019 e 957/2021 prevedono lo screening per enterobatteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE) con effettuazione del tampone rettale (TR) tra i nuovi ingressi nei reparti ospedalieri per i pazienti a elevato rischio di colonizzazione (es. ospedalizzazione nei mesi precedenti, ammissione in reparti a rischio, immunodepressione, ecc). A febbraio 2021, a seguito di un aumento anomalo del numero di enterococchi vancomicina resistenti (VRE), è stata disposta l’effettuazione del TR per la ricerca di VRE, oltre che di CPE, nelle stesse categorie di pazienti. Obiettivo del lavoro è confrontare i dati locali degli isolamenti di VRE e CPE l’anno precedente e successivo all’introduzione della nuova strategia di screening, e riflettere sui vantaggi derivati dalla sua introduzione. Metodi. Dalla reportistica inviata dal laboratorio di microbiologia con cadenza trimestrale è stato estratto il numero di isolamenti di CPE e VRE e, quando disponibile, il numero di TR inviati per la processazione. Sono state calcolate mediana e range interquartile (IQR) del numero di isolamenti trimestrali di VRE negli anni 2020 e 2021; la differenza tra i due periodi è stata verificata con il test di Wilcoxon. Il I trimestre 2021 è stato escluso in quanto interessato da un aumento anomalo degli isolamenti. La stessa analisi, per l’intero periodo in studio, è stata effettuata per le CPE. Per il 2021, anno in cui il dato era disponibile, è stata calcolata la percentuale di CRE e VRE isolate sul totale dei TR inviati in laboratorio. Risultati. Gli isolamenti di VRE sono stati 36 nel 2020 e 133 negli ultimi 3 trimestri del 2021. La mediana del numero di isolamenti/trimestre di VRE era di 8,5 nel 2020 (IQR 3-15) e di 45 (IQR 35-53) nel 2021, e la differenza tra i due periodi è statisticamente significativa (p=0,034). Le CPE isolate erano 22 nel 2020 e 77 nel 2021; la mediana trimestrale del numero di isolamenti del 2020 era 7 (IQR 5-10), mentre la mediana del 2021 era 19,5 (IQR 14,5-24), p=0,049. Se si considera la percentuale di TR positivi sul totale delle richieste degli ultimi tre trimestri del 2021, queste corrispondono al 7,5% per le VRE (133/1768) e 3,1% (57/1824) per le CPE. Discussione e Conclusioni. I dati locali dimostrano come l’estensione alle VRE dello screening con TR, già previsto per le CPE dalla DGR 1402/2019, abbia comportato un incremento degli isolamenti nel 2021 di entrambi i microrganismi, non per un incremento della popolazione colonizzata (il trimestre interessato da un aumento anomalo di VRE è stato escluso dall’analisi), ma perché la nuova strategia ha permesso di intercettare delle colonizzazioni che, diversamente, non sarebbero state rilevate, prevenendo la diffusione di VRE in ospedale, e le possibili ripercussioni in termini di morbilità, mortalità e durata della degenza documentate in letteratura. Inoltre, praticamente a parità di TR inviati in laboratorio per la processazione, il numero di VRE isolate risulta circa il doppio rispetto alle CPE (133 vs 57); si ritiene pertanto utile una valutazione di costo-efficacia, basata su dati raccolti su più centri, per l’introduzione costitutiva del test di screening come strategia di contrasto dell’antimicrobico-resistenza.


P17.

Clostridioides difficile

A. Filosa 1, P. De Rosa 1, I. Abagnale 1, I. Grimaldi 1, A. Paciolla 1,
F. Feroce
1, E. Punzo 1

1UOC Patologia Clinica, OORR Area Stabiese ASLNA3SUD,
Castellammare di Stabia

Introduzione. C. difficile (CD) è un bacillo gram positivo, anaerobio, sporigeno, che può essere responsabile di infezione (CDI). I principali fattori di virulenza sono legati alla produzione di una enterotossina (TcdA) e una citotossina (TcdB). Vi sono ceppi di CD che non producono tossine, altri che producono una singola tossina e altri ancora che producono entrambe le tossine. Queste tossine sono codificate da 2 geni differenti, chiamati rispettivamente tcdA e tcdB, che insieme con altri 3 geni formano il locus di patogenicità (PaLoc). Il CD tossinogenico (CDt) è una delle cause principali di malattie diarroiche e coliti associate all’uso di antibiotici ed è l’agente scatenante di quasi tutti i casi di colite pseudomembranosa. Sebbene circa il 2% degli adulti sani sia colonizzato da CD, molti pazienti acquisiscono questo organismo come infezione correlata all’assistenza. La CDI comporta costosi trattamenti, isolamento del paziente e lunghi tempi di degenza, impattando negativamente sui costi del SSN. Metodi. Il test deve essere eseguito unicamente su campioni di feci non formate, corrispondenti ai valori da 5 a 7 della Bristol Stool Chart. Viene effettuato screening immunocromatografico per la ricerca dell’antigene glutammato deidrogenasi (GDH). Si procede con test NAT, utilizzando tecnologia LAMP (loop-mediated isothermal DNA amplification) o pannello sindromico in PCR nested multiplex. Risultati. Da Gennaio a Dicembre 2021 sono stati testati per CDI 89 pazienti della Medicina con defecazione frequente, dolore addominale, perdita di appetito o febbre, specialmente in seguito a terapia antibiotica. Sono risultati positivi al test GDH 17 pazienti e tutti hanno confermato la positività per CDt. Nel nostro laboratorio la diagnosi di CDI parte dalla ricerca dell’antigene comune GDH, indice di presenza di CD, che tuttavia non distingue tra ceppi tossinogenici e non tossinogenici. La tecnica di riferimento per la produzione di tossine, il test di citotossicità, non è applicabile alla pratica clinica per la laboriosità e per i lunghi tempi di realizzazione (24-48h). I campioni positivi al GDH, vengono invece testati con tecnologia LAMP per rilevare il locus PaLoc di CDt o con pannello sindromico per patologie gastrointestinali in PCR nested multiplex, che ricerca anch’esso il CDt, coprendo però fino a 23 obiettivi sensibili, tra cui batteri, virus e protozoi patogeni. Discussione e Conclusioni. La CDI è una delle principali cause di malattia gastrointestinale acquisite in ospedale e comporta un elevato onere per il SSN. La diagnosi è prima di tutto clinica, ma il laboratorio di Microbiologia fornisce la conferma dell’infezione e consente la diagnosi differenziale con le altre forme di diarrea nei pazienti ospedalizzati. I saggi molecolari per la ricerca dei CDt garantiscono la tempestività e l’accuratezza, che sono requisiti fondamentali per la diagnosi di CDI.


P18.

Antimicrobico resistenza: 8 anni di sorveglianza
(2014-2021) all’interno del Policlinico San Martino
di Genova, analisi e valutazioni nel contesto pandemico

N. Calcavecchia 1, G. Gatti 1, E. Massaro 1, R. Borghesi 1, I. Giberti 1, A. Battistini 2, F. Scola 2, M. Paoletti 2, R. Ziferro 2, A. Orsi 1

1Dipartimento di Scienze della Salute (DISSAL), Università degli Studi di
Genova, Genova;
2UO Igiene, Ospedale Policlinico San Martino IRCCS, Genova

Introduzione. La resistenza antimicrobica (AMR) si riferisce alla capacità di un microrganismo di eludere l’azione di uno o più antimicrobici. L’AMR rappresenta una delle principali sfide per la salute pubblica nelle regioni europee, con conseguenze drammatiche in termini di infezioni e mortalità. Questa sorveglianza è stata elaborata con lo scopo di monitorare i profili di resistenza dei patogeni isolati presso l’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e confrontarsi con quelli registrati nel resto d’Italia e in Europa (fonte European Centre for Disease Prevention and Control). Obiettivo secondario è comprendere meglio l’epidemiologia dei microrganismi circolanti nella nostra struttura, per un corretto iter diagnostico terapeutico delle infezioni batteriche. Inoltre, i dati raccolti rappresentano la prima elaborazione eseguita nel corso dell’attuale pandemia da COVID-19. Metodi. Sono stati inclusi tutti i microrganismi isolati da emocolture o da culture su liquido cefalorachidiano analizzati presso il laboratorio di microbiologia dell’ospedale, dal 1gennaio 2014 al 31 dicembre 2021. Sono stati esclusi gli isolati dove non è stata testata l’antibiotico resistenza. Esclusi anche gli isolati all’interno dello stesso episodio clinico, fatta eccezione per quei casi dove si osservava un cambiamento del profilo di resistenza del patogeno. Sono stati comunque esclusi gli isolamenti provenienti dallo stesso paziente a meno di 30 giorni di distanza l’uno dall’altro. Sono stati inseriti nella sorveglianza i seguenti patogeni: E. coli, K. Pneumoniae, P. aeruginosa, Acinetobacter spp, S. pneumoniae, S. aureus, E. faecalis, E. faecium. Risultati. E. coli. Nel 2020 abbiamo osservato una percentuale di microrganismi sensibili a tutti gli antibiotici testati sotto la media delle osservazioni degli ultimi otto anni, con una risalita osservata nel 2021 con valori comunque al di sotto della media. K. pneumoniae. Nel 2020 abbiamo osservato una percentuale di microrganismi sensibili a tutti gli antibiotici testati sotto la media delle osservazioni degli ultimi otto anni, ad eccezione del 2021. P. aeruginosa. Nel biennio 2020/21 la percentuale dei microrganismi resistenti a 3 o più antibiotici (tra Piperacillina/Tazobactam, Carbapenemi, Aminoglicosidi, Ceftazidime e Fluorochinoloni) risulta più bassa rispetto alla media delle osservazioni degli anni precedenti. Acinetobacter spp. Nel biennio 2020/21 la percentuale di isolamenti sensibili a tutti gli antibiotici testati è risultata superiore alla media delle osservazioni negli otto anni di sorveglianza. S. pneumoniae. Gli isolamenti sono numericamente esigui; le osservazioni delle resistenze di tale microorganismo negli ultimi due anni rimangono perlopiù all’interno del range di osservazioni degli anni precedenti. S. aureus. La percentuale media di microrganismi resistenti alla Meticillina, nel corso di questi anni di osservazione, si è attestata a livelli considerevolmente più alti della media europea. Tale trend si è accentuato nel biennio 2020/21. E. faecalis. Nel biennio 2020/21 abbiamo assistito a una netta diminuzione dei microrganismi resistenti ad alte dosi di Gentamicina. E. faecium. La resistenza alla Vancomicina rimane ancora un problema da attenzionare. Nel biennio 2020/21 abbiamo registrato una proporzione di microorganismi resistenti a tale antimicrobico superiore alla media delle osservazioni fatte negli anni precedenti. Discussione e Conclusioni. Nei due anni di pandemia il profilo di resistenza di alcuni dei patogeni monitorati ha subito dei cambiamenti. Tali evidenze sottolineano la necessità di ulteriori indagini mirate alla valutazione dei possibili fattori associati a questi cambiamenti, da variazioni nell’uso di antimicrobici alla diversa fruizione degli ambienti ospedalieri e nelle misure atte al contrasto della propagazione del SARS-CoV-2.


P19.

Ospedale di Aosta: adesione alla raccomandazione
a segnalare in lettera di dimissione la positività
per batteri multi resistenti

R. Novati 1, T. Viviano 1, G. Occhipinti 1, A. Gorraz 1, C. Galotto 1

1Direzione sanitaria, Ospedale regionale di Aosta

Introduzione. L’indicazione della positività a microrganismi alert nella lettera di dimissione o documento di trasferimento in altra struttura è una informazione fondamentale per la successiva corretta gestione del paziente sia a domicilio che in altra struttura sanitaria. La conoscenza della positività del paziente ad un microrganismo alert consente ai sanitari, ai medici di famiglia e agli stessi familiari di adottare le opportune precauzioni nonché di utilizzare gli antibiotici più idonei. Tale raccomandazione dal 2015 fa parte delle “Down five in Igiene ospedaliera”, proposte da ANMDO e Siti e fatte proprie da Slow medicine nell’ambito del progetto Choosing wisely. Obiettivo del nostro lavoro è stato di verificare l’adesione alla raccomandazione in Ospedale regionale di Aosta. Metodi. Abbiamo valutato cento cartelle cliniche di altrettanti pazienti con diagnosi di infezione/colonizzazione da batteri multiresistenti (Multidrug resistant organisms, MDRO) in corso di ricovero ospedaliero: Klebsiella resistente ai carbapenemi/produttrice di carbapenemasi (CRE/CPE, 24 pazienti), Staphlylococcus aureus resistente alla meticillina MRSA (22), enterococchi resistenti alla vancomicina (VRE, 26), Escherichia coli produttori di beta lattamasi a spettro esteso (ESBL, 28). Abbiamo in aggiunta valutato 18 pazienti con infezione da Clostridium difficile, germe alert (oggetto di sorveglianza) ma non MDRO. La segnalazione di infezione/colonizzazione da MDRO è stata cercata in lettera di dimissione, nel contesto della diagnosi di dimissione e nelle indicazioni di follow-up. Nei pazienti deceduti durante il ricovero il dato è stato considerato non valutabile (lettera dimissione non disponibile). Risultati. Cinquantaquattro pazienti erano di area medica, 21 di area chirurgica, 9 di terapia intensiva e 16 erano ricoverati in reparto Covid. L’adesione media ospedaliera alla raccomandazione era del 23%, del 31,5% in area medica, 19% in area chirurgica, 11,1% in area critica e 6,3% in reparto Covid. Il 22% delle lettere di dimissione non era valutabile causa decesso in reparto (dal 16,7 al 66,7% a secondo delle aree ospedaliere); il rapporto tra casi segnalati/non segnalati era pari a 0,6 in area medica, 0,5 in area critica, 0,3 in area chirurgica e 0,1 nei reparti Covid (media ospedale: 0,4). L’adesione più elevata alla raccomandazione è stata osservata in presenza di Clostridium difficile (66,7% dei casi), seguito da MRSA (40,9%), Escherichia coli ESBL produttore (21,3%), CRE/CPE (16,7%) e VRE (16,7%). In corso di ricovero e durante il breve follow-up a oggi disponibile (non superiore ai 120 giorni) abbiamo osservato elevata letalità: 100% in area critica, 37% in area medica, 19% in area chirurgica e 18% nei reparti Covid (media Ospedale: 36%). La letalità era superiore nelle infezioni/colonizzazioni da VRE (42,3% dei casi), seguita da CRE/CPE (37,5%), Escherichia coli ESBL (32,1%). MRSA (31,8%) e Clostridium difficile (22,2%). Discussione e Conclusioni. Non siamo a conoscenza di altri studi di monitoraggio di adesione alla raccomandazione inter societaria di segnalare la positività per MDRO in lettera di dimissione; in tal senso il nostro studio, nonostante l’esiguità della casistica, potrebbe essere pionieristico e andrebbe utilmente confrontato con analoghe esperienze. Abbiamo osservato adesione molto bassa alla raccomandazione, decisamente inferiore a quanto dai noi rilevato su analoga casistica in era pre Covid (adesione media del 50%); il dato è coerente con recenti reports di peggioramento delle precauzioni igienico-sanitarie ospedaliere in corso di pandemia, contrariamente all’atteso. L’adesione alla raccomandazione è importante in regione Valle d’Aosta tenuto conto della elevata percentuale di anziani istituzionalizzati e del fenomeno dei frequent users ospedalieri. L’auspicio è che la imminente diffusione aziendale del report di sorveglianza possa invertire la tendenza e migliorare l’indicatore, che sarà nuovamente misurato a fine 2022. Non ultimo, il riscontro di elevata letalità nella popolazione osservata, tenuto conto in particolare che molti pazienti erano colonizzati e non infetti, conferma il grave impatto clinico dei MDRO e l’importanza della prevenzione di queste infezioni.


P20.

Valutazione dell’estensione dello screening all’ingresso per la rilevazione di pazienti colonizzati da enterobatteri produttori di carbapenemasi

C. D’Avino 1, A. Palmieri 2, M. Dettori 2, M.D. Masia 2,
R. Santoru
2, P. Roberta 2, P. Castiglia 2

1Azienda Ospedaliero-Universitaria di Sassari (AOU); 2Dipartimento
di Medicina, Chirurgia e Farmacia, Università degli Studi di Sassari

Introduzione. La crescente diffusione di Enterobatteri Resistenti ai Carbapenemi (CRE) rende necessaria la precoce identificazione dei pazienti colonizzati. Il tempestivo isolamento di coloro che risultano positivi allo screening assieme alle precauzioni da contatto che gli operatori sanitari interessati devono mettere in atto, restano le misure ospedaliere utili per impedire, o almeno limitare, la diffusione di questi microrganismi. La recente emergenza sanitaria causata dal SARS-CoV 2 ha contribuito all’incremento e alla diffusione di microrganismi resistenti. Da un lato, infatti, l’incremento dell’uso di antibiotici sia corretto per curare le superinfezioni batteriche in pazienti gravi COVID-19, che scorretto, come in tutte le epidemie virali comunitarie, ha contribuito alla selezione di resistenze; dall’altro la bardatura degli operatori per la protezione individuale ha abbassato il livello di attenzione nella trasmissione crociata. Per questo motivo l’Azienda Ospedaliero Universitaria (AOU) di Sassari ha deciso di estendere il Protocollo operativo per la sorveglianza e gestione dei pazienti con colonizzazione/infezione da CRE dai reparti considerati a rischio (terapie intensive comprese le neonatali, lungodegenza, geriatria, oncologia, ematologia) a tutti i pazienti al momento del ricovero in qualsiasi reparto a partire da Novembre 2021, con il fine di monitorarne ed arginarne la diffusione. Il presente lavoro si pone l’obiettivo di valutare l’aderenza all’estensione del protocollo e di monitorare la frequenza di positivizzazione dei tamponi rettali durante la degenza presso l’AOU. Metodi. Il periodo preso in considerazione è stato 1 Novembre 2021-31Marzo 2022. I dati riferiti ai ricoveri e i dati microbiologici sono stati ottenuti da sistemi informativi aziendali. L’aderenza al programma di screening è stata valutata prendendo in considerazione 42 reparti e verificando l’invio dei tamponi rettali per lo screening e calcolando il rapporto tra numero di tamponi effettuati all’ingresso del reparto rispetto al numero di ricoveri e controlli successivi. La positivizzazione dei tamponi rettali è stata valutata nei pazienti risultati negativi all’ingresso o con positività rilevata presso le nostre strutture nei sei mesi precedenti al ricovero, rispetto al totale dei tamponi effettuati, stratificati nei mesi in esame. Risultati. Nel periodo di osservazione sono stati registrati complessivamente 12.780 ricoveri. Lo screening prevede la ripetizione del tampone a distanza di 48 ore per tre volte per confermare la negatività, mentre ne sono sufficienti due per confermare la positività. Sono stati processati 14.457 tampone rettali. I tamponi risultati positivi sono stati 325 (2,25%) passando da una percentuale del 3,8% di pazienti positivi registrati nel mese di Novembre al 2,3% nel mese di Marzo (p<0.05). Anche l’adesione dei reparti all’ampliamento del monitoraggio delle CRE è passato dal 73,8 % in Novembre all’83,3% di Marzo per il primo tampone (p<0.05). Restano basse quelle per i tamponi di conferma. Discussione e Conclusioni. Il tampone rettale nella sorveglianza attiva delle CRE si è rilevato un valido strumento per l’individuazione dei pazienti colonizzati. L’incremento dell’adesione allo screening e la contestuale diminuzione delle positivizzazioni totali dimostra la sua efficacia nella gestione della problematica anche con il solo primo tampone. È da sottolineare che alcuni reparti, seppure considerati a basso rischio, hanno mostrato un aumento dei pazienti positivi durante il ricovero dimostrando come le precauzioni da contatto non siano state rispettate. Esistono quindi delle singole realtà in cui le misure di contenimento per evitare la diffusione delle CRE vanno riviste e migliorate. L’aderenza al programma di screening in oggetto è risultato in miglioramento col trascorrere dei mesi, ma ancora perfezionabile. I reparti considerati a rischio hanno mantenuto alta l’attenzione al problema e l’adesione di altri reparti critici dimostra che i microrganismi multiresistenti sono considerati un fattore da monitorare in tutti i servizi di assistenza verso i quali è opportuno dirigere adeguati interventi di formazione.


P21.

Enterococchi vancomicina resistenti da colture
di sorveglianza in pazienti oncoematologici

M. Cosentino 2, G. Cristiano 1, S. Dodaro 2, D. Perugini 2,
F. Rose
1, F. Greco 2

1UOC Direzione Medica di Presidio; 2UOC Microbiologia e Virologia,

PO Annunziata, Cosenza

Introduzione. I microrganismi “alert” o “sentinella” sono dei microrganismi epidemiologicamente rilevanti sia perché in grado di diffondersi rapidamente sia perché portatori di resistenze multiple agli antibiotici. L’aumentata frequenza di isolamento di batteri multiresistenti (MDR) è dovuta all’elevato uso di antibiotici e all’incremento dell’utilizzo di presidi invasivi, particolarmente nei reparti ospedalieri con pazienti ad alto rischio, quali Terapia Intensiva, Oncoematologia, Centro trapianti, ma anche in strutture extra-ospedaliere, quali ad esempio le strutture di lungodegenza e riabilitazione. La pericolosità è legata al tasso di mortalità più elevato nelle infezioni da MDR ed alla loro rapida diffusione, con conseguente rischio di epidemie nosocomiali. Gli Enterococchi vancomicina resistenti (VRE) sono stati fonte di diversi outbreaks e di endemie in diversi Paesi Europei e negli USA. Come evidenziato dal rapporto AR-ISS sulle infezioni invasive da Enterococcus faecium, in Italia si continua ad osservare un progressivo incremento nella percentuale di resistenza alla vancomicina, che è passata dal 11,1% nel 2015 al 23,6% nel 2020. Scopo del nostro lavoro è stato quello di valutare la diffusione di VRE nel reparto di Oncoematologia del PO Annunziata di Cosenza da gennaio 2021 a giugno 2022. Metodi. Nella nostra realtà ospedaliera viene applicato un sistema di sorveglianza su tutti i pazienti che accedono al reparto di oncoematologia mediante l’esecuzione di tamponi rettali e nasali su cui viene eseguita la ricerca mirata di batteri multiresistenti e Candida spp. Lo screening per VRE è stato effettuato mediante esame colturale su terreno cromogenico (ChromID VRE Agar, Biomerièux) e l’identificazione di specie è stata eseguita mediante spettrometria di massa (VITEK MS, Biomerièux). Risultati. La valutazione è stata condotta da gennaio 2021 a giugno 2022. In questo periodo sono stati eseguiti n.1.105 tamponi rettali di sorveglianza per ricerca di VRE. In n.144 tamponi abbiamo isolato in coltura Enterococcus faecium vancomicina resistente, con un tasso di positività del 13%. I pazienti colonizzati risultavano essere n.55 e quelli non colonizzati n.367. Andando a valutare i pazienti che nello stesso periodo hanno sviluppato una sepsi da VRE abbiamo osservato n.4 pazienti tra quelli colonizzati (7,27%) e n.1 paziente tra quelli non colonizzati (0,27%). Discussione e Conclusioni. I nostri risultati, in accordo con i dati di letteratura, mostrano l’importanza delle colture si sorveglianza per individuare precocemente i pazienti colonizzati, favorirne l’isolamento e monitorare gli stessi al fine di ridurre la diffusione e l’insorgenza di infezioni invasive. Un sistema di sorveglianza attiva per l’identificazione dei microrganismi sentinella è infatti indispensabile per prevenirne la diffusione e ridurre il rischio di outbreaks. In questo contesto il Laboratorio di Microbiologia riveste un ruolo cruciale nel fornire indicazioni specifiche necessarie per l’adozione tempestiva di appropriate misure di controllo e per l’identificazione delle fonti d’infezione, dei meccanismi di trasmissione e delle misure più efficaci di prevenzione.

Prevenzione e controllo delle IOS/ICA

P22.

Quanto è importante includere i broncoscopi flessibili nella sorveglianza microbiologica
post-ricondizionamento?

B. Tuvo 1, M. Scarpaci 1, T. Cosci 1, A. Baggiani 1,
R. Alessandro
2, B. Casini 1

1Dipartimento di Medicina Traslazionale e delle Nuove Tecnologie
in Medicina E Chirurgia, Università di Pisa;
2Sezione Operativa
Dipartimentale di Endoscopia Toracica, Azienda Ospedaliera Pisana, Pisa

Introduzione. Recentemente la Food and Drug Administration (FDA) ha messo in evidenza la correlazione esistente tra l’uso dei broncoscopi e focolai di infezioni da microrganismi multi- farmaco-resistenti, la cui causa sarebbe imputabile ad un inadeguato riprocessamento degli strumenti. Dal 2015, il numero di eventi avversi legati all’uso dei broncoscopi è aumentato di 100-200 all’anno e, tra il 2015 e il 2021, l’FDA ha ricevuto 867 segnalazioni. Diversi studi hanno mostrato che nonostante un adeguato riprocessamento, alcuni dispositivi risultavano ancora contaminati. In questo contesto si inserisce la sorveglianza microbiologica come necessaria fase finale di verifica della qualità della procedura di ricondizionamento e di identificazione dei broncoscopi potenzialmente contaminati. L’obiettivo di questo studio è valutare il miglioramento della qualità del processo di ricondizionamento in un’unità di broncoscopia (UB) dopo l’introduzione di una nuova procedura al fine di ridurre il rischio di contaminazione e così garantire la sicurezza del paziente. Metodi. Nel 2019, prima dell’introduzione della nuova procedura, uno studio osservazionale è stato condotto nell’UB dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana, per valutare l’efficacia del ricondizionamento attraverso un campionamento microbiologico sugli strumenti in dotazione. A seguito dei risultati microbiologici sono stati condotti degli audit clinici di revisione del metodo di riprocessamento, permettendo così di evidenziare e correggere le criticità. Nel 2020 la nuova procedura è stata introdotta ed a partire da Febbraio 2021 la qualità del processo è stata verificata attraverso l’attuazione di un piano di sorveglianza microbiologica. Questa prevede una cadenza trimestrale su tutti i broncoscopi e sulle macchine lava-disinfettatrici e semestrale sugli armadi di stoccaggio. I risultati ottenuti sulla contaminazione dei broncoscopi sono stati correlati all’età d’uso del dispositivo. Risultati. Nel 2019, 13 su 22 campioni (59%) sono risultati non conformi, di cui il 18% per microrganismi ad alta rilevanza (MAR) e 36,4% per alta carica microbica (>100 CFU/ endoscopio) e MAR. I microrganismi più frequentemente isolati sono risultati lo Staphylococcus aureus in cinque campioni (38,5%) e Klebsiella pneumoniae produttrice di NDM in due campioni prelevati dallo stesso broncoscopio, utilizzato su pazienti colonizzati da questo germe (15,4%). Da febbraio a novembre 2021, tutti i 31 broncoscopi in dotazione all’UB sono stati campionati almeno tre volte e su 99 campioni 13 (13,1%) sono risultati non conformi. In particolare, K. pneumionae è risultato il microrganismo più isolato, riscontrato in quattro campioni (4,04%). Il livello di contaminazione è risultato correlato ad età maggiori di 14 anni dello strumento (R = 0,32). Tutti i campioni di acqua in ingresso e di risciacquo delle macchine lava disinfettatrici (8/8) oltre ai campioni prelevati dalle superfici degli armadi di stoccaggio (20/20) sono risultati conformi. Discussione e Conclusioni. L’introduzione della procedura di ricondizionamento ha diminuito il riscontro di non conformità microbiologica dei broncoscopi, migliorando la qualità del processo e la sicurezza del paziente. La sorveglianza microbiologica si dimostra uno strumento fondamentale nell’analisi di processo e nel controllo della trasmissione di infezioni crociate.


P23.

Efficacia di un robot a navigazione autonoma
per la disinfezione a radiazione UV-C di superfici ad alta frequenza di contatto in aree critiche ospedaliere

M. Scarpaci 2, B. Tuvo 2, T. Cosci 2, M. Baroni 3, F. Cavallo 1,
M. Petrillo
3, B. Casini 2

1Dipartimento di Ingegneria Industriale Università di Firenze;.

2Dipartimento di Medicina Traslazionale, NTMC. Università di Pisa;

3Ospedale del Cuore, Fondazione Toscana Gabriele Monasterio, Massa

Introduzione. Il ruolo dell’ambiente è ampiamente riconosciuto nella trasmissione delle infezioni correlate all’assistenza. L’implementazione dei protocolli operativi standard rientra nelle strategie promosse dall’Organizzazione Mondiale della Sanità. In questo contesto, l’utilizzo delle radiazioni UV-C è stato recentemente promosso nel controllo della trasmissione di SARS-CoV-2. Obiettivo di questo studio è valutare l’efficacia di un robot a navigazione autonoma a radiazione UV-C per la disinfezione delle aree critiche ospedaliere. La sperimentazione ha previsto una fase di validazione in vitro ed una fase di valutazione dell’efficacia in due ambulatori di un ospedale di alta specializzazione. Metodi. La piattaforma robotica mobile (mover-UVC, Co-Robotics) ospita nove lampade a mercurio a bassa pressione (6 lampade Philips TUV T8 e tre OSRAM Puritech HNS G23). La dose emessa su ciascuna superficie, ortogonalmente o in parallelo, è stata determinata con il radiometro RMD Pro (Opsytec Dr. Gröbel, DE). L’efficacia microbicida è stata valutata secondo la norma ASTM E3135-18. In ambito ospedaliero la disinfezione UV-C è stata utilizzata in aggiunta al POS: un ambulatorio è stato trattato con Protocollo operativo standard (POS) + UV-C (due cicli da 5 minuti), mentre l’altro solo con POS. In entrambi gli ambienti, sono state campionate 12 superfici ad alta frequenza di contatto, dopo l’attività sanitaria, dopo POS e dopo UV-C, secondo la norma ISO 14698-1 (228 siti). La dose è stata determinata anche in condizioni di navigazione autonoma. Risultati. Attraverso la misurazione delle dosi emesse è stato possibile creare una curva di calibrazione. Nelle prove condotte in vitro, dopo 5 minuti a 194 mJ/cm2, la carica di S. aureus ATCC 25923 è stata ridotta di 6,06 Log sia su acciaio AISI 316 che su policarbonato. Sugli stessi materiali, P. aeruginosa ATCC 10145 ha mostrato una riduzione di 6,50 Log e 6,18 Log. Alla dose di 116,4 mJ/cm2/3 min, per S. aureus la riduzione è stata di 7,46 Log e 7,86 Log, mentre per P. aeruginosa di 5,79 Log e di 5,63 Log. Infine alla dose di 38,8 mJ/cm2/1min, è stata di 7,84 Log e 7,80 Log per S. aureus e di 5,40 Log e 5,48 Log per P. aeruginosa. Dopo 5 minuti di esposizione a 194 mJ/cm2, la carica di Adenovirus VR5 è stata ridotta di 4.66 Log e 4,75 Log su acciaio e su policarbonato, la carica di Coronavirus 229E di 4.50 Log e 4,56 Log sugli stessi materiali. Alla dose 116,4 mJ/cm2/3 min la riduzione per Adenovirus è risultata 1,99 Log su acciaio e 4,54 Log su policarbonato, per Coronavirus 4,55 Log e 4,50 Log. Alla dose di 38,8mJ/cm2/1 min, la riduzione di Adenovirus su acciaio è risultata 4,72 Log e di 1,96 Log su policarbonato, mentre Coronavirus ha mostrato una riduzione di 4,47 Log e 4,48 Log. La sperimentazione condotta in ambito ospedaliero ha mostrato come rispetto al POS, il trattamento UV-C è stato efficace nel ridurre la carica microbica in 10 siti, mentre in 4 la contaminazione è stata completamente eliminata. Dopo POS, 42 su 48 superfici (87,5%) presentavano ancora una carica microbica > 1 CFU/24 cm2 (intervallo: 1-22 CFU/24cm2). Dopo l’applicazione della radiazione UV-C, 9 campioni su 48 (18,7%) presentavano una carica microbica residua di almeno 1 CFU/24 cm2 (intervallo 1-2 CFU/24cm2). Durante la navigazione autonoma, la dose emessa risultava più alta in 8 su 12 dei siti. Discussione e Conclusioni. L’implementazione della disinfezione ambientale con radiazione UV-C ha permesso un miglioramento del livello igienico rispetto all’applicazione del solo POS.


P24.

Studio della disinfezione ambientale di Medster 2000 mediante sistema erogatore di nebbie ad ultra basso volume Biodefense

P. Messi 2, R. Feminò 1, C. Sabia 2, R. Iseppi 2

1Dipartimento di Chirurgie Generale e Specialistiche, UOC Anestesia
e Rianimazione e Terapia Intensiva, AOU Modena;

2Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Modena e Reggio Emilia

Introduzione. La recente pandemia COVID-19 ha accelerato e promosso la valutazione di tecnologie diverse e la messa a punto di nuovi dispositivi per l’abbattimento della carica microbica sospesa e sulle superfici in ambienti indoor con l’implementazione della cosiddetta Automated Room Disinfection (ARD). L’interazione di acqua ossigenata e acido peracetico sicuramente rappresenta un sistema disinfettante efficace e di scarso impatto su materiali e sull’ambiente. Nel presente studio è stata valutata l’attività antibatterica di un sistema semiautomatico di erogazione di nebbie ad ultra basso volume non bagnante BIODEFENSE con timer automatico prodotto da Euro Trading srl – San Casciano in Val di Pesa (FI) associato ad una soluzione disinfettante di un innovativo dispositivo medico MEDSTER 2000 – sterilizzante a freddo prodotto da Euro Medical Center srl Firenze in grado di liberare ossigeno nascente a pH neutro (sistema BIODEFENSE-MEDSTER 2000). Metodi. I test sono stati eseguiti in un ambiente confinato (16 m3) appositamente allestito: i) Carrier Test. Coupons di acciaio inox (25cm2) sono stati contaminati con ceppi test classificati ATCC - American Type Colture Collection (107 ufc/ml per Staphylococcus aureus ATCC 6538 ed Escherichia coli ATCC 25922, 106 ufc/ml per Bacillus subtilis ATCC 6633) e sottoposti a trattamento con BIODEFENSE-MEDSTER 2000 soluzione allo 0,25%. Dopo 20 minuti, i campioni esposti ed i rispettivi controlli sono stati processati e la carica residua conteggiata negli specifici terreni selettivi.  ii) Challenge Test, eseguito simulando condizioni estreme di utilizzo real-life, dopo una preliminare fase di contaminazione ambientale (aria-superficie) controllata. I coupons di acciaio inox sterili di una superficie di 25 cm2 e piastre di Petri addizionate di terreno selettivo (piastre di sedimentazione per il campionamento passivo dell’aria), sono stati esposti a contaminazione per nebulizzazione con un pool degli stessi ceppi test classificati, simulando condizioni estreme di utilizzo real-life. Al termine della contaminazione ambientale e dopo il trattamento disinfettante (20 minuti in ambiente saturo), la carica dei batteri presenti nell’aria è stata conteggiata negli specifici terreni selettivi utilizzando il SAS (Surface Air System, campionamento attivo di aria) e la metodica delle piastre di sedimentazione. Risultati. i) Carrier Test. Il sistema di disinfezione per saturazione dell’ambiente con il sistema BIODEFENSE-MEDSTER 2000 soluzione allo 0,25% è risultato molto efficace nei confronti di E. coli con abbattimento della carica vitale di 7 Log immediatamente dopo il trattamento e nelle successive 24 ore, di S. aureus con abbattimento di 5 Log dopo il trattamento e 3 Log dopo 24 ore e di B. subtilis con abbattimento di 4 Log dopo il trattamento e di 2 Log dopo 24 ore.  ii) Challenge Test. Il sistema di disinfezione per saturazione dell’ambiente risulta essere molto efficace nei confronti di tutti i batteri testati, in quanto non si riscontra la presenza di colonie batteriche sia sui coupons lasciati nella camera confinata per tutta la sperimentazione, sia per i coupons inseriti dopo la contaminazione, utilizzati per valutare la presenza di batteri in sospensione nell’aria che vanno a depositarsi sulle superfici. I conteggi sulle piastre di sedimentazione dell’aria evidenziano per S. aureus e E. coli una differenza tra i controlli (dopo la nebulizzazione dei batteri) e le piastre lasciate nella camera per tutta la sperimentazione. Il divario aumenta quando si confrontano i controlli con le piastre poste nella camera dopo nebulizzazione batterica, rilevando una notevole diminuzione dei batteri in sospensione nell’aria che si depositano a seguito del trattamento. Discussione e Conclusioni. Il sistema semiautomatico Biodefense-Medster 2000 ha mostrato una notevole attività di abbattimento dalla carica microbica sia nel test eseguito in ambiente confinato su substrati con carica microbica nota, che nella valutazione in ambienti artificialmente contaminati. Il suo impiego può essere indicato in quelle condizioni in cui debba essere assicurata una disinfezione terminale di ambienti critici e aree a rischio, evitando l’esposizione degli operatori al pericolo microbiologico.


P25.

L’utilizzo del flusso delle schede di dimissione ospedaliera per la sorveglianza delle infezioni
da
Clostridioides difficile (CD)

L. Salmaso 1, S. Bellio 1, F. Avossa 1, U. Fedeli 1, M. Saia 1

1Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. L’infezione da Clostridioides difficile (CD), patologia gravata da una letalità tutt’altro che trascurabile, rientra tra le sei principali infezioni correlate all’assistenza (ICA) e l’ECDC, in considerazione della rilevanza in termini epidemiologici, ne ha promosso la sorveglianza a livello europeo. Tra i numerosi esempi di sorveglianza “passiva” delle ICA, basati sui flussi informativi correnti sviluppatisi a seguito della sempre maggior disponibilità di archivi elettronici di dati sanitari, vi è l’utilizzo del flusso delle schede di dimissione ospedaliera (SDO); con l’obiettivo di stimare la capacità e l’attendibilità di tale flusso informativo nell’individuare le infezioni da CD è stato effettuato un record linkage dello stesso con i dati microbiologici forniti dai laboratori di microbiologia. Metodi. Il linkage è stato operato tra l’archivio informatizzato anonimizzato SDO e quello dei laboratori di microbiologia, sul campione costituito da tutte le dimissioni dagli ospedali pubblici del Veneto nel triennio 2018-2020 con codice di infezione da CD (ICD9-CM 008.45) in una delle prime sei diagnosi SDO. Il dato microbiologico è stato collegato al flusso SDO attraverso la chiave composta dalle variabili sesso e data di nascita e considerando come abbinamenti corretti quelli con la data del prelievo ricompresa nel corso della degenza. Sono stati considerati non appaiati tutti i casi con abbinamento dubbio e gli abbinamenti di ricoveri di soggetti diversi al medesimo isolamento. L’attendibilità della SDO nel registrare la diagnosi di Clostridium è stata valutata calcolando sensibilità e valore predittivo positivo (VPP) con i relativi intervalli di confidenza, considerando come gold standard il dato microbiologico. In particolare il valore predittivo positivo è stato calcolato rapportando al totale dei pazienti con almeno un ricovero con diagnosi CD, i pazienti con diagnosi SDO confermata dalla presenza di almeno un isolamento microbiologico effettuato durante la degenza. La sensibilità è stata calcolata come rapporto fra il numero dei pazienti con diagnosi SDO confermata dal dato microbiologico al totale dei pazienti con almeno un isolamento positivo. Risultati. Nel triennio considerato il flusso SDO ha evidenziato 2.593 dimissioni con diagnosi di CD a fronte di 1.613.394 ricoveri ordinari, con un’incidenza di ospedalizzazioni pari a 1,6 per 1.000 ricoveri ordinari e a 1,9 casi per 10.000 giornate di degenza (GDO). L’incidenza è maggiore per gli ospedali pubblici (1,8‰ ricoveri e 2,1 per 10.000 GDO) rispetto a quelli privati accreditati (0,9‰ ricoveri e 1,0 per per 10.000 GDO). Dal linkage delle 2.349 dimissioni dagli ospedali pubblici oggetto dell’analisi, pari al 90,6% dell’attività complessiva, con i 4.785 isolamenti di microbiologia avvenuti durante una degenza ospedaliera, è emerso come il 45% (95%IC: 43,6-46,9) dei soggetti con isolamento di CD riportasse correttamente lo specifico codice diagnosi nella SDO (sensibilità), e come la predittività della codifica SDO si attestasse al 77% (95%IC: 75,6-79,2), in virtù della corrispondenza tra la presenza dello specifico codice diagnosi e l’isolamento microbiologico. Da segnalare infine come gli isolamenti microbiologici ammontassero complessivamente a 6.534, con ben un quarto degli stessi (n=1.179; 26,8%) riferiti a pazienti non ospedalizzati, caratterizzati, rispetto ai pazienti ricoverati, da un’età mediana più alta (82 anni - IQR: 69-88 Vs. 79 anni - IQR: 68-86) e da una marcata prevalenza del genere femminile rispetto ai degenti (65% Vs. 53%). Discussione e Conclusioni. Quanto emerso da questa analisi, oltre a confermare l’importante impatto delle infezioni da CD, ha evidenziato una discreta predittività della SDO, ma allo stesso tempo un risultato assolutamente perfettibile in termini di sensibilità, rimarcando la criticità dell’impiego esclusivo di archivi elettronici di dati sanitari per la sorveglianza e la conseguente necessità di continuare ad avvalersi degli archivi microbiologici.


P26.

Valutazione dell’efficacia di un dispositivo portatile
di depurazione dell’aria in ambienti indoor

T. Cosci 1, G. Ottria 2, B. Tuvo 1, M. Scarpaci 1, F. Badalucco 1,
M. Totaro
1, A.M. Spagnolo 1, M. Sartini 1, A. Baggiani 1,
B. Casini
1, M.L. Cristina 2

1Dipartimento di Medicina Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in
Medicina E Chirurgia, Università di Pisa;
2Dipartimento di Scienze
della Salute, Università di Genova

Introduzione. La recente pandemia da SARS-CoV-2, ha aumentato la consapevolezza sui rischi legati alla qualità microbiologica dell’aria indoor. Questo ha favorito l’implementazione di sistemi volti alla depurazione dell’aria e, recentemente, organizzazioni internazionali e nazionali, come il Centro Europeo per la Prevenzione e il Controllo delle Malattie e l’Istituto Superiore di Sanità, hanno pubblicato documenti di indirizzo per la ventilazione degli spazi interni e l’uso di purificatori d’aria mobili, dotati di filtri HEPA e/o raggi UV. L’obiettivo del nostro lavoro era quello di verificare l’efficacia di un dispositivo portatile di depurazione dell’aria in ambienti indoor. Metodi. È stato condotto uno studio multicentrico prospettico, a variabili controllate standardizzate, utilizzando un protocollo condiviso tra i due centri partecipanti. Il dispositivo è dotato di 4 componenti: una piastra elettrostatica, un filtro HEPA H14, un filtro multistadio modulare Hepa-Carbon e una lampada UV-C. Il protocollo ha previsto due fasi (A-B), caratterizzate dal progressivo aumento del numero di persone all’interno del locale scelto. I campionamenti sono stati effettuati prima dell’accensione dello strumento (tempo 0) e dopo 10, 30 e 60 minuti. È stata determinata la carica batterica totale (CBT), attraverso campionamento attivo (Surface Air System) con Plate Count Agar, e le particelle con contatore particellare per aria. Contestualmente sono stati registrati i valori di temperatura e umidità relativa. I risultati ottenuti sono stati analizzati tramite analisi statistica con t-test per dati appaiati. Risultati. Sono stati eseguiti 340 campionamenti sia per la CBT che per la conta particellare. Per la carica batterica nella fase A, al tempo 0, i valori medi sono risultati 288 CFU/mc e nella fase B 480 CFU/mc; dopo 10 minuti dall’accensione, 127 CFU/mc (fase A) e 70 CFU/mc (fase B); dopo 30 minuti 88 CFU/mc (fase A) e 112 CFU/mc (fase B); infine, dopo 60 minuti 98 CFU/mc (fase A) e 92 CFU/mc (fase B). La percentuale di abbattimento della CBT è risultata 65.97% nella fase A e 80.83% nella fase B. I valori medi della conta particellare 0.5 micron nella fase A, al tempo 0, sono risultati 3.051.189 particelle/mc e nella fase B 3.849.659 particelle/mc; dopo 10 minuti, 389.720 particelle/mc (fase A) e 339.020 particelle/mc (fase B); dopo 30 minuti 200.150 particelle/mc (fase A) e 113.761 particelle/mc (fase B); infine, dopo 60 minuti 146.917 particelle/mc (fase A) e 121.487 particelle/mc (fase B). La percentuale di abbattimento è risultata pari a 95.18% nella fase A e pari a 96.84% nella fase B. I valori medi della conta particellare 5 micron, nella fase A, al tempo 0, sono risultati 44.189 particelle/mc e nella fase B 49.805 CFU/mc; dopo 10 minuti, 13.037 particelle/mc (fase A) e 11.215 CFU/mc (fase B); dopo 30 minuti 12.990 particelle/mc (fase A) e 9.910 CFU/mc (fase B); infine dopo 60 minuti 8.812 particelle/mc (fase A) e 10.253 CFU/mc (fase B). La percentuale di abbattimento è risultata pari a 80.06% nella fase A e pari a 79.41% nella fase B. È stata evidenziata una diminuzione statisticamente significativa tra il tempo 0 e la fine del trattamento (p< 0.05). I valori mediani di temperatura e umidità sono risultati 55% Umidità relativa (UR) e 22°C nella fase A e 57% UR e 25°C nella fase B. Discussione e Conclusioni. Il dispositivo ha mostrato un’elevata efficacia nell’abbattere la contaminazione microbica dell’aria, in particolare dopo 10 e 30 minuti, mostrando, a 60 minuti, la capacità di mantenere stabile la qualità microbiologica dell’aria raggiunta.


P27.

Riduzione della contaminazione microbica
delle superfici e dell’aria in contesto assistenziale mediante radiazione UV-C

M. Scarpaci 1, M. Totaro 1, B. Tuvo 1, F. Badalucco 1, T. Cosci 1,
B. Casini
1, A. Baggiani 1

1Dipartimento di Medicina Traslazionale, NTMC. Università di Pisa

Introduzione. La disinfezione tramite radiazione UV-C è stata recentemente valorizzata nel suo ruolo di integrazione delle procedure operative standard, in particolare in contesti sanitari ad alta prevalenza di infezioni da batteri multi-farmaco-resistenti (MDROs). Il suo utilizzo non risulta ancora supportato da un’adeguata normativa di riferimento, sia per la valutazione d’efficacia che per la sicurezza nell’impiego. La sua applicazione non sostituisce i protocolli di sanificazione ordinaria, ma li integra in efficacia, con un impiego di tempo limitato rispetto ad altre tecnologie che utilizzano biocidi. Lo scopo di questo studio è valutare l’efficacia di un dispositivo automatizzato che produce radiazione UV-C tramite 6 lampade ad amalgama (1800W), nel ridurre la contaminazione microbica ambientale, applicato in aggiunta al protocollo di pulizia e disinfezione standard nelle aree ad alto rischio infettivo. Metodi. Studio prospettico cross-over condotto da aprile 2021 a giugno 2021 presso un ospedale universitario 1.067 posti letto. Sono state selezionate 2 sale operatorie, 1 stanza di degenza e 1 stanza di terapia intensiva (UTI). In ogni setting sono state campionate 20 superfici ad alta frequenza di contatto e 1 o 2 punti, in base alla metratura della stanza, per la determinazione della qualità microbiologica dell’aria. Il campionamento è stato eseguito in sala operatoria al termine dell’attività chirurgica, nella UTI e nella stanza di degenza alla dimissione del paziente. Ciascun punto è stato campionato prima dell’applicazione del protocollo standard (PS), dopo PS e dopo trattamento con UV-C. Quest’ultimo è stato utilizzato in sala operatoria per tre cicli da 5 minuti; nelle stanze di degenza e di terapia intensiva, per due cicli da 5 minuti. L’efficacia nella riduzione della carica microbica sulle superfici è stata valutata secondo UNI EN ISO 14698-1. Per la valutazione della qualità microbiologica dell’aria è stato utilizzato un campionatore attivo (Surface Air System, SAS). La conformità dei valori di carica microbica totale e dell’eventuale presenza di indicatori è stata valutata secondo le Linee guida ISPESL, 2009. Per le stanze di degenza si è considerato il limite di accettabilità riportato in letteratura (<125 UFC/24cm2). In ogni punto è stata rilevata la dose emessa (mJ/cm2), utilizzando dei dosimetri di radiazione. Risultati. Sono stati analizzati 480 campioni, 160 dopo attività assistenziale, 160 dopo attuazione del protocollo standard e 160 dopo UVC. Dopo l’applicazione del protocollo standard è stata rilevata la presenza di carica microbica nel 58,3% (70/120) dei siti nelle sale operatorie, l’80% (16/20) nella UTI, l’85% (17/20) nella camera di degenza. Dopo trattamento UV-C le percentuali di positività sono risultate rispettivamente pari a 20% (24/120), 20% (4/20) e 0%. Dopo l’applicazione del Protocollo Standard 15 su 160 campioni (9.3%) sono risultati non conformi, mentre dopo UVC il totale dei campioni è risultato conforme. Nessun campione d’aria è risultato non conforme. La riduzione della carica microbica dopo trattamento UV-C è risultata statisticamente significativa (p<0,005). Sul 95% dei siti campionati la dose emessa è stata >200 mJ/cm2. Discussione e Conclusioni. Sono state rilevate importanti criticità nell’applicazione del Protocollo Standard sulle superfici ad alta frequenza di contatto. Il sistema automatizzato a radiazione UV-C risulta capace di ridurre significativamente la contaminazione microbica, rappresentando una valida procedura complementare al Protocollo Standard per ridurre il rischio infettivo correlato alla contaminazione ambientale.


P28.

Casi di infezione/colonizzazione da Candida auris 
in Emilia-Romagna. A case series study

E. Ferrari 3, E. Vecchi 4, G. Mattei 4, G. Diegoli 4, C. Gagliotti 1,
E. Ricchizzi
1, M.L. Moro 1, E. Righi 2

1Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale - Regione Emilia-Romagna - Bologna; 2Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Modena; 3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva – Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia - Modena; 4Settore Prevenzione Collettiva e Sanità Pubblica - Direzione Generale Cura della Persona, Salute e Welfare - Regione Emilia-Romagna - Bologna

Introduzione. Il fenomeno dell’antimicrobico-resistenza è un’emergenza di Sanità Pubblica a livello globale. In particolare, l’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC) e il Ministero della Salute hanno rinnovato l’allerta in merito alla diffusione di Candida auris, un fungo multiresistente che trova facile diffusione nelle strutture sanitarie e può determinare gravi infezioni in pazienti fragili o portatori di devices, con un elevato tasso di mortalità. La finalità del presente lavoro è descrivere i casi registrati in Emilia-Romagna, ponendo l’accento sulle misure di infection prevention and control e antimicrobial stewardship implementate. Metodi. In risposta alla crescente allerta a livello nazionale ed internazionale, a dicembre 2021 la Regione Emilia-Romagna ha avviato un aggiornamento della situazione epidemiologica relativa ai casi di infezione/colonizzazione da Candida auris registrati dal 2018 al 2021 (casi importati e autoctoni). La scheda di censimento indagava: numero di casi, substrato e data del primo isolamento, capacità diagnostiche dei laboratori aziendali, presenza di Candida auris tra gli alert organisms aziendali, misure di prevenzione e controllo del rischio infettivo. Risultati. Nel periodo considerato sono stati registrati 15 casi di infezione/ colonizzazione da Candida auris, con un’incidenza annuale che variava da 0 (2018) a 2.27 (2021) casi per 100.000 ricoveri. In particolare, sono stati riscontrati 3 casi nel 2020 e 12 casi nel 2021; nessun caso è stato registrato nel 2018-2019. Solo due delle strutture censite avevano casi positivi (in una erano tutti importati dalla Liguria). Nei pazienti positivi (66.7% maschi, 43.3% femmine) l’età media alla diagnosi era di 61,3 anni. Oltre la metà dei casi (66,7%) è stata riscontrata durante un ricovero in Terapia Intensiva. Le infezioni (candidemie) sono state 3, mentre le colonizzazioni sono state identificate sui seguenti substrati: 5 lavaggi bronco-alveolari, 2 urine, 4 tamponi cutanei, 1 catetere venoso centrale. Il 90% delle aziende censite applicava precauzioni da contatto e disinfezione terminale in caso di positività a Candida auris; l’82% aveva un laboratorio interno in grado di identificare il micete. Discussione e Conclusioni. Candida auris si conferma come patogeno emergente anche in Emilia-Romagna, nonostante l’incidenza ancora molto bassa. Coerentemente con la letteratura, i principali fattori di rischio sembrano essere l’elevata intensità di cura e la durata dell’ospedalizzazione: infatti le positività sono state riscontrate in reparti di lungodegenza o di Terapia Intensiva, dove verosimilmente è anche più attivo lo screening per Candida auris. Ulteriori studi e approfondimenti potranno chiarire la reale prevalenza di tale germe e i principali fattori di rischio implicati: a questo scopo la Regione, oltre a semplificare il sistema di notifica, ha diffuso nelle Aziende indicazioni di infection prevention and control, antimicrobial stewardship e materiale informativo (fact sheet) volti a favorire la precoce individuazione del patogeno e l’applicazione delle necessarie precauzioni igienistiche.


P29.

Valutazione dell’efficacia del dispositivo disinfettante Rely+On Virkon applicato in ambito sanitario

M. Totaro 2, F. Badalucco 2, F. Castellani 1, F. Di Serafino 2,
N. Zotti
2, D. Rocchi 2, B. Casini 2, D. Masetti 1, A. Baggiani 2

1Damamed Srl, San Lazzaro di Savena, Bologna; 2Università di Pisa,
Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove Tecnologie in Medicina e Chirurgia, Pisa.

Introduzione. La problematica delle infezioni correlate all’assistenza è strettamente legata a fattori di rischio come la lungodegenza in aree ad alto rischio o terapie intensive, oltre che alla suscettibilità individuale del paziente. È inoltre dimostrato che l’incidenza delle infezioni può essere correlata anche a pratiche ambulatoriali effettuate in aree non correttamente sanificate o dispositivi medici contaminati soprattutto da batteri ambientali o enterobatteri farmaco resistenti. In questo contesto è stata effettuata una valutazione di efficacia di un sistema di micronizzazione con Rely+On Virkon (perossimonosolfato di potassio) per la disinfezione dell’aria indoor in studi medici. Metodi. Due ambulatori medici (AMB1: cardiologia, 15 m2; 50 m3 e AMB2: urologia, 13 m2; 40 m3) sono stati sottoposti al trattamento di micronizzazione con Rely+On Virkon (1 e 2%) al termine delle routinarie attività cliniche. Monitoraggi microbiologici ambientali sull’aria (metodo settle plates) e delle superfici (contact plates) sono stati effettuati prima e dopo la disinfezione, per la ricerca della carica microbica totale a 37°C (ed eventuali patogeni opportunisti) e dei miceti. Complessivamente, in 16 monitoraggi, sono state analizzate 128 superfici e 64 campioni di aria. I diversi punti di superfici e aria sono stati campionati in differenti altezze, in modo da valutare l’efficacia della disinfezione sull’intero volume dell’ambiente in esame. Risultati. Il sistema disinfettante all’1% si è dimostrato efficace nella riduzione di batteri mesofili (max 88%). In particolare, dalle superfici è stato possibile osservare il totale abbattimento di Klebsiella pneumoniae (da 160 a 0 UFC/dm2) in AMB1 e Acinetobacter lwoffi (da 144 a 0 UFC/dm2) in AMB2. Per quanto riguarda l’aria, si è osservato una riduzione massima degli ifomiceti pari al 90% sia nell’aria che nelle superfici. Aumentando la concentrazione del disinfettante al 2% è stato ottenuto una riduzione della carica batterica mesofila pari al 95%, sia per l’aria che per le superfici di entrambi gli ambulatori. Risultati analoghi sono stati ottenuti anche per quanto riguarda gli ifomiceti (riduzione massima del 95%). Discussione e Conclusioni. Confrontando i risultati dei due sistemi a diversa concentrazione si osserva come il Rely+On Virkon 2% induca una riduzione media di batteri mesofili e ifomiceti più elevata rispetto al trattamento all’1%. A tal proposito le percentuali di riduzione microbica, sia sulle superfici che sull’aria, possono essere considerate favorevoli al fine della decontaminazione di ambienti indoor destinati ad attività di tipo clinico-ambulatoriale e sanitario in generale.


P30.

Un outbreak di infezione da Virus Respiratorio Sinciziale in pazienti trapiantati di rene

G. Virone 1, A. Petrazzuolo 1, G. Russo 1, F. Trovato 1, A. Faruzzo 2, C. Cargnelutti 2, N. Rassatti 2, L. Brunelli 1, R. Cocconi 3

1Dipartimento di Area Medica, Università degli studi di Udine; 2Direzione Medica di Presidio, Ospedale Santa Maria della Misericordia, Udine;
3SOC Rischio Clinico, Qualità e Accreditamento, Azienda Sanitaria
Universitaria Friuli Centrale, Udine

Introduzione. Il virus respiratorio sinciziale (VRS) è una delle più importanti infezioni patogene dell’infanzia o a carico di pazienti adulti immunodepressi. Si stima che colpisca annualmente 33 milioni di persone, 3,2 milioni delle quali necessitano di ricovero ospedaliero, e tra le 94 e le 149 mila vadano incontro a decesso. Sebbene il VRS non sia causa tipica di infezione correlata all’assistenza, il gruppo Operativo per la Prevenzione e Controllo del Rischio Infettivo ha avviato un’indagine approfondita su un cluster di pazienti ospedalizzati trapiantati di rene, in seguito ad un alert ricevuto dal reparto di Nefrologia. L’indagine era finalizzata a confermare l’esistenza di un outbreak, a porre in essere eventuali misure di prevenzione e controllo e ad approfondire le circostanze che hanno causato l’evento allo scopo di contenere la possibilità di riaccadimento futuro. Metodi. Sono state analizzate le cartelle cliniche dei pazienti trapiantati di rene con sintomatologia riconducibile ad infezione delle alte vie respiratorie ricoverati presso la Nefrologia dell’ospedale di Udine tra il 16/12/2021 e il 22/02/2022. I dati raccolti includevano: età, sesso, date di ingresso e dimissione, diagnosi di ricovero, comorbidità pregresse, data del trapianto, terapia in atto, esami di laboratorio, microbiologici, di diagnostica strumentale e consulenze specialistiche. Ai fini dell’indagine, sono state poste le seguenti definizioni: 1) caso certo: “paziente trapiantato di rene, ospedalizzato e positivo al test per la ricerca diretta molecolare del VRS”; 2) caso probabile: “paziente trapiantato di rene, ospedalizzato con sintomatologia compatibile a infezione da VRS”. I fattori di rischio considerati sono stati: degenza in stanze comuni; condivisione di spazi comuni; utilizzo della medesima strumentazione diagnostica; assistenza ad elevato livello dovuta a condizioni di allettamento; fruizione di consulenza con lo stesso specialista. Sono state inoltre condotte interviste al personale del reparto per formulare ipotesi sulle possibili fonti di infezione e per individuare ulteriori fattori di rischio clinico-organizzativi. Risultati. Durante il periodo considerato, sono stati riscontrati 7 casi di VRS considerati certi (5 uomini e 2 donne) e 1 caso probabile (donna); l’età media di questi pazienti era di 59,8±60,5 anni, range min 41, max 69. Quattro pazienti erano stati sottoposti a trapianto renale nell’ultimo anno e gli altri quattro nei 10 anni precedenti, tutti in terapia immunosoppressiva. La maggior parte presentava comorbidità cardiovascolare (100%) o polmonare (75%), mentre il 50% contemporanea infezione da Citomegalovirus. Relativamente ai pazienti sono state riportate alcune difficoltà organizzative legate alla tempistica di raccolta e processamento dei tamponi diagnostici con conseguente ritardo di identificazione delle positività per VRS. Gli operatori sanitari invece non sono stati sottoposti ad immediata verifica. Non risultando evidenti dinamiche di trasmissione tra i casi riconducibili a degenza in stanze comuni, condivisione di spazi comuni, utilizzo sui pazienti della medesima strumentazione diagnostica, assistenza ad elevato livello dovuta a condizioni di allettamento o fruizione di consulenza con lo stesso specialista, risulta verosimile che il caso indice sia riconducibile ad un paziente o ad un operatore che avrebbe contratto l’infezione presso il proprio domicilio causandone successivamente l’outbreak ospedaliero. Discussione e Conclusioni. L’alert sollevato per outbreak ospedaliero da VRS risulta confermato dall’indagine condotta. La concomitanza di tale focolaio con la pandemia da Covid-19 in corso, in particolare nel periodo interessato ove insisteva alta incidenza di nuovi casi, può aver portato ad un ritardo della gestione di infezioni da altri agenti virali causa di infezioni delle vie respiratorie e ad una loro mancata segnalazione al Gruppo Operativo di Prevenzione e Controllo del Rischio Infettivo. La focalizzazione dell’attenzione su Covid-19 può aver giocato un ruolo importante nel ritardo di individuazione e nella corretta gestione dell’outbreak.


P31.

Protocolli di Prevenzione del rischio infettivo in RSA - l’esperienza della Regione Piemonte

V. Bordino 1, G. Libero 1, C. Vicentini 1, E. Sciurpa 1, C.M. Zotti 1

1Dipartimento di Scienze della sanità pubblica e pediatriche - Università
di Torino

Introduzione. La pandemia da COVID-19 ha colpito molto duramente tutte le realtà assistenziali. In particolare le Residenze Sanitarie Assistite (RSA), le quali ospitano soggetti fragili e multicomorbidi, hanno affrontato, soprattutto in epoca pre-vaccinale, una elevatissima incidenza di infezioni. In pieno periodo pandemico il personale era sottodimensionato e le necessità delle strutture sanitarie pubbliche hanno peggiorato questa situazione per assorbimento di risorse umane dalle altre realtà. La creazione di percorsi adibiti a ospiti infetti e il rispetto di misure di Prevenzione del rischio infettivo sono state applicate in maniera disomogenea nelle varie strutture. La Regione Piemonte, tramite il DIRMEI (Dipartimento interaziendale malattie ed emergenze infettive), ha provveduto ad un censimento delle strutture insistenti sul territorio piemontese e a richiedere settimanalmente, tramite portale dedicato, informazioni relative ai nuovi casi, decessi in struttura e trasferimenti in ospedale. Lo scopo di questo studio è quello di valutare il possesso da parte delle suddette strutture, di protocolli relativi alle principali misure di prevenzione del rischio infettivo. Metodi. Con la collaborazione del DIRMEI e della Regione Piemonte, è stato prodotto un questionario atto a valutare il possesso di protocolli di prevenzione del rischio infettivo e la data di aggiornamento. Gli Items del questionario erano 17. Il questionario è stato realizzato su piattaforma MedCap fornita dall’Università degli Studi di Torino. La richiesta di compilazione, con il link incluso, è stata diffusa a tutte le strutture da parte del DIRMEI. L’elaborazione dei dati è stata eseguita utilizzando il software statistico SPSS v28.0.1 Risultati. I risultati preliminari mostrano come 436 strutture abbiano risposto al questionario. Di queste 361 erano RSA, 26 RAA e 49 con diversa classificazione. I protocolli di cui le strutture rispondenti sono fornite maggiormente sono: “Attuazione misure isolamento particolare attenzione COVID” con una percentuale del 99.7% dei rispondenti; Procedure sull’Igiene delle Mani degli Operatori per un 99.08% dei rispondenti e Pulizia/Sanificazione col 98.85%. I protocolli, invece, di cui le strutture si sono dimostrate maggiormente carenti sono: “Sterilizzazione” con il 46.15% di rispondenti; “Prevenzione malattie suscettibili profilassi vaccinale negli operatori sanitari(particolare attenzione a COVID-19)” con il 69.34.% di rispondenti; “TB (Valutazione del rischio)” con il 51.76% Discussione e Conclusioni. I risultati preliminari del presente studio mostrano come sia fondamentale mantenere uno stretto rapporto tra le strutture assistenziali del territorio e le ASL. Il fatto che molte strutture siano sprovviste di procedure di prevenzione del rischio infettivo, fondamentali in un momento di ancora importante circolazione del SARS-CoV-2, è la base di partenza per la creazione di un gruppo di lavoro, utile alla creazione di procedure da mettere a disposizione su un sito istituzionale e da condividere con le strutture che hanno partecipato alla compilazione dei questionari.


P32.

Studi di prevalenza puntuale delle infezioni correlate all’assistenza e dell’utilizzo degli antibiotici: l’esperienza di dieci anni di monitoraggio
nel Friuli Venezia Giulia

M. Trivisani 4, D. Zago 4, L. Cella 4, R. Cocconi 1, L. Arnoldo 2, P.d.p.e.c.d.i.d.R.C.S. Gruppo Regionale Dei Risk Manager e dei Rappresentanti Aziendali 3

1Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine; 2Azienda Sanitaria
Universitaria Integrata di Udine; Dipartimento di Area Medica, Università degli Studi di Udine;
3Rete Cure Sicure FVG; 4Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Dipartimento di Area Medica, Università degli Studi di Udine

Introduzione. La sorveglianza e la successiva condivisione dei dati sulle infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono uno strumento fondamentale per poter fronteggiare al meglio questo problema all’interno di una organizzazione sanitaria. In quest’ottica la regione Friuli Venezia Giulia ha messo in atto, a partire dal 2011, un progetto di ripetizione di studi di prevalenza su base biennale basato su un protocollo internazionale [Point Prevalence Survey (PPS) dell’European Centre for Disease Prevention and Control (ECDC)]. Gli obiettivi erano quelli di condividere a livello regionale strumenti di valutazione comuni e standardizzati per poter valutare il problema, trovare soluzioni condivise, applicarle e valutarne l’impatto. Metodi. Sono state finora effettuate 6 rilevazioni a partire del 2011 sempre organizzate nel mese di ottobre al fine di ridurre i possibili bias stagionali. Tutte le 13 strutture pubbliche per acuti (3 ospedali hub, 8 ospedali spoke e 2 IRCCS) hanno partecipato. Nel corso degli anni di studio sono stati coinvolti per la raccolta dei dati più di 150 professionisti, specificatamente formati tramite un corso svolto nel mese precedente la rilevazione. Il protocollo utilizzato è quello fornito dall’ECDC (versione 4.3 nelle prime due rilevazioni e versione 5.3 nelle successive). I dati sono stati raccolti nelle singole aziende e poi inviati al nucleo operativo della Rete regionale che restituiva i dati analizzati complessivi e per singola struttura. Sulla base dei risultati sono stati negli anni introdotti e implementati degli strumenti (es. bundle) per la prevenzione delle ICA. L’analisi statistica ha incluso il test del chi-squared for trend. Valori di p<0,05 sono stati considerati come statisticamente significativi. Risultati. Le 6 PPS hanno rispettivamente incluso 3.026, 3.064, 2.796, 2.796, 2.769 e 2.568 pazienti; la maggior parte di questi erano ricoverati in ospedale hub (62,9%, 61,3%, 59,7%, 61,8%, 60,3% e 61,6%). La prevalenza di pazienti con almeno un’ICA risultava rispettivamente del 7%, 6,3%, 5,5%, 5,9%, 5,5% e 5,5%, con un trend in diminuzione significativo da un punto di vista statistico. La prevalenza di ICA negli ospedali hub, maggiore negli ospedali spoke nelle prime rilevazioni, a partire dal 2019 ha mostrato valori simili, rispettivamente 5,6% e 5,3% negli hub rispetto a 5,2% e 5,4% degli spoke. Le tipologie di ICA più rappresentate in tutte e 6 le rilevazioni sono state le polmoniti, le sepsi, le infezioni del sito chirurgico e quelle del tratto urinario. La prevalenza di pazienti che hanno ricevuto almeno un antibiotico è risultata negli anni del 40,7%, 39,8%, 36,4%, 39,3%, 37,1% e 36,2%, dimostrando un trend in diminuzione statisticamente significativo, soprattutto negli ospedali hub. Per quanto riguarda l’utilizzo dei device, il trend risulta in aumento per catetere venoso centrale (dal 10,7 al 15,5%), per catetere venoso periferico (dal 64,8% al 72,2%) e per catetere urinario (dal 22,1% al 25,5%). Discussione e Conclusioni. Eseguire uno stretto monitoraggio ogni due anni mantiene un alto livello di attenzione all’interno delle singole strutture e fornisce un quadro puntuale delle ICA contribuendo alla valutazione dell’impatto delle azioni di miglioramento intraprese come l’introduzione progressiva, a partire dal 2012, di un numero sempre maggiore di bundle per la prevenzione delle ICA correlate alla presenza di un device. La metodologia, inoltre, essendo standardizzata, consente il confronto oltre che a livello regionale anche con i dati nazionali ed europei. Infine l’attività formativa del personale coinvolto serve a sensibilizzare i professionisti coinvolti e la restituzione dei dati alle strutture fornisce un importante strumento per aumentare la consapevolezza sul tema di tutti i professionisti sanitari.


P33.

Il progetto europeo Hygeia per la prevenzione
delle infezioni in ambito socio-sanitario

B. Gasperini 2, E. Martini 1, C. Peconi 2, E. Ponzio 2, D. Sarti 2,
G. Mercante
2, C. Vesprini 2, E. Prospero 2

1Azienda Ospedaliero-Universitaria Ospedali Riuniti, SOD Complessa Di Igiene Ospedaliera, Ancona; 2Università Politecnica delle Marche, Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Sezione di Igiene, Ancona

Introduzione. In Europa le infezioni associate alle cure causano oltre 37.000 decessi all’anno e i costi diretti superano i 7 miliardi di euro. Mantenere elevati standard igienici è il modo più efficace per interrompere la catena del contagio. L’igiene sanitaria è un processo multimodale che si sviluppa attraverso la formazione e l’aggiornamento continuo degli operatori, la diffusione di competenze tecniche e l’adozione di comportamenti e pratiche assistenziali basati su solide evidenze scientifiche. La formazione è un elemento cruciale per la prevenzione ed il contenimento del rischio di infezioni correlate all’assistenza. Il progetto europeo Hygeia (hygeiaproject.eu) nasce nel dicembre 2020 con una partnership di vari enti pubblici (Università Politecnica delle Marche, per l’Italia; la Fundacion para la Formacion e investigacion sanitarias de la Region de Murcia, per la Spagna; la Linkoping University per la Svezia), e di aziende private italiane, turche e svedesi attive nei campi di sistemi informativi, servizi per la sanità digitale, ecc.

Lo scopo principale del progetto HYGEIA è quello di fornire istruzione e formazione professionale aggiornata, affidabile e facilmente accessibile per migliorare e rafforzare le conoscenze sulla prevenzione della trasmissione di microrganismi patogeni nei contesti sanitari e socio-sanitari. Metodi. il progetto prevede lo sviluppo di un pacchetto innovativo di formazione professionale per operatori sanitari di varie qualifiche (medici, infermieri, operatori sociosanitari, fisioterapisti, terapisti occupazionali, ecc.) e personale di supporto non sanitario (personale amministrativo, assistenze per anziani, ecc.) che si sviluppa attraverso tre moduli, autonomi ma tra loro correlati e coesi: 1) creazione di un videogioco, con quiz a risposta multipla e giochi, da proporre al personale sanitario e socio-assistenziale, per verificare le conoscenze nell’ambito dell’igiene e fornire contemporaneamente conoscenze e approfondimenti in tema di igiene; 2) sviluppo e diffusione di un questionario per il monitoraggio delle conoscenze del personale sulla prevenzione delle infezioni e l’analisi delle necessità formative in ambito igienico-sanitario; 3) stesura di un manuale per l’igiene personale e ambientale ad uso di tutto il personale e degli utenti che accedono ai luoghi di assistenza. Risultati. Qui presentiamo il manuale che è stato elaborato da un gruppo di lavoro coordinato dall’Università Politecnica delle Marche e tradotto nelle lingue dei Paesi dai quali provengono i partners. Il manuale, destinato agli operatori dei luoghi di cura e assistenza europei, ha una valenza internazionale ed è fondato sulle raccomandazioni dei principali organismi di salute pubblica internazionali. Il manuale si struttura in quattro sezioni. Nella prima parte viene illustrata la catena contagionistica, con i suoi elementi che, in correlazione tra loro, portano all’infezione dell’ospite suscettibile. La seconda parte descrive le strategie e le misure utili per interromperla in corrispondenza dei diversi anelli, insieme alle indicazioni per la corretta attuazione delle misure di prevenzione e controllo della trasmissione delle infezioni. La terza sezione presenta una sintesi delle raccomandazioni più aggiornate dei Centers for Disease Control and Prevention (CDC), raggruppate per area di applicazione. La quarta sezione infine presenta alcuni spunti di gestione del rischio infettivo nei diversi contesti sanitari. Il manuale è arricchito da indicazioni specifiche per il controllo della diffusione di SARS-CoV2, aggiornate secondo le più recenti raccomandazioni internazionali. Discussione e Conclusioni. La diffusione dei microrganismi può essere controllata attraverso l’adozione di comportamenti e di misure preventive, che devono essere armonizzate a livello europeo. La formazione continua degli operatori sanitari è indispensabile. Il progetto HYGEIA giocherà un ruolo importante per il miglioramento della consapevolezza e delle conoscenze degli operatori sanitari e non sanitari e anche per coloro che non hanno una formazione specifica sanitaria nei Paesi coinvolti.


P34.

Il controllo delle superfici in sala operatoria:
nove anni di esperienza

G.M. Deriu 3, A. Arghittu 1, S. Soddu 2, M.D. Masia 1,
A. Palmieri
1, P. Castiglia 1

1Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Farmacia, Università degli Studi di Sassari; 2Direzione Medica di Presidio, Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari; 3SC Direzione Igiene e Controllo Infezioni Ospedaliere, Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari

Introduzione. Evidenze scientifiche, emerse soprattutto dalla fine degli anni ‘90, hanno rafforzato il concetto che l’ambiente possa avere un ruolo non trascurabile nelle infezioni correlate all’assistenza (ICA). In particolare, in sala operatoria i microrganismi aerodispersi possono condizionare il rischio di infezione del sito chirurgico depositandosi sulla ferita direttamente o attraverso superfici contaminate. Il monitoraggio microbiologico delle superfici, complementare a quello dell’aria, rappresenta inoltre un ottimo strumento di valutazione dell’efficacia/efficienza delle procedure di sanificazione fondamentali nella prevenzione del rischio infettivo. Scopo del lavoro è la caratterizzazione microbica quali/quantitativa delle superfici critiche di alcune sale operatorie dell’AOU Sassari nel lungo periodo (2011-2019) come misura indiretta della qualità ambientale. Metodi. Sono state monitorati in 9 anni: lettino operatorio, carrello e monitor anestesia, tavolino portaferri, lampada scialitica, pavimento e parete. Il campionamento è stato effettuato a sala vuota, prima dell’attività con piastre RODAC (24 cm2) di Plate Count Agar e Sabouraud Dextrose Agar + neutralizzante per inibire l’attività residua del disinfettante utilizzato sulle superfici stesse. I risultati sono stati interpretati secondo Linee Guida sugli standard di sicurezza e di igiene del lavoro nel reparto operatorio - ISPESL che prevedono: assenza di Staphylococcus aureus, Pseudomonas spp, Aspergillus spp e una carica di ≤ 5 UFC/piastra (valori conformi) e >5-≤ 15 UFC/piastra (valori accettabili). Risultati. In totale sono stati eseguiti 863 controlli in 17 diverse sale operatorie; di questi il 70,1% ha dato esito positivo. In particolare, microrganismi sono stati isolati nel 71,3% dei controlli eseguiti sugli apparecchi di anestesia, nel 72,4% di quelli sui carrelli di anestesia, nel 59,2% di quelli sui lettini operatori, nel 49,6% di quelli sulle pareti, nel 96% di quelli sui pavimenti, nell’84% di quelli sulle scialitiche e nel 61,6% di quelli sui tavolini portaferri.  La densità microbica è risultata compresa tra 1 e >50 UFC/piastra. Considerati i valori di riferimento dell’ISPESL, l’84,7% dei controlli positivi rientra nei limiti indicati (62,1% dei controlli ≤5 UFC/piastra; 22,6% ≤15 UFC/piastra; 15,1% ≥ 15 UFC/piastra). Le superfici più critiche sono risultate: pavimenti (36% dei controlli) e scialitiche (16%). S.aureus, Pseudomonas spp, Enterobacteriaceae e Aspergillus spp sono risultati presenti, singolarmente o in associazione, nel 16,9% dei controlli positivi; in particolare, S. aureus era presente nel 2,6% (18,8% dei quali MRSA), Pseudomonas spp nell’8%, Enterobacteriaceae nel 4,9% e Aspergillus spp nel 2,6% (di cui A.nidulans 25%, A.fumigatus 12,5%). Sulla base dei criteri quantitativi/ qualitativi (ISPESL), il 18,9% dei controlli sono risultati non conformi: nel 6,9% solo per l’aspetto quantitativo e nel 8,2% solo quello qualitativo, quali/quantitativo nel 3,7%. Per ciascun anno considerato, la maggiore percentuale di controlli fuori norma si è registrata nel 2012 (33,3%), a fronte di un esiguo numero di controlli effettuati, e nel 2015 (28,6%). Discussione e Conclusioni. Il controllo ha evidenziato una bassa percentuale di superfici fuori norma (buon livello di sanificazione), per le quali il giudizio di non conformità era da attribuirsi prevalentemente alla componente qualitativa. Peraltro, il riscontro di pavimenti e scialitiche come superfici più critiche fa supporre che ciò possa essere determinato dal fatto che, talora, l’attività di sanificazione non venga effettuata con la stessa attenzione tra le varie superfici presenti in uno stesso ambiente (maggiore attenzione a quelle più facili e più comode), come dimostrato dal fatto che la superficie posta più in alto, la scialitica, e quella situata più in basso, il pavimento, sono risultate le meno pulite. Si può anche supporre che la maggiore attenzione alle altre superfici possa essere stata determinata dalla diversa percezione del rischio infettivo ad esse associato.


P35.

Analisi retrospettiva di un cluster di casi di Pseudomonas aeruginosa in pazienti affetti da Covid-19 ricoverati
in Terapia Intensiva tra novembre 2020 e gennaio 2021

A. Parente 3, A. D’Amico 3, R. De Dona 3, N. Samprati 3,
A. Santagata
3, V. Viccione 3, C. Adesso 3, M.A. Di Palma 3,
A. Natale
3, F. Cannizzaro 3, M. Tamburro 1, R. Flocco 2,
M.L. Sammarco
1, G. Ripabelli 1

1Dipartimento di Medicina e di Scienze della Salute “V. Tiberio”, Università degli Studi del Molise; 2Ospedale “A. Cardarelli”, Azienda Sanitaria
Regionale del Molise;
3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina
Preventiva, Università degli Studi del Molise

Introduzione. Nel corso della pandemia da COVID-19 i reparti di Terapia Intensiva (TI) sono stati sottoposti a notevole pressione. In questo quadro di complessità clinica e gestionale è emersa una rinnovata attenzione per le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA). L’obiettivo di questo studio è stato descrivere un cluster di infezioni da Pseudomonas aeruginosa verificatosi in un reparto di TI tra pazienti critici affetti da COVID-19. Metodi. Lo studio è stato condotto presso l’Unità Operativa Complessa (UOC) di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale hub della regione Molise. I dati sono stati raccolti nell’ambito di una survey più ampia a livello locale finalizzata alla valutazione delle ICA in pazienti con COVID-19 ricoverati da marzo 2020 a maggio 2022 mediante analisi retrospettiva delle cartelle cliniche. I casi di ICA inclusi in questa analisi sono stati quelli con conferma microbiologica di isolamenti di Pseudomonas aeruginosa. Risultati. Nel periodo 09/11/2020 - 18/01/2021, sono stati diagnosticati 43 casi confermati di ICA in 20 pazienti; di questi, 18 (41,9%) erano sostenuti da P. aeruginosa, 9 (20,9%) da Enterococcus faecalis, 3 (7%) da Klebsiella pneumoniae, 3 (7%) da Aspergillus flavus, 2 (4,7%) da Acinetobacter baumannii, 2 (4,7%) da Staphylococcus aureus e 6 (14%) da altri microrganismi. Gli isolamenti di P. aeruginosa provenivano da 13 pazienti, con età media di 64,8+8,1 anni (range 49-76), dei quali 10 maschi (76,9%). Nessuno dei soggetti era vaccinato per COVID-19. Il 100% dei pazienti era tracheostomizzato, portatore di catetere vescicale e catetere venoso centrale (CVC). Gli isolamenti di P. aeruginosa sono stati ottenuti da broncoaspirato (n=5, 27,8%) e urinocoltura (n=3, 16,7%) e per 5 (27,8%) pazienti da entrambi i siti. Sul totale dei 13 pazienti con infezione da P. aeruginosa, 9 (69,2%) mostravano una contemporanea infezione da altri patogeni. Gli isolati di P. aeruginosa hanno presentato un fenotipo multiresistente (MDR) in 17 casi (94,4%) e ampiamente resistente (XDR) in un caso (5,6%). Gli isolati da broncoaspirato presentavano un resistotipo con ridotte differenze tra loro, mostrando resistenza ad un minimo di 4 fino a un massimo di 9 su un totale di 17 molecole testate. Le differenze hanno riguardato solo 2 isolati che hanno mostrato rispettivamente resistenza a ciprofloxacina, levofloxacina e cefepime e a ciprofloxacina, levofloxacina e imipenem. Per quanto riguarda gli isolati di P. aeruginosa da urinocoltura, essi hanno mostrato uno spettro di resistenze antimicrobiche più esteso, che andava da un minimo di 8 a un massimo di 14 su un totale di 17 molecole testate. Il 100% degli isolati mostrava resistenza combinata ad ampicillina, amoxicillina/acido clavulanico, cefotaxime, cefuroxime, ertapenem, nitrofurantoina, tigeciclina e trimetoprim. Discussione e Conclusioni. In questa indagine il numero di casi di infezioni da P. aeruginosa in un limitato periodo di tempo è risultato piuttosto alto. Come riportato in alcuni studi, le infezioni sostenute da questo microrganismo appaiono meno frequenti rispetto ad altre ICA nei pazienti affetti da COVID-19 ricoverati in TI. Gli isolati di P. aeruginosa hanno mostrato un profilo di resistenza antimicrobica suggestivo di clonalità, sebbene solo un’analisi di genotipizzazione potrà confermare l’ipotesi. L’ambiente ospedaliero può favorire l’infezione da P. aeruginosa che, quando si verifica, comporta un rilevante impatto clinico e una complessa gestione dei casi. I cluster e le epidemie restano un evento importante da considerare poiché l’individuazione delle fonti e delle vie di trasmissione può essere difficile. Per questi motivi, lo studio delle caratteristiche ambientali ricopre un ruolo importante. È plausibile che COVID-19 abbia impattato e rallentato l’individuazione e la gestione di cluster sostenuti da microrganismi caratterizzati da una importante componente ambientale, per cui sarebbe utile implementare bundle e procedure adeguandole all’attuale situazione pandemica.


P36.

Una epidemia di Enterococcus faecium 
vancomicino-resistente

A. Pan, F. Bianchi, L. Cimardi, C. Colangelo, P. Contini, L. Ferrari, M. Lupi, G. Maghini, M. Milesi, S. Missorini, F. Pezzetti, S. Testa, A. Zoncada

ASST di Cremona

Introduzione. Enterococcus faecium vancomina-resistente (VREf) rappresenta uno dei più importanti patogeni emergenti nel nostro Paese, con una percentuale di resistenza in Italia passata dal 3,9% nel 2010 al 23,6 nel 2020. Epidemie nosocomiali causate da VRE sono probabilmente comuni, anche se i dati disponibili sono limitati. Ad oggi non esistono linee guida nazionali specifiche per la prevenzione e il controllo delle infezioni da VREf. All’interno di un programma controllo dei germi multiresistenti, nel nostro ospedale è attivo da tempo un programma di screening tramite tampone rettale per VREf nei reparti ad alto rischio (terapie intensive, ematologia). Presentiamo i dati relativi all’intervento di prevenzione e controllo dell’epidemia (IPCE) di VREf identificata presso l’ospedale di Cremona nell’aprile 2022 e ancora in corso. Materiali e metodi. Il protocollo di IPCE per VREf viene attivato in caso di identificazione di una sepsi da VREf e prevede lo screening tramite tampone rettale (TR) di tutti i pazienti degenti al momento dell’identificazione del paziente indice e lo screening con TR periodico di tutti i pazienti ricoverati nei reparti epidemici al ricovero, settimanalmente e alla dimissione. I pazienti positivi vengono posti in isolamento con precauzioni da contatto. Il programma prevede la valutazione dell’origine della sepsi (comunitaria o nosocomiale). Per monitorare l’andamento dell’epidemia sono state calcolate su base settimanale l’incidenza di nuovi casi di colonizzazione sul totale dei pazienti sottoposti a screening e la prevalenza. Risultati. Dal 25/4 al 4/7/2022 presso l’ospedale di Cremona sono state identificate 7 sepsi da VREf in 5 reparti: due in medicina, due in nefrologia e uno in neurologia, chirurgia vascolare e terapia intensiva. Le sepsi si sono verificate: 1 in aprile, 3 in maggio e 3 in giugno. Tre pazienti (43%) sono deceduti. Le sepsi sono state classificate come di origine nosocomiale in 6 casi e comunitaria in un caso. Gli interventi di ICPE sono stati attivati in tempi diversi, in base all’identificazione delle sepsi. Sono stati eseguiti 665 tamponi di screening in 453 pazienti, con 28 soggetti positivi (6%). Il maggior numero di casi, incluse le sepsi, è stato identificato in medicina (22/287; 7,7%) e in nefrologia (7/59; 11,9%). In terapia intensiva si sono identificati 2 casi su 72 pazienti (2,8%).  L’incidenza settimanale globale è progressivamente diminuita dal 17,8% di fine aprile a 0 nell’ultima settimana di giugno. Un aumento dell’incidenza è stato osservato in occasione dello screening eseguito al momento dell’identificazione di nuovi casi di sepsi in nefrologia (11,3%). La prevalenza generale dell’ospedale passata dal 26,5% a inizio epidemia al 2,4% all’inizio di luglio. Conclusioni. Presso l’ospedale di Cremona è in corso una epidemia di VREf caratterizzata da 7 sepsi, e che ha coinvolto altri 28 pazienti. L’IPCE ha permesso di ridurre progressivamente il numero di nuovi casi colonizzati da VREf mentre il numero di sepsi è rimasto stabile nel tempo. VREf rappresenta un patogeno emergente e, anche se non esistono solide evidenze scientifiche rispetto alle strategie da mettere in campo per controllare un’epidemia, riteniamo che un intervento aggressivo possa permettere di controllare la diffusione di questo patogeno. L’esperienza di Paesi che hanno affrontato situazioni epidemiche in modo rigoroso (Svizzera e Francia) dimostra che questo approccio può permettere di contenere efficacemente la trasmissione di VREf su larga scala. Riteniamo che sia necessaria la formazione di un gruppo di lavoro nazionale, possibilmente su proposta della nostra società, che proponga raccomandazioni nazionali per il controllo della diffusione nosocomiale di VREf.


P37.

Strategie per la gestione dell’antibiotico
Ceftazidime-Avibactam all’interno dell’AOUS:
il ruolo trasversale del farmacista

L. Sauro1, A. Michielon1, M. Tumbarello2,3, F. Montagnani2,
MT. Bianco
4

1Università di Siena, Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera;
2Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese , UOC Malattie Infettive
e Tropicali;
3Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Biotecnologie Mediche; 4Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, UOC Farmacia, Siena

Introduzione. L’esteso uso degli antibiotici ha portato negli ultimi anni all’incremento della Multi-Drug-Resistance (MDR) che rappresenta una delle più grandi sfide della medicina moderna, in quanto nuove e sempre più ampie resistenze limitano di molto le possibilità di cura. Il Ceftazidime-Avibactam si inserisce in questo contesto per il trattamento di infezioni complicate intra-addominali (cIAI) e del tratto urinario (cUTI), della polmonite acquisita in ospedale (HAP), inclusa quella associata a ventilazione meccanica (VAP) e per il trattamento di infezioni causate da microrganismi Gram negativi aerobi in pazienti adulti e pediatrici con età superiore a 3 mesi per i quali vi siano opzioni terapeutiche limitate. Il monitoraggio dell’appropriatezza prescrittiva per tale farmaco, così come per altri antibiotici, è una misura per limitare l’insorgenza di nuove resistenze che metterebbero in seria difficoltà i sistemi sanitari di molti Paesi. Materiali e metodi. L’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese (AOUS) ha intrapreso azioni volte al monitoraggio delle singole prescrizioni, con particolare attenzione ai dati relativi all’indicazione, alla posologia, alla durata teorica ed effettiva della terapia e all’uso empirico o mirato della stessa. A tal fine sono stati analizzati, per ogni singolo paziente, i piani terapeutici AIFA, le richieste informatizzate sul gestionale aziendale, le consulenze infettivologiche allegate e le cartelle cliniche cartacee e/o informatizzate relative all’ultimo trimestre del 2021 e al primo trimestre del 2022. Risultati. Nel periodo considerato (IV trimestre 2021 – I trimestre 2022) 25 pazienti sono stati trattati con Ceftazidime-Avibactam, di questi pazienti 21 (84%) hanno ricevuto il dosaggio pieno da 2,5g ogni 8 ore mentre 4 (16%) hanno ricevuto un dosaggio ridotto, per aggiustamento posologico su funzionalità renale. La maggior parte delle prescrizioni di Ceftazidime-Avibactam (15 su 25; 48%) è stata effettuata per infezioni causate da microrganismi Gram negativi aerobi in pazienti adulti con opzioni terapeutiche limitate, con eziologia documentata o sospetta da batteri Gram negativi, resistente ai trattamenti di prima linea. Solo 2 pazienti (8%) avevano come indicazione una cUTI da Gram negativi così come 2 pazienti (8%) una cIAI da Gram negativi. La polmonite, sia HAP che VAP, è stata l’indicazione per 6 pazienti (24%). Da sottolineare che 3 pazienti (12%) hanno avuto più di un’indicazione nel PT AIFA. Di tutte le terapie del periodo in esame, 10 (40%) sono state mirate al momento della prescrizione, mentre le restanti sono state empiriche. Tra queste ultime 9 su 15 (60%) sono state oggetto di una rivalutazione a circa 72 ore, che ha confermato la scelta iniziale per confermata eziologia da MDR o per mancata eziologia in paziente con fattori di rischio/colonizzazione nota da MDR. Conclusioni. La puntuale registrazione delle prescrizioni pervenute alla Farmacia Ospedaliera ha permesso di raccogliere preziose informazioni riguardo l’appropriatezza prescrittiva del farmaco; i dati raccolti ed organizzati hanno permesso la creazione di un database con lo scopo di monitorare l’utilizzo di Ceftazidime-Avibactam: tale lavoro consentirà di eseguire preziose estrazioni di dati e di produrre utile reportistica da fornire poi al Comitato Infezioni Ospedaliere (CIO) e alla Rete regionale di supporto all’uso corretto degli antibiotici, per la prevenzione ed il controllo delle infezioni, diagnostica microbiologica (Rete AID) al fine di condividere azioni di miglioramento nella gestione degli antinfettivi. Il metodo di lavoro così organizzato sarà fruibile anche per molecole di altre classi di antibiotici ad uso ospedaliero, con l’obiettivo di contribuire a potenziare le azioni di Antimicrobial Stewardship aziendali.


P38.

Ruolo della Farmacia dell’AOUS nella gestione
di un antibiotico innovativo: il caso del Cefiderocol

A. Michielon1, L. Sauro1, M. Tumbarello 2,3, F. Montagnani 2,3,
MT. Bianco
4

1Università di Siena, Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera; 2Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese , UOC Malattie Infettive e
Tropicali;
3Università degli Studi di Siena, Dipartimento di Biotecnologie Mediche; 4Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese, UOC Farmacia; Siena

Introduzione. Cefiderocol è una cefalosporina siderofora di ultima generazione che rappresenta una innovazione dal punto di vista della ricerca, in quanto la molecola è stata studiata in relazione al patogeno resistente e non al sito d’infezione. Cefiderocol è utilizzato per il trattamento di infezioni sostenute da batteri aerobi Gram negativi in pazienti adulti con limitate opzioni terapeutiche. L’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) ne ha riconosciuto l’innovatività condizionata e ha elaborato un piano terapeutico per limitarne l’impiego a pazienti infettati da organismi multi-resistenti con documentata resistenza ai carbapenemi o con infezioni invasive ad etiologia sospetta da Gram negativi resistenti ai carbapenemi. In ragione della disponibilità di questa nuova opzione terapeutica sono fondamentali interventi atti a garantirne un corretto utilizzo. Metodi. Al fine di tracciare l’utilizzo di tale antibiotico, la Farmacia Ospedaliera dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Senese (AOUS) ha elaborato un metodo di lavoro che prevede la registrazione su supporto informatico di tutte le informazioni contenute nel Piano AIFA trasmesso via fax alla farmacia in modo da avere l’immediata disponibilità di tutti i dati utili alla creazione di report. La Farmacia verifica con il clinico l’effettiva durata della terapia, l’eventuale necessità di rinnovo del piano e supporta per eventuali segnalazioni di farmacovigilanza. Per verificare caratteristiche e appropriatezza d’uso del Cefiderocol sono stati analizzati i piani terapeutici AIFA redatti dagli infettivologi e le cartelle cliniche cartacee e/o informatizzate relative all’ultimo trimestre del 2021 e al primo trimestre 2022. Risultati. Nel periodo considerato (IV trimestre 2021 – I trimestre 2022) 9 pazienti sono stati trattati con Cefiderocol. La stragrande maggioranza delle confezioni di  Cefiderocol  (8 su 9; 89%) è stata prescritta per infezioni gravi causate da batteri Gram negativi con resistenza ai carbapenemi documentata dall’antibiogramma in assenza di altre opzioni terapeutiche. Solo 1 paziente (11%) ha avuto bisogno, da PT AIFA, del Cefiderocol per una infezione grave con resistenza ai carbapenemi fortemente sospetta in caso di almeno una delle seguenti condizioni: fallimento di una precedente terapia con carbapenemi o documentata colonizzazione da Gram negativi con resistenza ai carbapenemi. Quasi tutte le terapie del periodo in esame, 8 su 9 (89%), sono state mirate e solo una empirica. La terapia empirica è stata comunque oggetto di rivalutazione che ha confermato la terapia iniziata. L’età media dei pazienti trattati è stata 51,9 anni (range 20-79); in accordo con le indicazioni da scheda tecnica tutti i trattati avevano più di 18 anni al momento della prima somministrazione. Conclusioni. Il metodo di lavoro impostato ha permesso di seguire in modo puntuale le prescrizioni di Cefiderocol dal momento della sua disponibilità in AOUS consentendo di creare una banca dati interna al fine di elaborare della reportistica da condividere con i prescrittori. Questi dati saranno utilizzati per ottimizzare l’utilizzo di antibiotici ad ampio spettro promuovendo, eventualmente, la de-escalation. In caso di piani terapeutici parzialmente compilati o non correttamente redatti, la UOC Farmacia si è fatta carico di contattare lo specialista infettivologo per le opportune integrazioni. Tale metodo di lavoro sarà proposto in sede di Comitato Infezioni Ospedaliere (CIO) quale sistema di monitoraggio da estendere a diversi antinfettivi ad uso sistemico, al fine di incrementare le azioni di Antimicrobial Stewardship messe in atto in AOUS.




Antibiotici e resistenza

P39.

Programmi di stewardship antimicrobica nella Regione Piemonte: indicatori di struttura, processo e outcomes, 2017-2019

C. Vicentini 1, V. Blengini 1, G. Libero 1, R. Raso 2, C.M. Zotti 1

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università degli Studi di Torino; 2Servizio di Epidemiologia Regionale per le
Malattie Infettive (SeREMI), ASL AL, Alessandria

Introduzione. L’incremento dell’antimicrobico resistenza (AMR) rappresenta una grave minaccia per la salute dei pazienti e l’erogazione dei servizi sanitari. I programmi di antimicrobico-stewardship (AMS) hanno dimostrato di essere strategie efficaci e costo-efficaci per l’ottimizzazione dell’utilizzo degli antibiotici. Gli obiettivi di questo studio erano quelli di: 1) stabilire un sistema di valutazione standardizzato per i programmi di AMS, identificando indicatori di struttura e processo, e 2) di valutare le caratteristiche dei programmi di AMS implementati negli ospedali per acuti della Regione Piemonte, indagando cambiamenti nei consumi di antibiotici rispetto a un punteggio attribuito agli elementi strutturali e funzionali degli stessi. Metodi. I programmi di AMS operanti negli ospedali Piemontesi sono stati investigati tramite la valutazione delle relazioni fornite dalle single Strutture rispetto agli indicatori Regionali per la Sorveglianza e il Controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) e dell’AMR, fornite annualmente da tutte le Strutture pubbliche della Regione. Alle caratteristiche dei programmi di AMS è stato attribuito un punteggio rispetto ad una serie di indicatori di struttura e di processo, definiti sulla base di elementi “core” identificati da linee guida internazionali e condivisi con un panel multi-disciplinare parte del Gruppo di Lavoro Regionale sulle ICA. Per valutare l’efficacia dei programmi, sono stati raccolti dati sul consumo di antibiotici per ogni Struttura, espresso in DDD (Defined Daily Doses) per 1.000 giorni-paziente. Per indagare trends nei consumi, sono stati considerati i consumi medi annuali degli anni 2017-2019 e il cambiamento percentuale tra 2017 e 2019 per ogni Struttura. I dati sui consumi sono stati messi in relazione ai punteggi ottenuti rispetto agli indicatori di struttura e processo utilizzando la correlazione di Spearman. Le analisi sono state condotte utilizzando SPSS v. 27.0 (SPSS Inc., Armonk, NY). Risultati. È stato sviluppato un sistema di valutazione per i programmi di AMS, costituito da 5 indicatori di struttura e 6 di processo, con un punteggio massimo di 10 punti ciascuno. Sono stati inclusi 25 programmi di AMS nell’analisi. Punteggi più alti sono stati ottenuti per gli indicatori di struttura rispetto agli indicatori di processo. In generale, è stato riscontrato un miglioramento nel consumo di antibiotici tra 2017 e 2019 (-4%). Una correlazione moderata è stata identificata tra punteggio ottenuto per gli indicatori di struttura e cambiamento percentuale nel consumo di antibiotici (rho di Spearman -0.603, p 0.006). Discussione e Conclusioni. I risultati di questo studio supportano l’efficacia dei programmi di AMS nel ridurre il consumo di antibiotici. Inoltre, questo studio ha permesso di identificare aspetti dei programmi di AMS passibili di miglioramento, quali la necessità di individuare formalmente un responsabile medico esperto in antimicrobico terapia, referente per il buon uso di antibiotici, la promozione di buone pratiche nell’accertamento microbiologico e la restituzione dei dati ai clinici. In particolare, dovrebbero essere concentrati gli sforzi sul migliorare gli elementi strutturali dei programmi, vista la correlazione significativa con la riduzione del consumo di antibiotici identificata. Il monitoraggio ripetuto nel tempo degli indicatori di struttura, processo e degli outcomes sarà fondamentale per guidare le azioni di miglioramento della qualità delle cure intraprese.


P40.

Impatto di un bundle di stewardship antibiotica
sul consumo dei fluorochinoloni presso un Policlinico Universitario

R. Olivieri 1, P. Vannini 1, A. Corzani 8, M.T. Bianco 4, F. Franchi 2, M.G. Cusi 6, S. Scolletta 3, F. Arena 7, R. Gusinu 1, M. Tumbarello 5

1Azienda ospedaliero universitaria Senese, Direzione Sanitaria, Siena;
2Azienda ospedaliero universitaria Senese, UOC Anestesia e Rianimazione
cardio-toraco-vascolare, Siena;
3Azienda ospedaliero universitaria Senese, UOC Anestesia e Rianimazione DEA e dei Trapianti, Siena; 4Azienda ospedaliero
universitaria Senese, UOC Farmacia Ospedaliera, Siena;
5Azienda ospedaliero universitaria Senese, UOC Malattie Infettive e Tropicali, Siena; 6Azienda
ospedaliero universitaria Senese, UOC Microbiologia e Virologia, Siena;
7Dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale, Università di Foggia;
IRCCS Don Carlo Gnocchi ONLUS, Firenze;
8Università degli Studi di Siena, Scuola di Specializzazione in Farmacia Ospedaliera

Introduzione. Il Piano Nazionale di contrasto dell’antibiotico resistenza (PNCAR) 2017-2020, prorogato al 2021 a causa della pandemia da COVID-19, prevede la riduzione >5% del consumo ospedaliero di antibiotici sistemici e la riduzione >10% del consumo dei fluorochinoloni (FQs) nel periodo indicato. In Italia il consumo dei FQs si è progressivamente ridotto a seguito delle restrizioni all’uso stabilite da EMA nel 2018 e successivamente da AIFA, tuttavia, nel 2020, essi rimangono la quarta classe di antibiotici maggiormente consumata in ambito ospedaliero. Metodi. A novembre 2019, presso il Policlinico Universitario Santa Maria alle Scotte di Siena, è stato istituito un team multidisciplinare per un approccio integrato alle infezioni correlate all’assistenza (ICA) secondo quanto previsto dalle linee di indirizzo regionali, denominato Team AID (Antimicrobial stewardship, Infection prevention, Diagnostic stewardship). A partire da gennaio 2021, è stato implementato un programma di antimicrobial stewardship (AS) mirato alla riduzione del consumo dei FQs composto da più interventi: i) attivazione di un sistema di monitoraggio del consumo degli antibiotici ad uso sistemico, con report a cadenza semestrale [espresso in Defined Daily Dose (DDD)/100 giornate di degenza (DDD/100 gd)];  ii) inserimento del raggiungimento di almeno il 75% delle prescrizioni antibiotiche motivate in cartella come obiettivo di budget 2021. A tal fine, è stato implementato un sistema di blocco informatico alla prescrizione antibiotica vincolato alla indicazione della motivazione attraverso un format elettronico dedicato; iii) training con feed-back dei dati di consumo agli operatori, audit ed interviste ai direttori delle UO con i consumi più critici. Le analisi statistiche sono state condotte con il Mann-Whitney U test e un modello di regressione lineare multipla. Risultati. Il consumo globale degli antibiotici è passato da 84 DDD/100 gd nel 2020 a 79.1 DDD/100 gd nel 2021, con un decremento del 5.8% (p=0,04). Gli antibiotici maggiormente prescritti nel 2021 sono stati i beta-lattamici, penicilline (J01C) con un lieve incremento rispetto al 2020. Un trend in decremento è stato osservato per cefalosporine di 3° e 4° generazione, macrolidi-lincosamidi e per i FQs. In particolare, il consumo cumulativo dei FQs si è ridotto del 41.5%, passando da 6.3 nel 2020 a 3.7 DDD/100 gd nel 2021 (p<0,001) e i decrementi più significativi si sono registrati in area COVID e medica, con una riduzione rispettivamente del 71.6% e del 40.1%. A distanza di 6 mesi dall’attivazione del blocco informatico alla prescrizione, è stata condotta un’analisi dei risultati che ha mostrato il raggiungimento dell’obiettivo stabilito in tutte le unità operative scelte come target. Discussione e Conclusioni. Nel nostro Policlinico, nel 2020, il consumo di FQs (6.3 DDD/100 gd) era già al di sotto di quello della media nazionale (9.9 DDD/100 gd) ma al di sopra di quello regionale per lo stesso anno (5.3 DDD/100 gd). Tenuto anche conto della raccomandazione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di inserire i FQs come target prioritari dei programmi di AS per l’elevato impatto ecologico in termini di antibiotico-resistenza, è stato implementato un pacchetto di interventi mirato che ci ha consentito il raggiungimento in breve tempo degli obiettivi nazionali e regionali con una riduzione dei consumi di FQs di oltre il 40% nel 2021 rispetto al 2020. Inoltre, questo decremento non è stato bilanciato da un incremento dell’uso di altre classi di antibiotici con una riduzione anche del consumo globale del 5.8%, al di sopra del target previsto dal PNCAR.


P41. RITIRATO DAGLI AUTORI


P42.

Prodotti naturali, materiali antibatterici
e microrganismi competitori: quale ruolo
nella prevenzione e controllo di patogeni MDRO
a vita libera o organizzati in biofilm?

P. Messi 1, C. Sabia 1, C. Condò 1, R. Iseppi 1

1Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Modena
e Reggio Emilia

Introduzione. La pressione antibiotica e il maggiore utilizzo di presidi sanitari di materiale plastico, favorevoli alla crescita di alcuni microrganismi (in forma planktonica o organizzati in biofilm), hanno modificato l’ecologia batterica anche in ambiente nosocomiale, favorendo l’emergenza e rapida disseminazione di microrganismi MDRO, uno dei fenomeni più preoccupanti dell’epidemiologia delle infezioni batteriche a livello mondiale. In aggiunta alle buone pratiche di igiene degli operatori, un valido strumento di prevenzione potrebbe essere rappresentato dall’utilizzo di sostanze antimicrobiche naturali di origine vegetale come gli oli essenziali, anche inseriti in materiali antibatterici, e di microrganismi competitivi. Metodi. i) Oli essenziali (EOs). L’efficacia antibatterica degli EOs di Citrus aurantium (AEO), Citrus x limon (LEO), Eucalyptus globulus (EEO), Melaleuca alternifolia - Tea Tree Oil (TTO) e Cupressus sempervirens (CEO) da soli, in associazione tra loro (agar diffusione e MIC- concentrazione minima inibente) o in combinazione con gli antibiotici di riferimento (Checkerboard Assay e FICI- Fractional Inhibitory Complex Index) è stata valutata nei confronti di tre rappresentanti di agenti patogeni MDRO: enterococchi resistenti alla vancomicina (VRE), Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) ed Escherichia coli produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) e dei rispettivi biofilm.  ii) Materiali antibatterici. L’olio essenziale Tea Tree Oil, è stato inserito in un film adesivo e utilizzato per rivestire la tastiera di una unità di terapia intensiva (ICU) per valutarne la capacità antibatterica. Per lo studio sono state contaminate con gli stessi MDRO e rispettivi ceppi classificati ATCC - American Type Colture Collection (Microbial Challenge Test) 3 tipologie di tastiere: standard (SK), keyless con superficie liscia (KK) e standard rivestita con una pellicola Tegaderm® 3 M addizionata con Tea Tree Oil (KTEO) e valutate nel tempo le cariche batteriche residue (Contact Plate method).  iii) Interferenza microbica. Data l’importanza di Legionella pneumophila come agente di polmoniti batteriche a livello nosocomiale è stato condotto uno studio (per 42 giorni in un microcosmo di acqua artificiale mantenuta a 4 °C e 30 °C) sulla capacità di batteri appartenenti al genere Pseudomonas (P. fluorescens SSD-Ps-D e P. putida SSC -Ps-C), di supportare o inibire la persistenza di un ceppo di isolamento clinico di L. pneumophila sierogruppo 1 (Lp-1). Risultati. i) I risultati delle associazioni EO–EO e delle combinazioni EO–antibiotico hanno mostrato chiaramente un effetto sinergico nella maggior parte dei test, con una riduzione significativa della concentrazione dell’antibiotico che risulta efficace a valori di breakpoint molto più bassi rispetto a quelli definiti per ogni singola specie, anche all’interno di biofilm. TTO, da solo e in associazione con altri EO e antibiotici, ha mostrato la migliore attività battericida nei confronti di tutti i patogeni MDRO. ii) Il Challenge Test effettuato su KTEO ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa della carica microbica per tutti i patogeni sia a 24 che a 48 h (p = 0,003* e p ¼ 0,040*, rispettivamente).  iii) I batteri ad habitat idrico hanno influenzato in modo significativo la sopravvivenza della Legionella. Nelle co-colture eseguite a 30 ° C Ps-C e Ps-D hanno influito negativamente sulla carica vitale di Lp-1, determinandone una marcata diminuzione, seguita da un graduale e costante declino. Discussione e Conclusioni. La combinazione di EO e antibiotici rappresenta una promettente strategia terapeutica nei confronti dei patogeni MDRO, anche protetti all’interno di biofilm, in grado di consentire la diminuzione delle concentrazioni di antibiotici utilizzati, nonché il ripristino della sensibilità agli stessi. La potenzialità antibatterica di oli essenziali come il TTO viene mantenuta anche all’interno di materiali antimicrobici utilizzabili nel controllo dei patogeni a livello di superfici. Infine, un’importante strategia in grado di ridurre la trasmissione di agenti patogeni in ambito sanitario può essere individuata nella competizione microbica, forse tra le poche armi in grado di contrastare lo sviluppo dei patogeni anche quando protetti all’interno del biofilm.


P43.

Antibiotico-resistenze nei laboratori di Microbiologia del Veneto 2018-2020

S. Bellio 2, N. Gennaro 2, F. Avossa 2, C. Scarparo 1, U. Fedeli 2,
M. Saia 2

1Regione Veneto - Azienda ULSS 3; 2Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. A livello nazionale i dati relativi all’antibiotico resistenza e alla multi-resistenza delle specie batteriche sono estremamente elevati e, come ribadito nel Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR), rappresentano a tutti gli effetti un importante problema di sanità pubblica. Il Veneto ha aderito al sistema di sorveglianza nazionale per l’antibiotico-resistenza (AR-ISS), con la partecipazione di tutti i laboratori di Microbiologia degli ospedali pubblici, conferendo annualmente i dati di sensibilità agli antibiotici per determinati patogeni isolati da campioni di sangue e liquor. Metodi. Per dimensionare il fenomeno dell’antimicrobicoresistenza in ambito regionale è stata condotta un’analisi sui dati forniti dalle unità di Microbiologia del Veneto relativamente al triennio 2018-2020, operando un confronto con il dato nazionale dell’ultimo anno contenuto nel rapporto “AR-ISS: sorveglianza nazionale dell’Antibiotico-Resistenza. Dati 2020”, verificando la significatività statistica avvalendosi del test Z per il confronto di due proporzioni. Risultati. Nel triennio considerato sono state registrate 23.704 emocolture e liquorcolture positive con l’isolamento di Escherichia coli (37,4%), Staphylococcus aureus (19,8%), Klebsiella pneumoniae (13,2%), Enterococcus faecalis (10,7%), Pseudomonas aeruginosa (7,5%), Enterococcus faecium (7%), Streptococcus pneumoniae (2,2%) e Acinetobacter species (2,1%). Le percentuali di resistenza di E. coli alle cefalosporine di 3^ generazione sono risultate pari al 21,1%, 25,5% e 28,4% rispettivamente per ceftazidime, cefotaxime e ceftriaxone, senza sostanziali scostamenti nel triennio e significative differenze rispetto al dato nazionale. Costante nel periodo e simile al dato nazionale anche la resistenza di S. aureus alla cefoxitina (32,8%) mentre è risultata significativamente più contenuta la resistenza ai glicopeptidi specie per la teicoplanina (1,2% Vs. 2,7%). Gli enterococchi (faecalis e faecium) presentano elevati livelli di resistenza nei confronti degli aminoglicosidi, e malgrado il trend in calo nel triennio, nel 2020 le resistenze si sono attestate ad oltre il 30% per l’E. faecalis e al di sopra del 50% per l’E. faecium; molto diverse tra le due specie le percentuali di resistenza alla vancomicina, pari a 0,9% per E. faecalis e a 15,1% per E. faecium. Estrememente elevati sia in Italia (77-85,6%) che nel Veneto (67,9-77,1%) i livelli di resistenza di Acinetobacter spp. nei confronti di tutti i principali antibiotici. Più contenuta rispetto al dato nazionale, senza variazioni nel triennio, la resistenza degli isolati di K. pneumoniae all’imipenem (19,9%), meropenem (22,7%) ed ertapenem (25,4%), così come molto contenuta rispetto alla media italiana è risultata anche la resistenza dello pneumococco alla penicillina (1,1% Vs. 13,6%), e in modo minore all’eritromicina (17% Vs. 24,5%). Significativamente più basse rispetto alla media italiana infine le resistenze degli isolati di P. aeruginosa al ceftazidime (15,7%) e alla ciprofloxacina (13,3%) con un trend in calo nel triennio. Discussione e Conclusioni. I livelli di antibiotico-resistenza evidenziati nel Veneto, pur essendo inferiori rispetto alla media nazionale, sono comunque troppo elevati ed è pertanto imprescindibile implementare ulteriori misure correttive sull’utilizzo degli antibiotici oltre alla prosecuzione della sorveglianza e alla diffusione dei dati.


P44.

Sorveglianza epidemiologica dei patogeni del gruppo ESKAPE presso il Laboratorio di Microbiologia e Virologia dell’Ospedale SS. Antonio e Biagio
e C. Arrigo di Alessandria

C. Leli 1, D. Vay 1, L. Ferrara 1, V. Pizzo 1, V. Cavallo 1, A. Rocchetti 1

1SC di Microbiologia e Virologia, Ospedale SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria

Introduzione. In relazione alla crescente prevalenza di microrganismi multiresistenti in ambiente ospedaliero, in particolar modo: Enterococcus faecium, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa ed Enterobacter spp. (ESKAPE) la sorveglianza epidemiologica e la produzione di report periodici di prevalenza locale rappresentano strumenti essenziali per l’attuazione di strategie di controllo delle infezioni nosocomiali. Metodi. Da Dicembre 2021 il nostro Laboratorio ha implementato un nuovo software per la refertazione e l’analisi epidemiologica; abbiamo pertanto realizzato una analisi retrospettiva da Dicembre 2021 a Maggio 2022 della prevalenza degli isolati del gruppo ESKAPE e dei valori di concentrazione minima inibente (MIC) relativi ai principali farmaci previsti dalle linee guida dell’European Committee on Antimicrobial Susceptibility Testing (EUCAST). Sono stati inclusi sia pazienti ricoverati che ambulatoriali. Gli isolamenti sono stati inclusi una sola volta per ciascun paziente e fluido biologico, pertanto è stato calcolato il numero di nuove infezioni sulla base dei materiali, suddiviso in tre bimestri. Risultati. Enterococcus faecium: sono stati inclusi un totale di 187 isolati e considerando i materiali diversi da tamponi rettali [94/187 (50,3%) tutti resistenti], la resistenza a glicopeptidi è stata registrata in 37/93 (39,8%) isolati, con MIC >16 mg/L. Per quanto riguarda le emocolture nel bimestre Aprile - Maggio 2022 si è registrata una riduzione della incidenza di nuove infezioni rispetto al bimestre Dicembre 2021 - Gennaio 2022: 4/21 vs 10/21 (-28,6%).  Staphylococcus aureus: su un totale di 329 isolamenti, 119/329 (36,2%) sono risultati meticillino-resistenti mediante cefoxitin screening. In questo caso per le emocolture, si è rilevata una riduzione del numero di nuove infezioni nel terzo bimestre rispetto al secondo (6/19 vs 9/19; -4,6%).  Klebsiella pneumoniae: da 407 isolati totali sono stati identificati 71 (17,4%) ceppi resistenti a meropenem, con MIC >8 mg/L, mentre 167 (41%) isolati hanno mostrato valori di MIC di resistenza (comprese tra 8 e >32 mg/L) verso le tre principali cefalosporine cefotaxime, ceftazidime e cefepime. Verso ciprofloxacina la prevalenza di resistenza è stata di 178 isolati (43,7%), con MIC comprese tra 1 e >2 mg/L.  Acinetobacter baumannii: isolati 61 ceppi, dei quali 55 (90,2%) resistenti a meropenem, con valori di MIC >8 mg/L. Valutando il numero totale di nuove infezioni, nel terzo bimestre si è osservata una riduzione rispetto al primo (11/55 vs 22/55; -20%). Pseudomonas aeruginosa: da un totale di 322 isolamenti, 42 (13%) sono risultati resistenti a meropenem con MIC >8 mg/L (anche in questo caso con un trend negativo tra primo e terzo bimestre: 19/42 vs 12/42; -16,6%), mentre su 48 isolati testati per ceftazidime/avibactam e ceftolozane/tazobactam, 2/48 (4,2%) sono risultati resistenti ad entrambe le associazioni con MIC >8 mg/L e >16 mg/L, rispettivamente. Enterobacter spp.: su un totale di 171 isolati, 2 (1,2%) si sono mostrati resistenti a meropenem: MIC >8 mg/L, mentre 16 (9,4%) sono risultati resistenti a cefotaxime, ceftazidime e cefepime ed anche in questo caso si è registrata una riduzione di nuove infezioni tra primo e terzo bimestre: 8/16 vs 4/16; -25%. Per quanto riguarda i chinolonici, solo 13 (7,6%) hanno mostrato MIC di resistenza verso ciprofloxacina, comprese tra 1 e >2 mg/L. Discussione e Conclusioni. Il monitoraggio continuo della prevalenza e la comunicazione rapida ai Reparti delle resistenze rappresenta uno degli strumenti più importanti per il controllo della diffusione dei batteri multiresistenti.


P45.

Impatto dei programmi di stewardship antibiotica sull’antimicrobico resistenza nel triennio 2017-2019
in Piemonte

M. Martella 1, C. Vicentini 1, V. Blengini 1, G. Libero 1,
R. Raso
2, C.M. Zotti 1

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche, Università di Torino, Torino; 2Servizio di riferimento regionale di Epidemiologia per la
sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle malattie infettive (SeREMI), Azienda Sanitaria Locale ASL AL, Alessandria

Introduzione. L’implementazione dei programmi di stewardship antibiotica (AMS) rappresenta uno strumento fondamentale per ridurre la pressione selettiva sui microrganismi responsabili dell’aumento delle resistenze antimicrobiche, garantendo al contempo l’adozione di terapie dal rapporto costo-efficacia favorevole e migliorando l’outcome clinico dei pazienti. I programmi AMS multidisciplinari prevedono interventi di controllo prescrittivo (detti restrittivi) ed interventi formativi (detti persuasivi) finalizzati ad ottimizzare la compliance alle linee guida e le pratiche prescrittive, ottenendo così un impatto efficace nell’arginare il crescente fenomeno dell’antibiotico-resistenza (AMR). Metodi. Nell’ambito del programma regionale di sorveglianza delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) sono stati raccolti i dati relativi al triennio 2017-2019 riguardanti le attività esercitate nelle singole strutture. Per 19 strutture sono state quindi analizzate le caratteristiche dei programmi di AMS implementati e sono stati calcolati i tassi di AMR per MRSA-Methicillin-resistant Staphylococcus aureus e CRE- Carbapenem-resistant Enterobacteriaceae. È stata di seguito condotta un’analisi descrittiva delle strategie di AMS e dei tassi di AMR finalizzata alla valutazione di trend che attestassero potenziali miglioramenti delle resistenze nell’arco dei tre anni di sorveglianza. Risultati. Nel 2017, il 79% delle strutture (n.15) hanno adottato dei programmi combinati di AMS, sia restrittivi che persuasivi, n. 2 strutture (10.5%) hanno preferito una strategia esclusivamente restrittiva e solo n. 1 struttura (5%) ha attuato una strategia di AMS di tipo esclusivamente persuasivo. Nell’arco del triennio 2017-2019, n.12 strutture hanno confermato la strategia adottata inizialmente, mentre quella che aveva adottato la strategia persuasiva ha optato per una strategia combinata, sia di tipo persuasivo che restrittivo. Nel 2019, n.3 ospedali hanno abbandonato l’approccio restrittivo, mantenendo solo quello persuasivo, mentre solo una struttura, tra quelle che aveva scelto l’intervento restrittivo, ha deciso di adottare la strategia combinata. Considerando i trend di AMR, è stata osservata una riduzione dei tassi di MRSA in circa il 60% delle strutture (n.7) ed una riduzione dei tassi di CRE nel 75% delle aziende (n.9) che avevano applicato entrambi gli interventi di AMS. Un decremento dei tassi di AMR sia per MRSA che per CRE sono stati registrati in n.2 delle 3 strutture che avevano eliminato gli interventi restrittivi dai loro programmi, lasciando solo quelli persuasivi; ugualmente si è osservata una riduzione dei tassi di AMR nell’ospedale in cui era stata implementata una strategia combinata di AMS. L’unità che invece aveva scelto di applicare esclusivamente interventi restrittivi non ha registrato nessuna riduzione dei tassi di AMR, né per MRSA né per CRE. Discussione e Conclusioni. In Regione Piemonte sono implementate più frequentemente strategie multidisciplinari di AMS che comprendono sia interventi di tipo restrittivo che di tipo persuasivo. Questo approccio sembra garantire un controllo più efficace sullo sviluppo di microrganismi resistenti alle comuni terapie antimicrobiche. Sarebbe tuttavia opportuna una valutazione più approfondita nel lungo periodo per stimare in modo ottimale l’efficacia dei diversi interventi di AMS e l’impatto che essi hanno sulle resistenze antimicrobiche.


P46.

L’analisi genotipica dei meccanismi di antibiotico resistenza come strumento predittivo del profilo fenotipico in ceppi MDR

A. Del Rio 2, N. Muresu 1, I. Sechi 1, A. Cossu 1, M. Usai 2,
B.M. Are
1, A. Piana 1

1Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Farmacia, Università degli Studi di Sassari; 2Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi
di Sassari

Introduzione. L’antimicrobico resistenza (AMR) e le Infezioni Correlate all’Assistenza rappresentano un importante problema di Sanità Pubblica, con ripercussioni rilevanti sul piano epidemiologico ed economico. L’assenza di un valido approccio terapeutico per il trattamento delle infezioni da batteri multi-resistenti (MDR-B) determina un tasso di mortalità 2-3 volte maggiore rispetto alle infezioni da batteri sensibili ai farmaci antimicrobici, con un aggravio delle spese sanitarie, legato all’aumento dei giorni di degenza e ai trattamenti previsti. In questo contesto risultano fondamentali l’adozione di azioni di contenimento della diffusione dei MDR-B e di sistemi diagnostici rapidi per la loro identificazione, così come la ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci antimicrobici. Recentemente, sono stati immessi in commercio tre nuovi farmaci beta-lattamici in associazione con inibitori delle beta-lattamasi, per il trattamento delle infezioni da MDR-B: Ceftazidime/Avibactam (CZA), Meropenem/Vaborbactam (M/V) ed Imipenem/Relebactam (I/R). In un quadro epidemiologico così vasto, la valutazione dell’attività in vitro di tali farmaci è prioritaria, al fine di identificare la presenza di ceppi resistenti. Lo studio è stato condotto presso il Laboratorio di Epidemiologia Molecolare dell’UOC di Direzione Igiene e Controllo delle Infezioni Ospedaliere. Lo scopo è stato quello di valutare il profilo di sensibilità a CZA, M/V e I/R, sulla base dell’espressione dei più comuni geni responsabili della resistenza ai carbapenemi, in 109 ceppi di Klebsiella pneumoniae (Kp), isolati tra dicembre 2017 e gennaio 2022 nell’ambito dello Screening per le Enterobacteriaceae produttrici di carbapenemasi (CPE), presso l’Azienda Ospedaliero Universitaria di Sassari. Metodi. I ceppi selezionati sono stati precedentemente sottoposti a identificazione e test di suscettibilità agli antibiotici con VITEK® 2 System (bioMérieux, France). La produzione di carbapenemasi è stata determinata tramite RT-PCR usando il kit Allplex™ Entero-DR Assay (Seegene), che permette l’identificazione delle carbapenemasi KPC, OXA-48, VIM, IMP, NDM e di CTX-M; la MIC di CZA, M/V, I/R è stata misurata con ETEST® (bioMérieux, France). Le linee guida EUCAST sono state utilizzate per l’interpretazione della MIC. Risultati. Il 29.3% (32/109) dei ceppi mostravano l’espressione unicamente di KPC, il 28.4% (31/109) co-producevano KPC e CTX-M, il 31.1% (34/109) KPC e OXA-48, infine l’11% (12/109) erano ceppi non produttori di carbapenemasi. Il 56% dei ceppi di Kp analizzati sono stati isolati da campioni responsabili di malattia invasiva (35.7% da emocoltura e 20.1% da bronco aspirato), mentre il restante 44% dei ceppi sono stati isolati su tampone rettale. La resistenza a CZA è stata rilevata nel 17.4% dei ceppi (19/109), 17 dei quali co-esprimevano i geni KPC e OXA-48. Per quanto riguarda la resistenza a M/V, è stata identificata nel 22.9% dei ceppi (25/109), quasi interamente riconducibili ai ceppi KPC e OXA-48 (24/25). Infine, il 25.6% (28/109) sono risultati resistenti ad I/R, confermando la netta prevalenza dei ceppi co-produttori di KPC e OXA-48 (26/28). In particolare, 16/109 ceppi di Klebsiella pneumoniae sono risultati pan-resistenti, in quanto resistenti a tutti gli antibiotici testati; tale osservazione è totalmente riconducibile alla co-espressione dei geni KPC e OXA-48. Discussione e Conclusioni. I risultati ottenuti hanno evidenziato il marcato profilo di AMR dei ceppi produttori di KPC e OXA-48, anche nei confronti dei farmaci recentemente immessi in commercio. In particolare, il confronto tra il profilo genico di resistenza e il fenotipo osservato risulta pressoché sovrapponibile nei diversi ceppi analizzati. Questo aspetto rappresenta un valido ausilio alla pratica clinica in quanto fornisce un’indicazione rapida in merito al trattamento farmacologico da adottare nei casi di malattia invasiva. Ulteriori studi, tra cui l’analisi della sequenza genomica dei ceppi, saranno necessari per una più approfondita comprensione dei meccanismi di resistenza messi in atto dai microrganismi.


P47.

Prodotti naturali, materiali antibatterici e microrganismi competitori: quale ruolo nella prevenzione e controllo di patogeni MDRO a vita libera o organizzati in biofilm?

P. Messi, C. Sabia, C. Condò, R. Iseppi

Dipartimento di Scienze della Vita, Università di Modena
e Reggio Emilia, Modena

Introduzione. La pressione antibiotica e il maggiore utilizzo di presidi sanitari di materiale plastico, favorevoli alla crescita di alcuni microrganismi (in forma planctonica o organizzati in biofilm), hanno modificato l’ecologia batterica anche in ambiente nosocomiale, favorendo l’emergenza e rapida disseminazione di microrganismi multiresistenti (MDRO), uno dei fenomeni più preoccupanti dell’epidemiologia delle infezioni batteriche a livello mondiale. Un valido strumento di prevenzione potrebbe essere rappresentato dall’utilizzo di sostanze antimicrobiche naturali di origine vegetale come gli oli essenziali, anche inseriti in materiali antibatterici, e di microrganismi competitivi. Materiali e metodi.  i) Oli essenziali (EOs). L’efficacia antibatterica degli EOs di Citrus aurantium (AEO), Citrus x limon (LEO), Eucalyptus globulus (EEO), Melaleuca alternifolia - Tea Tree Oil (TTO) e Cupressus sempervirens (CEO) da soli, in associazione tra loro (agar diffusione e MIC- concentrazione minima inibente) o in combinazione con gli antibiotici di riferimento (Checkerboard Assay e FICI- Fractional Inhibitory Complex Index) è stata valutata in triplo nei confronti di tre rappresentanti di agenti patogeni MDRO: 8 isolati di enterococchi resistenti alla vancomicina (VRE), 9 di Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) e 27 di Escherichia coli produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL) e dei rispettivi biofilm, isolati nel Laboratorio di  Microbiologia Clinica – Ospedale “S. Agostino-Estense” (Modena).  ii) Materiali antibatterici. L’olio essenziale Tea Tree Oil, è stato inserito in un film adesivo e utilizzato per rivestire la tastiera di una unità di terapia intensiva (ICU) per valutarne la capacità antibatterica. Per lo studio sono state contaminate con gli stessi MDRO e rispettivi ceppi classificati ATCC - American Type Colture Collection (Microbial Challenge Test) 3 tipologie di tastiere: standard (SK), keyless con superficie liscia (KK) e standard rivestita con una pellicola Tegaderm® 3 M addizionata con Tea Tree Oil (KTEO). Per ogni tastiera i campionamenti sono stati eseguiti (Contact Plate method) in tre punti 2 volte al giorno (08:00 e 20:00) per 7 giorni.  iii) Interferenza microbica. Data l’importanza di Legionella pneumophila come agente di polmoniti batteriche a livello nosocomiale è stato condotto uno studio sulla capacità di batteri appartenenti al genere Pseudomonas (P. fluorescens SSD-Ps-D e P. putida SSC -Ps-C), di supportare o inibire la persistenza di un ceppo di isolamento clinico di L. pneumophila sierogruppo 1 (Lp-1). I campionamenti (30 per Lp-1 ed altrettanti per le combinazioni Lp-1/SSD, Lp-1/SSC e Lp-1/SSD/SSC) sono stati effettuati giornalmente durante la prima settimana e successivamente ogni tre giorni in un microcosmo di acqua artificiale mantenuta a 4 °C e 30 °C. Risultati.  i) I risultati delle associazioni EO–EO e delle combinazioni EO–antibiotico hanno mostrato un effetto sinergico nella maggior parte dei test, con una riduzione significativa della concentrazione dell’antibiotico che risulta efficace a valori di breakpoint molto più bassi rispetto a quelli definiti per ogni singola specie, anche all’interno di biofilm.  ii) Il Challenge Test effettuato su KTEO ha evidenziato una riduzione statisticamente significativa della carica microbica per tutti i patogeni sia a 24 che a 48 h (p = 0,003* e p ¼ 0,040*, rispettivamente).  iii) I batteri ad habitat idrico hanno influenzato in modo significativo la sopravvivenza della Legionella. Nelle co-colture eseguite a 30 ° C Ps-C e Ps-D hanno influito negativamente sulla carica vitale di Lp-1, determinandone una marcata diminuzione, seguita da un graduale e costante declino.  Conclusione. La combinazione di EO/antibiotici, quelle con TTO in particolare, hanno consentito la diminuzione delle concentrazioni di antibiotici utilizzati, nonché il ripristino della sensibilità agli stessi dei patogeni MDRO, anche protetti all’interno di biofilm. La potenzialità antibatterica di oli essenziali come il TTO viene mantenuta anche all’interno di materiali antimicrobici utilizzabili nel controllo dei patogeni a livello di superfici. Infine, la competizione microbica si è dimostrata un’efficace strategia in grado di ridurre la trasmissione di agenti patogeni in ambito sanitario, anche quando protetti all’interno di biofilm.


P48.

Programmi di stewardship antimicrobica nella Regione Piemonte: indicatori di struttura, processo e outcomes, 2017-2019

C. Vicentini 1, V. Blengini 1, G. Libero 1, R. Raso 2, C.M. Zotti 1

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche,
Università degli Studi di Torino;
2Servizio di Epidemiologia Regionale per le Malattie Infettive (SeREMI), ASL AL, Alessandria

Introduzione. L’incremento dell’antimicrobico resistenza (AMR) rappresenta una grave minaccia per la salute dei pazienti e l’erogazione dei servizi sanitari. I programmi di antimicrobico-stewardship (AMS) hanno dimostrato di essere strategie efficaci e costo-efficaci per l’ottimizzazione dell’utilizzo degli antibiotici. Gli obiettivi di questo studio erano (1) di stabilire un sistema di valutazione standardizzato per i programmi di AMS, identificando indicatori di struttura e processo, e (2) di valutare le caratteristiche dei programmi di AMS implementati negli ospedali per acuti della Regione Piemonte, indagando cambiamenti nei consumi di antibiotici rispetto a un punteggio attribuito agli elementi strutturali e funzionali degli stessi. Metodi. I programmi di AMS operanti negli ospedali piemontesi sono stati investigati tramite la valutazione delle relazioni fornite dalle singole Strutture rispetto agli indicatori Regionali per la Sorveglianza e il Controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA) e dell’AMR, fornite annualmente da tutte le Strutture pubbliche della Regione. Alle caratteristiche dei programmi di AMS è stato attribuito un punteggio rispetto ad una serie di indicatori di struttura e di processo, definiti sulla base di elementi “core” identificati da linee guida internazionali e condivisi con un panel multi-disciplinare parte del Gruppo di Lavoro Regionale sulle ICA. Per valutare l’efficacia dei programmi, sono stati raccolti dati sul consumo di antibiotici per ogni Struttura, espresso in DDD (defined daily doses) per 1.000 giorni-paziente. Per indagare trends nei consumi, sono stati considerati i consumi medi annuali degli anni 2017-2019 e il cambiamento percentuale tra 2017 e 2019 per ogni Struttura. I dati sui consumi sono stati messi in relazione ai punteggi ottenuti rispetto agli indicatori di struttura e processo utilizzando la correlazione di Spearman. Le analisi sono state condotte utilizzando SPSS v. 27.0 (SPSS Inc., Armonk, NY). Risultati. È stato sviluppato un sistema di valutazione per i programmi di AMS, costituito da 5 indicatori di struttura e 6 di processo, con un punteggio massimo di 10 punti ciascuno. Sono stati inclusi 25 programmi di AMS nell’analisi. Punteggi più alti sono stati ottenuti per gli indicatori di struttura rispetto agli indicatori di processo. In generale, è stato riscontrato un miglioramento nel consumo di antibiotici tra 2017 e 2019 (-4%). Una correlazione moderata è stata identificata tra punteggio ottenuto per gli indicatori di struttura e cambiamento percentuale nel consumo di antibiotici (rho di Spearman -0.603, p 0.006). Discussione e Conclusioni. I risultati di questo studio supportano l’efficacia dei programmi di AMS nel ridurre il consumo di antibiotici. Inoltre, questo studio ha permesso di identificare aspetti dei programmi di AMS passibili di miglioramento, quali la necessità di individuare formalmente un responsabile medico esperto in antimicrobico terapia, referente per il buon uso di antibiotici, la promozione di buone pratiche nell’accertamento microbiologico e la restituzione dei dati ai clinici. In particolare, dovrebbero essere concentrati gli sforzi sul migliorare gli elementi strutturali dei programmi, vista la correlazione significativa con la riduzione del consumo di antibiotici identificata. Il monitoraggio ripetuto nel tempo degli indicatori di struttura, processo e degli outcomes sarà fondamentale per guidare le azioni di miglioramento della qualità delle cure intraprese.


P49.

Infezioni delle vie urinarie: dall’appropriatezza nell’esecuzione delle urinocolture alla realizzazione di un programma di stewardship diagnostico/terapeutica in un setting ospedaliero

A. Tedesco 4, F. Rizzolo 2, G. Stroffolini 4, P. Orza 3,
D. Brunelli
1, G. Marasca 4

1Direzione Sanitaria, 2UOS Microbiologia, 3Dipartimento Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia, 4UOS Stewardship Antimicrobica,

IRCCS Ospedale Sacro Cuore Don Calabria, Negrar di Valpolicella (VR)

Introduzione. In letteratura è descritto come diverse pratiche routinarie portino ad una inappropriata e spesso eccessiva richiesta di urinocolture, in particolare nei portatori di catetere vescicale (CV), con aumento di costi, impegno clinico-laboratoristico, prescrizioni antibiotiche inappropriate e infezioni multiresistenti. Lo studio osservazionale cross-sectional qui riportato ha avuto l’obiettivo di descrivere l’appropriatezza nell’esecuzione di urinocolture e la loro successiva gestione clinica. Lo studio ha rappresentato la base di partenza per la realizzazione di progetti atti a migliorare la gestione delle infezioni delle vie urinarie. Metodi. Sono state analizzate tutte le urinocolture positive nel periodo 28 aprile – 7 maggio 2022, eseguite presso l’Ospedale IRCCS Sacro Cuore Don Calabria – Negrar di Valpolicella (VR). Nello studio sono state incluse le urinocolture eseguite su pazienti ricoverati in reparti per acuti. Per ogni caso incluso, è stata utilizzata la cartella clinica informatizzata onde derivare l’indicazione di appropriatezza nell’esecuzione dell’urinocoltura secondo le linee guida internazionali e locali, la gestione clinica successiva al riscontro di positività e l’eventuale impostazione o modifica di terapia antibiotica. Risultati. Nel periodo analizzato sono state eseguite 199 urinocolture. Di queste, 75 sono risultate positive (38%). Ventinove delle urinocolture positive erano state richieste in maniera non conforme alle indicazioni delle linee guida (15% di tutti gli esami eseguiti e 39% dei positivi). Tali esami sono stati considerati inappropriati perché richiesti per batteriuria asintomatica (9; 30%), per segni e sintomi non suggestivi di infezione delle vie urinarie (8; 28%), per cambio o rimozione CV (2; 7%), o come pratica di routine all’ingresso in reparto o nel post-operatorio (10; 35%). Tra i campioni richiesti al di fuori delle indicazioni appropriate, 19 (65%) erano relativi a portatori di CV. Nel 90% dei casi (26/29) di richiesta inappropriata, l’esito dell’esame non ha portato a un cambiamento nel decorso del paziente. Inoltre, in 7 casi su 29 (24%), è stata avviata una terapia antibiotica inappropriata. Discussione e Conclusioni. L’indicazione all’esecuzione dell’urinocoltura è spesso ancora inappropriata. Dal nostro studio emerge come nel 39% dei casi l’esame poteva essere evitato. Nel 90% dei casi l’indicazione non era appropriata, il risultato dell’esame non ha modificato la gestione clinica del paziente, mentre tra i pazienti con urinocoltura giudicata inappropriata (29), 1 paziente su 4 ha effettuato una terapia antibiotica che poteva essere evitata. Alla luce dei risultati di questo studio sono stati avviati due interventi: un audit clinico rivolto a tutto il personale infermieristico per ottimizzare l’appropriatezza della gestione del CV e un intervento di stewardship diagnostico/terapeutica su tutte le urinocolture con esito positivo, con indicazioni sulla gestione della terapia antibiotica. Considerando che nel corso del 2021 il Laboratorio di Microbiologia ha eseguito oltre 6.000 urinocolture su pazienti di Area Medica e Chirurgica con un tasso di positività del 51% e stimando che circa un terzo di tali urinocolture positive potrebbero essere state richieste in modo inappropriato, l’intervento di stewardship diagnostica permetterebbe un risparmio di almeno 1.000 test di sensibilità non eseguiti. L’intervento di stewardship terapeutica sulle restanti 2.000 urinocolture positive appropriate porterà ad indicare tipologia e durata di terapia antibiotica più adeguate, con un verosimile risparmio in termini di utilizzazione di antibiotici, di minore incidenza di antibiotico resistenza e di possibile riduzione delle giornate di degenze. In conclusione lo studio ha permesso di evidenziare un’aderenza subottimale alle linee guida per la diagnosi e la gestione delle infezioni delle vie urinarie, in particolare nei portatori di CV, contribuendo a implementare interventi formativi mirati e programmi di stewardship diagnostico/terapeutica.




Igiene delle mani

P50.

Approccio multimodale a sostegno dell’attività di implementazione dell’igiene delle mani nella ASL4 Liguria

C. Lorusso 2, A. Centi 2, L. Arpe 2, S. Schenone 1, B. Mentore 1

1ASL 4 Liguria DMPO Lavagna; 2ASL4 Liguria Ufficio Infezioni Correlate all’Assistenza

Introduzione. L’igiene delle mani degli operatori sanitari è fondamentale per la prevenzione e il controllo delle infezioni correlate all’assistenza. Eseguita nel modo e nel momento giusto, rappresenta un’azione cruciale dell’assistenza sanitaria, grazie alla quale è possibile ridurre la trasmissione di microrganismi (inclusi quelli resistenti agli antibiotici) e aumentare la sicurezza del paziente e dell’operatore. È essenziale che le persone coinvolte in tutti i livelli dell’assistenza (pazienti e visitatori compresi) comprendano l’importanza di un gesto semplice, ma efficace, anche per diffondere la cultura dell’igiene delle mani mirata a un’assistenza più sicura e di alta qualità. La giornata mondiale dell’igiene delle mani del 5 maggio ha rappresentato l’occasione per implementare iniziative, favorire l’applicazione delle raccomandazioni dell’OMS e la valutazione della strategia a più livelli. Obiettivo del lavoro è di promuovere l’informazione e la pratica dell’igiene delle mani a pazienti, familiari, caregiver coinvolti nelle cure assistenziali. Metodi. L’attività di educazione/formazione è stata realizzata mediante diverse azioni: -Attuazione di un incontro all’interno del progetto di formazione continua dei Referenti delle Infezioni Ospedaliere -RIO ( medici e infermieri) in cui il tema dell’igiene delle mani viene costantemente affrontato. -Attivazione di un corso FAD rivolto a tutto il personale Aziendale, con l’obbligatorietà di partecipazione prevista solo per il personale sanitario. -Compilazione del questionario dell’OMS per l’autovalutazione dell’Igiene delle mani, accessibile dal Portale del Dipendente, con successivo feedback delle risposte. -Attuazione di un incontro formativo agli studenti del terzo anno del corso di laurea in Infermieristica al fine di produrre materiale e strumenti informativi rivolti alla popolazione generale e agli operatori Sanitari in occasione della giornata del 5 maggio. -Costruzione di brochures esplicative sulle raccomandazioni per l’importanza dell’adesione alla pratica dell’Igiene delle mani, indirizzate a Soccorritori Pubbliche Assistenze e Volontari AVO ed a parenti e caregiver, distribuita nelle degenze e nei punti desk dei poli ospedalieri Aziendali. -Proiezione di video dimostrativi, nella giornata del 5 maggio, nelle sale di attesa e coinvolgimento di parenti, caregiver e operatori sanitari nella pratica dell’igiene delle mani con utilizzo del box didattico per monitorare l’appropriatezza della tecnica dell’igiene della mani, riprendendo le modalità del frizionamento con gel alcolico e i 5 momenti dell’OMS. -Attuazione di momenti per l’osservazione diretta degli operatori durante le attività assistenziali, mediante una scheda predisposta; l’osservazione è stata effettuata, oltre che dal TEAM Prevenzione e Controllo delle Infezioni, anche dai RIO (medici e infermieri). -Evidenza di compliance all’igiene delle mani mediante l’osservazione nei percorsi SAFETY WALK AROUND (SWR), compresa l’intervista ai pazienti, condotti da teams multidisciplinari. -Valorizzazione del Consumo in litri di Soluzione IdroAlcolica (CSIA) quale indicatore tra quelli previsti a livello Nazionale e Regionale rapportato a 1.000 giornate di degenza: da quest’anno tale indicatore viene contabilizzato semestralmente e declinato per tipologia di struttura. Risultati. L’approccio multimodale a sostegno della pratica dell’igiene delle mani ha consentito una capillare implementazione delle attività di formazione/educazione a tutti i livelli dell’Organizzazione Sanitaria, compreso soccorritori, personale AVO, parenti e caregivers. Ha favorito una partecipazione attiva promotrice di una maggiore consapevolezza sia a livello di Istituzione che individuale della capacità di produrre un cambiamento. La condivisione a livello Aziendale delle iniziative promosse è segno di responsabilità e di aderenza alle pratiche sicure, aspetto più che mai importante in questo particolare periodo pandemico. Ha altresì realizzato caratteristiche di empowerment tra gli operatori, contestualizzando criticità e punti di forza, spunto per ulteriori percorsi di osservazione e sorveglianza. I risultati ottenuti quali: il confronto delle schede delle giornate di osservazione diretta degli operatori durante le attività assistenziali, l’esito dei questionario OMS e l’implementazione e il confronto del CSIA nelle Strutture Aziendali e nelle diverse realtà Regionali, alla fine dell’anno verranno restituiti agli operatori coinvolti e saranno occasione di riflessioni e di nuove opportunità di interventi. Discussione e Conclusioni. Il percorso di miglioramento dell’igiene delle mani, vuole essere incentivo e sostegno nelle attività quotidiane alle pratiche sicure, sottolineando come sia fondamentale, rinnovare percorsi e strategie per mantenere alta l’attenzione a questa pratica semplice ed indispensabile per ottenere miglioramenti stabili ed efficaci.


P51.

MAppER, l’innovazione web per l’adesione all’igiene delle mani

C. Bedosti 3, D. Bendanti 3, R. Buttazzi 1, E. Fabbri 1, M. Leopardi 2, N. Marcatelli 2, F. Matino 4, A. Pazzini 2, A. Pono 3, E. Ricchizzi 1,
L. Savegnago
2, M. Vanni 2, M.L. Moro 1

1Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale Emilia-Romagna, Bologna;
2AUSL della Romagna ambito Rimini; 3AUSL di Imola; 4Istituto Ortopedico Rizzoli, Bologna

Introduzione. L’igiene delle mani è riconosciuta come uno degli elementi essenziali per proteggere il paziente dalla trasmissione di microrganismi promuovendo la sicurezza delle cure. Molti studi dimostrano che una corretta e frequente igiene delle mani è l’azione più efficace per prevenire le infezioni, fermarne la diffusione e proteggere personale sanitario, pazienti e cittadini. Nel 2009 l’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale dell’Emilia-Romagna ha coordinato in Italia la campagna “Clean Care is Safer Care”, promossa dall’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) a livello mondiale. La campagna mirava a favorire l’igiene delle mani nelle strutture sanitarie adottando linee guida basate su evidenze, utilizzando strategie multimodali, compresa l’osservazione diretta degli operatori sanitari promossa dall’OMS seguendo i 5 momenti. Per facilitare i processi di miglioramento e promozione nelle aziende è stato sviluppato uno strumento web, MAppER (Mani App Emilia-Romagna), per agevolare l’attività di audit e feedback. Metodi. Nel 2015 per la giornata mondiale sull’igiene delle mani, la Regione Emilia-Romagna ha promosso la sperimentazione di una app, MAppER, nelle Aziende sanitarie pubbliche della Regione. A giugno 2018, il processo di reingegnerizzazione, ha rinnovato la grafica, arricchito la funzionalità e facilitato l’accesso. Tra gennaio e settembre 2021, grazie alla partecipazione di tre Aziende sanitarie (Ausl Imola, Ausl Romagna sede di Rimini e Istituto Ortopedico Rizzoli), si è svolta la sperimentazione sul campo. Gli osservatori, formati e abilitati dai responsabili del rischio infettivo aziendali rilevano le corrette pratiche di igiene delle mani degli operatori sanitari sul luogo di cura e, registrando le informazioni sull’applicativo, possono ottenere un immediato riscontro dei risultati. I dati confluiscono in un database regionale permettendo il monitoraggio dell’adesione puntuale all’igiene delle mani. MAppER si basa sulla scheda di osservazione OMS. Da settembre 2021 è disponibile, per tutte le Aziende sanitarie della Regione Emilia-Romagna, la nuova versione dell’applicazione. Risultati. Tra il 2016 ed il 2018, a livello regionale, hanno aderito, mediamente, 5 Aziende (Ausl e AOU) e Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) per anno, coinvolgendo 61 reparti di degenza ospedaliera (valori medi dei tre anni), per un totale di 90.119 opportunità osservate negli ospedali pubblici. Da settembre 2021 ad oggi hanno aderito: 7 Ausl, 2 AOU e 3 IRCCS regionali, coinvolgendo 22 strutture pubbliche e 112 reparti di degenza. Sono state osservate 23.048 opportunità (dati al 01/06/2022), inoltre sono stati osservati 3.556 professionisti sanitari, prevalentemente gli operatori che svolgono attività assistenziale (Infermieri, OSS, ecc.) rispetto ad altri professionisti (medici, TSRM, ecc.). MAppER permette di semplificare le osservazioni sul campo, ma è necessaria la presenza di una rete di referenti ed una costante attività di osservazione, finalizzata a promuovere, tra tutti gli operatori sanitari, una maggior consapevolezza sull’importanza dell’igiene delle mani nel luogo di erogazione delle prestazioni sanitarie. Da gennaio 2022, l’applicativo MAppER è disponibile sul catalogo software a riuso AGID (Agenzia per l’Italia Digitale) che ne consente l’utilizzo al di fuori della Regione Emilia-Romagna. Discussione e Conclusioni. Oggi MAppER è diventata una piattaforma web destinata: • Alla raccolta dati sul campo, da parte degli operatori sanitari abilitati, utilizzando un dispositivo connesso a Internet. • Ai referenti delle Aziende sanitarie pubbliche per l’analisi dei dati raccolti (reportistica dinamica) e conseguenti azioni di miglioramento. L’aver messo a disposizione dei professionisti sanitari uno strumento di raccolta e gestione dei dati, potenziando il ritorno delle informazioni rispetto alla tradizionale scheda cartacea, ha consentito di migliorare la qualità del dato raccolto, nonché ridotto il margine di errore nella trascrizione e consente una restituzione del dato in tempo reale all’interno del singolo reparto. In conclusione, MAppER, semplifica, velocizza e centralizza la rilevazione dei dati.


P52.

L’importanza di misurare e costruire un sistema resiliente che faciliti l’adesione all’igiene delle mani

S. Pilia 1, R. Monaco 1, M. Tanzini 2

1Azienda Sanitaria Usl Toscana sud est; 2Regione Toscana, Centro Gestione Rischio Clinico, Firenze

Introduzione. La pandemia ha enfatizzato l’importanza di disporre di misure attendibili e aggiornate funzionali a monitorare l’adesione alle pratiche per la sicurezza nell’ambito dei piani di prevenzione e controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA).

In tal senso l’attivazione di sistemi di sorveglianza a livello aziendale consentono di contestualizzare le azioni messe in campo e quelle da implementare. Il presente lavoro rappresenta un’esperienza di monitoraggio e attenzione sulla disponibilità ed utilizzo del gel alcolico realizzata nell’Azienda Sanitaria Usl Toscana Sud-Est (AUSL TSE) nell’ambito della rete ospedaliera, coinvolgendo i 13 ospedali delle sedi operative di Arezzo, Siena e Grosseto. Il nostro obiettivo è quello di presentare in sintesi la metodologia di lavoro adottata. Metodi. A partire dall’anno 2019 è stato sviluppato uno strumento di monitoraggio e implementazione delle postazioni di gel alcolico secondo le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della sanità (OMS). In tutti i presidi (PO) della rete ospedaliera della AUSL TSE sono state censite e integrate le postazioni secondo la logica del posizionamento di una postazione completa per ogni punto di assistenza. Dove - per postazione completa si intende: supporto a letto/muro, dosatore e poster;  - per punto di assistenza invece il luogo fisico in cui si trovano contemporaneamente il paziente e l’operatore sanitario e in cui si effettua la cura o il trattamento con contatto del paziente, quindi almeno una postazione per posto letto o poltrona se attività in regime ambulatoriale /Day Hospital (DH) e comunque tenendo conto anche della struttura e dell’ergonomia delle modalità organizzative.

Allo stesso tempo sono state presidiate anche le zone comuni con la logica della disponibilità del gel in postazioni strategiche, ad esempio agli sbarchi degli ascensori oltre che nelle sale di attesa. Lo strumento per il censimento è stato diffuso a tutti i coordinatori dei Team AID (Antimicrobial, Infection control, Diagnostic stewardship) di PO nell’ambito della diffusione della Procedura Aziendale “Buona Pratica igiene mani”; al momento si tratta di un documento word, strutturato sotto forma di tabella nel quale vengono inseriti i dati numerici rispetto ai vari items. Conclusa la compilazione è possibile avere una somma delle postazioni e la loro esatta ubicazione. La prima rilevazione e compilazione (Fase I) è stata realizzata dal mese di Novembre 2019 ai primi mesi del 2020. Quindi nel 2022 (Fase II) è in corso l’aggiornamento del censimento stesso con integrazione dei servizi non ancora implementati (es. le diagnostiche) e verifica dello stato di utilizzo delle postazioni istallate nel 2019. La registrazione di queste informazioni è stata possibile tramite un vero e proprio sopralluogo congiunto dell’infermiere addetto al controllo ICA con l’Area Tecnica e l’Infermiere Coordinatore del setting /servizio al fine di identificare l’ubicazione più corretta per l’istallazione della postazione. Risultati. Nella Fase I sono state censite 144 postazioni di DH e 1.458 postazioni di degenza. In tutta la rete ospedaliera in totale sono state allestite circa 2.000 postazioni, coprendo il 100% delle degenze e le rimanenti 400 postazioni complete sono state posizionate nelle zone comuni: sale di attesa e sbarchi ascensori. Nella Fase II a partire da Gennaio 2022 è iniziato un lavoro di revisione con documentazione fotografica delle situazioni critiche oltre che di integrazione nell’allestimento di postazioni in setting/servizi non ancora presidiati. Le principali criticità riscontrate sono state: supporti senza dispencer; dispencer senza data di apertura; poster assenti; postazioni non sempre in posti utili rispetto alle esigenze dell’utilizzatore. Discussione e Conclusioni. Questa attività di monitoraggio ci ha permesso di fare delle riflessioni in merito a: impegno risorse (al fine di mantenere le postazioni complete ed aggiornarle); strumenti di registrazione ad hoc a supporto, costruendo un database dinamico; approvvigionamento continuo del materiale; formazione continua, con il supporto anche del servizio di scienze comportamentali; condivisione di linee di indirizzo e requisiti da indicare ad Estar per facilitare l’approvvigionamento di supporti e gel coerenti con le postazioni già attivate. Il lavoro è stato possibile grazie alla collaborazione di tutti i team AID di PO ed SO della AUSL TSE.


P53.

Applicazione di un progetto innovativo per il miglioramento dell’igiene delle mani presso la Terapia Intensiva: esperienza del Policlinico di Modena

G. Bianchini 2, S. Scanavini 2, M. Scotti 1, S. Viappiani 1,
I. Cavazzuti
1, G. Brancato 2, M. Di Nuovo 2, I. Generali 1, A. Poggi 3

1Azienda Ospedaliero Universitaria di Modena, Anestesia e Terapia
Intensiva;
2Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, Direzione
Sanitaria, Igiene Ospedaliera;
3Università di Modena e Reggio Emilia, Scuola di specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva

Introduzione. Nell’anno 2021 è stato implementato dall’Igiene Ospedaliera dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Modena, in collaborazione con il personale sanitario del reparto interessato, un progetto per il miglioramento dell’adesione all’igiene delle mani presso la Terapia Intensiva Polivalente (TIPO) del Policlinico di Modena. L’obiettivo del progetto è quello di formare osservatori esperti all’interno del reparto, che effettuino osservazioni trasversali sull’adesione all’igiene delle mani da parte del personale medico, infermieristico e OSS. Metodi. Sono stati individuati all’interno del reparto come Referenti di progetto, due Medici e due Infermieri particolarmente sensibili al problema della corretta adesione alle norme di igiene nel corso dell’assistenza. I referenti sono stati formati dagli Infermieri Specialisti del rischio infettivo (ISRI), con addestramento teorico e pratico sull’osservazione dell’adesione ai 5 momenti igiene delle mani con utilizzo di checklist OMS. Sono state condotte osservazioni nominali, al fine di rendere identificabili gli operatori che necessitassero di rinforzo formativo. Durante le osservazioni, gli operatori hanno ricevuto feedback immediato sugli errori commessi. Sono state preventivamente definite: • le procedure assistenziali da osservare, al fine di rendere omogenee le osservazioni effettuate sui professionisti e di valutare le procedure con minore adesione; • il livello minimo di adesione considerato sufficiente (80%); • le modalità di rinforzo formativo in caso di adesione bassa; • il numero di occasioni da osservare per ciascun professionista (15). Le osservazioni sono state condotte da giugno a dicembre 2021 su 8 medici, 68 infermieri e 9 OSS. Mensilmente, le schede di rilevazione completate sono state inviate all’Igiene Ospedaliera, che ha analizzato i dati, identificando le criticità e gli operatori che necessitassero di rinforzi formativi. Durante la fase di formazione dei referenti di progetto, è stata inoltre condotta congiuntamente con gli ISRI, un’osservazione non nominale sugli operatori (tempo 0).

Al termine delle osservazioni, gli operatori con adesione inferiore all’80% hanno frequentato un corso di formazione tenuto dagli ISRI e dai referenti del reparto. Risultati. Al termine delle osservazioni, è stata riscontrata un’adesione all’igiene delle mani complessivamente pari al 90% (87% frizione, 3% lavaggio). Nel 10% dei casi di non adesione, il 7% è stato imputato all’utilizzo scorretto dei guanti. L’adesione per categoria professionale è stata pari a 86% per i medici, 90% per gli infermieri, 91% per gli OSS. L’adesione nei 5 momenti OMS è stata pari a 94% prima del contatto col paziente, 85% prima di manovra asettica, 86% dopo contatto con fluido biologico, 95% dopo il contatto col paziente, 93% dopo contatto con il circostante del paziente. Otto operatori hanno mostrato un’adesione inferiore all’80% e sono stati reclutati negli interventi formativi di recupero. Discussione e Conclusioni. Il progetto ha mostrato una buona adesione all’igiene delle mani nel reparto, uniforme tra le 3 categorie professionali indagate. Le principali criticità emerse nel progetto riguardano la notevole discordanza tra i dati di adesione rilevati al tempo 0 dall’osservazione degli ISRI e quelle dei referenti di progetto (64% vs 90%) e la necessità di tempi lunghi per concludere le osservazioni nominali su ciascun operatore. Non sono emerse criticità in merito al fatto di aver raccolto osservazioni nominali. I punti di forza del progetto sono rappresentati dalla forte compliance dimostrata dal personale osservato, dallo stimolo al miglioramento continuo a seguito di osservazioni ripetute e dalla creazione di un team di reparto, che sia di riferimento per le tematiche di infection control. Il gruppo di lavoro ha deciso di ripetere il progetto anche nell’anno 2022, al fine di favorire la costante attenzione alla tematica e di verificare l’andamento nel tempo dell’adesione all’igiene delle mani.


P54.

Il consumo di soluzione idroalcolica negli ospedali
del Veneto

S. Bellio 1, S. Kusstatscher 1, L. Salmaso 1, F. Avossa 1,
U. Fedeli
1, M. Saia 1

1Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. L’igiene delle mani costituisce l’elemento principale per la riduzione della trasmissione dei microrganismi patogeni e l’utilizzo di prodotti a base alcolica ne rappresenta il gold standard. Nell’ambito delle attività del PNCAR, oltre all’istituzione di una sorveglianza del consumo di soluzione idroalcolica (SIA), è espressamente previsto come il monitoraggio del consumo rientri tra gli specifici obiettivi di prevenzione delle ICA e la Regione Veneto ha aderito alla sorveglianza nazionale istituendo un apposito monitoraggio. Questo lavoro ha l’obiettivo di analizzare la variazione dei consumi nel biennio 2020-2021 stratificato per tipologia di ospedale e reparto. Metodi. Per dimensionare il consumo di SIA è stata condotta un’analisi sui dati forniti dagli ospedali pubblici relativamente al biennio 2020-2021 avvalendosi dell’indicatore rappresentato dal consumo di soluzione in rapporto al totale delle giornate di degenza ordinaria (GDO), per area di degenza di ogni singola struttura; successivamente è stata condotta una valutazione in merito al consumo per tipologia di ospedale in base al ruolo assegnato dalla programmazione regionale (Hub & Spoke), calcolando il rapporto tra gli indicatori (RR - Rate Ratio) e il corrispondente intervallo di confidenza, sia complessivo (aree di degenza e non degenza) che per area di degenza. Oltre al valore dell’indicatore di consumo e al valore mediano, si è valutato anche il Range Interquartile (IQR) per una stima della variabilità del fenomeno. Risultati. Nel biennio 2020-2021 hanno partecipato alla sorveglianza rispettivamente 35 (76%) e 44 (96%) ospedali pubblici dei 46 presenti nella rete ospedaliera regionale. Il consumo complessivo medio di SIA ha evidenziato una leggera riduzione passando da 48,4 l/1.000 GDO nel 2020 a 47,5 nel 2021, con un consumo mediano pari rispettivamente a 36,0 (IQR: 22,5-54,0) e 42,7 (IQR: 31,4-56,5). Il calo del consumo è riconducibile agli ospedali hub, passati da 53,6 a 52,2 l/1.000 GDO. Gli hub nel biennio hanno registrato consumi superiori del 20% rispetto agli spoke (52,8 Vs. 42,8; RR: biennale: 1,23 95%IC: 1,23-1,24) presso i quali invece il consumo è risultato costante. Considerando esclusivamente il consumo all’interno delle aree di degenza, i consumi non hanno evidenziato differenze significative nel biennio attestandosi a 24,8 (95%IC: 24,6-24,9) nel 2020 e a 24,2 (95%IC: 24,0-24,3) nel 2021, e decisamente più elevati (RR: 1,40; 95%IC: 1,38-1,41) negli hub rispetto agli spoke (28,5 Vs. 20,4; RR: 1,40; 95%IC: 1,38-1,41). Dalla distribuzione per area di degenza è emerso come il maggior consumo fosse presente nell’area intensiva (66,7 l/1.000 GDO) seguita da medica (23,1 l/1.000 GDO), chirurgica (19,6 l/1.000 GDO) e ortopedico-traumatologica (14,0 l/1.000 GDO). In tutte le aree di degenza il consumo presso gli Hub è risultato più elevato e più marcatamente in area medica (28,5 Vs. 20,4; RR: 1,39; 95%IC: 1,37-1,41). Discussione e Conclusioni. Se complessivamente il consumo di SIA negli ospedali del Veneto è risultato superiore rispetto allo standard di riferimento proposto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (20 l/1.000 GDO), dall’analisi della distribuzione dei consumi per area è emerso come in alcune aree di degenza il consumo di soluzione sia ancora al di sotto dello standard, evidenziando pertanto la necessità di approntare ulteriori interventi di sensibilizzazione ad una corretta igiene della mani.


P55.

“Mani pulite: cure sicure”. Dall’osservazione alla riacquisizione della giusta pratica

M.I. Dilena 1, S. Randazzo 1, F. Franchina 1, M.G. Garofalo 1,
L. Gentile
1, G. Martorana 1, F. Arcoleo 1, L. Udine 2,
S. Ruggirello
2, I. Lo Burgio 1

1Direzione Medica di Presidio, Azienda Ospedaliera “Villa Sofia-Cervello”, Palermo; 2Studente laurea magistrale infermieristica, Università degli studi, Palermo

Introduzione. Le mani del personale sanitario sono il veicolo più frequentemente implicato nella trasmissione dei patogeni nosocomiali. Praticare l’igiene delle mani è un modo semplice, efficace ed economico per prevenire le infezioni correlate all’assistenza (ICA) e per il controllo dell’antibiotico-resistenza (AMR). Tuttavia, numerosi studi hanno messo in evidenza che in media, gli operatori sanitari igienizzano le mani meno della metà delle volte che dovrebbero, che la media del consumo di soluzioni idroalcoliche per l’igiene delle mani all’interno delle strutture sanitarie in Italia sia di soli 15 ml per paziente al giorno, al di sotto del minimo raccomandato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (20 ml per paziente al giorno). L’igiene delle mani deve pertanto essere ancora considerata una priorità in sanità. A tale scopo occorre sperimentare nuovi metodi formativi che vadano al di là delle lezioni frontali in aula, ma che coinvolgano gli operatori interessati rendendoli attori del loro processo di apprendimento. Obiettivi primari sono: aumentare la consapevolezza sul controllo delle infezioni e motivare il personale al miglioramento della pratica. Obiettivo secondario: uniformare i comportamenti relativi al lavaggio delle mani tra gli operatori dell’Azienda Ospedaliera. Metodi. Il progetto voluto dalla Direzione Medica di Presidio dell’Azienda Ospedaliera, da un’analisi ex ante risulta essere fattibile non prevedendo costi aggiuntivi. Identificate le UU.OO da coinvolgere, escludendo quelle destinate ai pazienti affetti da Covid-19, sono stati dedicati quindici giorni ad ogni singola UO. L’attività è stata come di seguito suddivisa: prima settimana dedicata alla somministrazione dei questionari conoscitivi, per una valutazione iniziale delle conoscenze sul tema igiene delle mani, ed alla valutazione strutturale della UO in esame. Seconda settimana dedicata all’osservazione dei comportamenti inerenti l’igiene delle mani di tutti i sanitari: Infermieri, Dirigenti Medici, OSS, e ove presenti studenti. Si è calcolata la percentuale di aderenza alla pratica, che nelle UUOO a bassa e media intensità di cura è risultata essere inferiore al 40%. Si sono successivamente identificate le criticità e le cause di non conformità. Si è stabilito Audit coinvolgendo il Direttore e Coordinatore dell’UO interessata, sono stati riportarti i dati raccolti, le non conformità e sono state decise le azioni correttive da intraprendere. L’azione principale intrapresa, è stata la formazione on site del personale sanitario, secondo il modello andragogico di Knowles, forma di apprendimento strategico finalizzato a migliorare ed ottimizzare i risultati educativi, trattandosi di apprendimento collaborativo, contestuale, integrato e riflessivo, dedicato a gruppi di professionisti adulti già inseriti in contesti lavorativi. Ad un mese dagli incontri formativi on site, ha fatto seguito un breve periodo di ri-osservazione del personale nella loro pratica clinica, con ulteriore calcolo della percentuale di aderenza alla pratica. Risultati. I risultati attesi riguardano il miglioramento della pratica clinica con una percentuale di aderenza maggiore del 80% per tutte le professioni. Il dato emerso, ad oggi, per le UUOO prese in esame è una maggiore consapevolezza e sensibilità da parte del personale sanitario sul tema “igiene mani”, con una percentuale di adesione post intervento educativo superiore (82,5%) al dato atteso. Nelle UUOO prese in esame è stato riscontrato anche un incremento del 10% dell’utilizzo gel idroalcolico. Discussione e Conclusioni. L’igiene delle mani è ancora oggi il primo tra i 5 tools necessari per la prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere, risulta imperativo utilizzare in ogni momento pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni basate sull’evidenza. Tale esperienza dimostra come un piano di formazione strutturato e pianificato attraverso strategie efficaci, che rendano i discenti attori del loro processo di apprendimento continuo, risulta più efficace nel modificare i comportamenti degli operatori sanitari.


P56.

L’aumento del consumo di gel idroalcolico correla necessariamente con l’adesione alle norme di igiene delle mani? Risultati di un’analisi in contesto ospedaliero

F. Di Nardo 2, M.L. Zanetti 2, M. Andreoletti 1, L. Fontana 2,
A. Fontana
2

1ASL NO, Servizio di Igiene e Sanità Pubblica, Novara

2Presidio Ospedaliero Ss. Trinità, Direzione Medica di Presidio, Borgomanero

Introduzione. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) suggerisce come indicatore del grado di adesione alle norme di igiene delle mani un consumo di soluzione idroalcolica (CSIA) di almeno 20 ml per giorno di degenza. Trattasi tuttavia di indicatore indiretto il cui valore ha visto negli ospedali un incremento generalizzato ben oltre lo standard in occasione dell’epidemia di COVID-19. Un elevato CSIA potrebbe però nascondere una scarsa aderenza ad altre norme di igiene delle mani indicate dalla stessa OMS quali lo sfregamento di almeno 30 secondi o il divieto di indossare monili. Presso il Presidio Ospedaliero Ss. Trinità di Borgomanero dell’ASL di Novara, un ospedale spoke di circa 250 posti letto, abbiamo verificato se all’incremento del CSIA ha corrisposto un pari aumento di adesione alle buone pratiche di igiene delle mani. Metodi. Sono stati confrontati per ogni reparto i dati annuali di CSIA e i tassi di adesione alle linee guida OMS sull’igiene delle mani degli anni 2019 e 2021. I dati di CSIA sono stati forniti dalla farmacia ospedaliera e confrontati con i giorni di degenza per ricavare i consumi in ml per giorno di degenza, mentre i tassi di adesione alle linee guida OMS sono stati rilevati da una a tre volte ogni mese dai referenti per l’igiene delle mani (infermieri, almeno uno per ogni degenza). Risultati. Sono stati calcolati i CSIA in tutte le dieci degenze inserite nell’analisi e sono stati analizzati i dati provenienti da 457 rilevazioni dell’adesione alle linee guida OMS effettuate negli stessi reparti. Tra il 2019 e il 2021 abbiamo osservato un aumento di CSIA da 12,8 a 33,6 ml per giorno di degenza (p<0,001), con punte di oltre 100 ml in alcuni reparti chirurgici o ad alta intensità di cure. Per l’adesione alle linee guida OMS abbiamo osservato un miglioramento non significativo, passando dall’87,1% all’88,1% (p=0,242). L’analisi dei risultati per singolo reparto ha tuttavia fatto emergere alcune eterogeneità. In particolare, in due reparti dove il CSIA è più che triplicato abbiamo comunque osservato che, nel 2021, in meno della metà dei casi il tempo di lavaggio delle mani era sufficientemente lungo. In un altro reparto dove il CSIA è circa raddoppiato abbiamo invece osservato un calo significativo del tasso di adesione alle linee guida OMS rispetto al 2019. Infine si segnala che in un reparto dove il CSIA è diminuito sotto la soglia dei 20 ml per giorno di degenza è stato comunque osservato un aumento significativo nel tasso di adesione alle linee guida OMS sull’igiene delle mani. Discussione e Conclusioni. Sebbene già nel 2017 e nel 2018 avessimo osservato incrementi nel CSIA superiori al 30% rispetto all’anno precedente (target fissato dalla Regione Piemonte), solo dal 2020, con l’arrivo del COVID-19, l’ospedale di Borgomanero ha superato la soglia dei 20 ml per giorno di degenza. Non dubitiamo della bontà di tale standard quale indicatore indiretto dell’igiene delle mani. Tuttavia crediamo che incrementi del CSIA oltre il valore standard, per quanto imponenti, non debbano essere considerati come ulteriori prove di miglioramento dell’igiene delle mani. Come evidenziato dalle nostre analisi, profonde differenze possono esistere tra diversi reparti pur con alti CSIA, rendendo imprescindibile un’indagine strutturata per singole degenze, in quanto elevati CSIA possono comunque coesistere con un’igiene delle mani non ottimale. Tra le criticità di questa analisi si segnala che nel 2019 era in uso per la rilevazione dell’adesione alle linee guida sull’igiene delle mani la scheda cartacea OMS, mentre dal 2021 abbiamo adottato l’app SpeedyAudit come previsto dal vigente Piano Regionale di Prevenzione, modificando pertanto il metodo di raccolta dati. Non crediamo tuttavia che questo possa aver inficiato l’attendibilità del dato, essendo stati sottoposti a formazione specifica tutti i referenti per l’igiene delle mani. Si segnala inoltre che due reparti sono stati esclusi dall’analisi perché non è stato possibile confrontare i dati del 2019 con quelli del 2021 (principalmente a causa del cambio di personale e delle modifiche strutturali all’ospedale imposte dall’emergenza COVID-19).

Sono in corso approfondimenti per valutare l’impatto dell’aumentato CSIA e dell’aumentata adesione alle norme OMS sull’incidenza di infezioni correlate all’assistenza nei vari reparti.


P57.

Igiene delle mani e trasmissione di infezioni correlate all’assistenza in Piemonte: uno studio osservazionale, 2017-2019

A. Russotto 1, C. Vicentini 1, C.M. Zotti 1

1Università degli studi di Torino, Dipartimento di Scienze
della Sanità Pubblica e Pediatriche, Torino

Introduzione. L’igiene delle mani è una delle misure più importanti per prevenire le infezioni associate all’assistenza sanitaria (ICA). Sono stati proposti diversi indicatori per misurare le pratiche di igiene delle mani, incluso il consumo di gel in soluzione idroalcolica. L’obiettivo di questo studio è di valutare se il consumo di gel in soluzione idroalcolica sia associato alla trasmissione di infezioni correlate all’assistenza. Metodi. Tutti i 25 ospedali pubblici e le aziende sanitarie del Piemonte sono tenuti a fornire ogni anno dati relativi alle infezioni associate all’assistenza e alle attività di prevenzione e controllo delle infezioni (IPC), nell’ambito di un sistema di indicatori regionali obbligatori. I dati sul consumo medio di gel in soluzione idroalcolica e di infezioni correlate all’assistenza sono stati estratti dai rapporti forniti relativamente agli anni 2017-2019. La media annuale del consumo di gel in soluzione idroalcolica per ciascuna struttura è stata espressa in litri per paziente al giorno. Il tasso di infezioni ospedaliere da Staphylococcus aureus resistente alla meticillina (MRSA) e Enterobacteriaceae resistenti ai carbapenemi (CRE) è stato calcolato per 1.000 giorni a paziente (pd). Per le unità di terapia intensiva sono state calcolate la media delle infezioni di polmoniti associate alla ventilazione (VAP) per 1.000 giorni di ventilazione (vd) e la media delle infezioni ematiche catetere-correlate (CR-BSI) per 1.000 giorni di cateterismo (cd). L’analisi correlazionale di Spearman è stata condotta tra la media del consumo di gel in soluzione idroalcolica e la media delle infezioni correlate all’assistenza, sia a livello ospedaliero che a livello delle unità di terapia intensiva. Risultati. A livello ospedaliero: il consumo annuale medio di gel in soluzione idroalcolica era di 15,4 litri/pd; il tasso medio di infezioni correlate all’assistenza era 39,6/1.000 pd (MRSA) e 18,5/1.000 pd (CRE). A livello ospedaliero non è stata riscontrata alcuna correlazione significativa. A livello delle unità di terapia intensiva: il consumo annuale medio di gel in soluzione idroalcolica era 39,6 litri/pd; il tasso medio di infezioni correlate all’assistenza era 1,7/1.000 cd (CR-BSI) e 8,2/1.000 vd (VAP). È stata trovata una correlazione moderata tra il consumo annuale medio di gel e CR-BSI (rho di Spearman -0,55, p 0,022): ciò vuol dire che nelle strutture che hanno consumato più gel si è registrato un numero di infezioni ematiche catetere-correlate significativamente più basso. Per quanto riguarda il consumo annuale medio di gel e le VAP, anche qui è stato segnalato un consumo più elevato da strutture con tassi di VAP inferiori, tuttavia non è stata trovata alcuna correlazione significativa (rho di Spearman -0,203, p 0,451). Discussione e Conclusioni. I risultati di questo studio supportano la validità del consumo di gel in soluzione idroalcolica come indicatore delle pratiche IPC nelle unità di terapia intensiva: supportano, quindi, l’associazione tra un maggiore consumo di gel in soluzione idroalcolica e una ridotta trasmissione di infezioni correlate all’assistenza nelle unità di terapia intensiva. L’analisi a livello ospedaliero potrebbe essere stata influenzata da importanti differenze in termini di consumo di gel tra le diverse tipologie di reparto: la stratificazione dei dati per tipo di reparto all’interno degli indicatori regionali, sia per quanto riguarda il consumo medio di gel che per quanto riguarda le infezioni correlate all’assistenza, potrebbe fornire ulteriori informazioni sulla loro associazione.


 P58.

Valutazione dei consumi di soluzione idroalcolica
e aspetti organizzativi a 12 mesi dall’introduzione
di dispenser no touch nell’ambito del progetto di implementazione delle precauzioni standard dell’Azienda Socio Sanitaria Territoriale Bergamo Est

E. Bombana 3, G.C. Bettinaglio 3, B. Brugnetti 4,
P. Imbrogno
2, F. Locati 1

1Direttore Generale, 2Direttore Sanitario, 3Igiene Ospedaliera,
4Microbiologia, ASST Bergamo Est

Introduzione. Un gesto così semplice come lavarsi le mani con soluzione idroalcolica prima e dopo le nostre attività assistenziali è ancora molto disatteso e lontano dal riferimento minimo a cui puntare suggerito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). L’igiene delle mani è il caposaldo contro la diffusione delle Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA). Bisogna puntare su strategie nuove che incentivino e favoriscano una maggiore responsabilità e consapevolezza della necessità di adottare questa buona pratica. Metodi. Presso l’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (ASST) è stato avviato un programma di sperimentazione, con attuazione step to step, per il rafforzamento delle corrette procedure di igiene mani. Il progetto si compone di una fase di sperimentazione con sostituzione dei dispenser manuali di soluzione idroalcolica con dispenser no touch, posizionati in punti strategici. È stato valutato il posizionamento in ogni stanza di degenza affinché potesse essere di facile utilizzo per gli operatori durante l’assistenza, lungo il corridoio, all’ingresso degli ambulatori, sale infermieri, allestimento farmaci, carrelli della terapia, locale vuotatoio; monitoraggio dei dispenser per consentire un’analisi puntuale dei dati in tempo reale; introduzione dell’apparecchiatura “scanner Semmelweis” che consente di visualizzare come è stata effettuata l’igiene mani; formazione e aggiornamento continui degli operatori dell’ASST. La sperimentazione è stata effettuata nel reparto di Medicina dell’ospedale di Seriate, 28 posti letto, da marzo 2019 a maggio 2021. Risultati. I dati hanno evidenziato che il consumo della soluzione idroalcolica durante la sperimentazione ha avuto un costante aumento, risultato essere del 44% superiore rispetto alle quantità rilevate negli anni precedenti dalla farmacia ospedaliera, tenendo presente che i dati erano basati sulla movimentazione e non su effettivo consumo. A seguito dei buoni risultati ottenuti in fase di sperimentazione, si è indetta una gara aziendale per l’acquisizione di 1.000 apparecchiature no touch da installare presso tutti gli ambienti ospedalieri e territoriali, nelle future case e ospedali di comunità. Nella gara sono state inserite le caratteristiche qualitative che ne hanno determinato la scelta: soluzione idroalcolica che rispetti gli standard dell’OMS (concentrazioni finali di etanolo 80%, alcool 75%); buona tollerabilità sulla cute e buona percezione da parte dell’utilizzatore (no profumo, no odore di alcool, no eccessiva viscosità, no secchezza della cute); riempimento con cartuccia monouso; impostazione dei ml da erogare; valutazione in tempo reale dei consumi. L’incremento percentuale dei consumi di soluzione idroalcolica a livello aziendale, da maggio 2021 ad aprile 2022, è stato del 30% rispetto agli anni precedenti. Presenteremo le nostre valutazioni e i dati preliminari, suddivisi per ospedale, per area chirurgica e medica, dopo 12 mesi dall’implementazione con indicatore OMS: lt/1.000 giorni degenza. Discussione e Conclusioni. La continua educazione-formazione degli operatori sanitari rappresenta il migliore strumento di intervento in ambito ospedaliero, unita all’evoluzione tecnologica. Gli ottimi risultati ottenuti ci inducono a proseguire su questa strada. In particolare, la possibilità di avere un dato puntuale e un monitoraggio continuo in tutti i presidi ospedalieri e in tutti i reparti ci permette di adeguare gli interventi di formazione. La pandemia COVID ha stimolato gli operatori ad una maggiore attenzione all’igiene mani. L’incremento dei consumi rilevato potrebbe perciò essere stato anche falsato dalla pandemia. In futuro riteniamo che sarà fondamentale non solo valutare i consumi ma correlare tali dati con la sorveglianza attiva dell’epidemiologia microbiologica locale e del tasso delle ICA, ora in fase di implementazione. La nostra esperienza è potuta nascere, e proseguirà nel tempo, grazie al sostegno culturale del Gruppo Infezioni Ospedaliere e alla Direzione Strategica che ha creduto nel progetto sostenendolo economicamente.


P59.

Consumo di gel alcolico dall’era pre-Covid all’era Covid: compliance degli Operatori Sanitari nel Presidio Ospedaliero “Don Tonino Bello” di Molfetta – ASL Bari

A. Mundo5, A. Roselli4, A. Gadaleta3, M. Tota2, D. De Gennaro1,
V. Marra
1

1CPS Infermiere - Direzione Medica,PO “Don Tonino Bello” – Molfetta –
ASL BA;
2Dirigente Medico - Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva, Scuola di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Bari Aldo Moro; 3Dirigente Farmacista, PO “Don Tonino Bello” – Molfetta –
ASL BA;
4Dirigente Farmacista Responsabile – Farmacia PO “Don Tonino Bello” – Molfetta – ASL BA; 5Dirigente Responsabile - Direzione Medica PO “Don Tonino Bello” – Molfetta – ASL BA

Introduzione. L’Igiene delle mani è scientificamente riconosciuta come una pratica non sostituibile per prevenire la diffusione dei germi patogeni in ambito assistenziale, essenziale per contrastare il fenomeno dell’Anti-Microbico Resistenza (AMR) e prevenire le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA). Il consumo di gel idroalcolico è considerato un buon indicatore di igiene delle mani nelle Organizzazioni Sanitarie. L’attivazione di un sistema di Sorveglianza del Consumo di Soluzione Idroalcolica (CSIA) è stato incluso tra gli obiettivi del Piano Nazionale di Contrasto all’Antimicrobico-Resistenza (PNCAR) 2017-2020 ed è una delle azioni cardine del Programma Predefinito 10 “Misure per il contrasto dell’Anti-Microbico Resistenza (AMR)” del Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025, recepito dalla Regione Puglia con DGR 2198 del 22/12/2021. Metodi. Al fine di calcolare la quantità di soluzione idroalcolica consumata nei 5 reparti di degenza dell’Ospedale Don Tonino Bello di Molfetta, 2 di Area Medica (Cardiologia e Medicina Interna) e 3 di Area Chirurgia (Chirurgia Generale, Ortopedia e Urologia), viene applicato un metodo di osservazione indiretta, elaborato con un report mensile dell’UO Farmacia inviato alla Direzione Medica. In ottemperanza a quanto richiesto della Circolare Ministeriale n. 55369 del 2/12/2021 sono stati espressi i risultati ottenuti secondo l’unità di grandezza proposta dall’OMS “in litri di soluzione alcolica consumati per 1.000 Giornate di Degenza Ordinaria (CSIA/1.000 GDO)”. I dati riguardanti il numero delle giornate di degenza ordinaria sono stati ricavati dal Sistema Informativo Sanitario Regionale Edotto. Lo standard di riferimento indicato dall’OMS è rappresentato da un consumo medio di 20 litri di CSIA/1.000 GDO. Si è proceduto ad attuare un confronto di consumo annuale di soluzione idroalcolica nelle Unità Operative di degenza dell’Ospedale di Molfetta tra 2 periodi: 1° periodo, gennaio-dicembre 2019, che ha preceduto la pandemia da SARS-CoV-2, e 2° periodo, 1° luglio 2021 - 30 giugno 2022, relativa al periodo pandemico. Risultati. L’analisi dei dati relativi al consumo di soluzione idroalcolica nelle Unità Operative di degenza ha dimostrato le seguenti variazioni tra il 1° e il 2° periodo: - da un CSIA di 16,35 L/1.000 GDO a 31,85 L/1.000 GDO per l’UO di Cardiologia; - da un CSIA di 6,24 L/1.000 GDO a 7,56 L/1.000 GDO per l’UO di Chirurgia Generale; - da un CSIA di 4,00 L/1.000 GDO a 10,91 L/ 1.000 GDO per l’UO di Medicina Interna; - da un CSIA di 13, 58 L/1.000 GDO a 20,19 L/1.000 GDO per l’UO di Ortopedia; - da un CSIA di 2,60 L/1.000 GDO a 22,84 L/1.000 GDO per l’UO di Urologia. Nei 2 periodi il consumo totale è passato da 6,92 L/ 1.000 GDO a 15,32 L/1.000 GDO. Discussione e Conclusioni. Dai dati riportati si evidenzia un notevole aumento del consumo di soluzione idroalcolica nel periodo pandemico rispetto a quello pre-pandemico. L’emergenza sanitaria legata alla diffusione dell’infezione da SARS-CoV-2 ha determinato una svolta nella direzione di una maggiore sensibilizzazione alla corretta igienizzazione delle mani al fine di contribuire a contenere l’infezione. Pur essendosi verificato un aumento significativo in tutte le Unità Operative, risulta meritevole di attenzione il dato assoluto basso in alcune Unità Operative, come in particolare la Chirurgia Generale e la Medicina Interna, spiegabile con il maggiore ricorso all’igienizzazione delle mani con acqua e sapone. L’obiettivo che ci si prefigge è quello di implementare ulteriormente l’adesione alla corretta igienizzazione delle mani tramite una costante sensibilizzazione degli Operatori Sanitari, continuando ad applicare il protocollo formalizzato nella ASL BARI con Deliberazione del Direttore Generale, che prevede un monitoraggio mensile in tutte le Unità Operative delle Strutture Sanitarie secondo un calendario di turnazione che incrocia Unità Operative monitoranti e Unità Operative monitorate.




Formazione – educazione

P60.

Intervento formativo per ridurre la contaminazione delle emocolture nella fase pre analitica

M.C. Restifo 4, C. Gastaldo 4, M. Bello 2, M. Obert 2,
A. Paudice
2, M.A. Alfano 3, N. Livigni 3, P. Barreca 3, G. Chiozza 1

1Diretto re Sanitario Aziendale ASL TO4; 2Direzione Medica di Presidio Ciriè Lanzo; 3SC Laboratorio Analisi ASLTO4; 4Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina Preventiva dell’Università degli Studi di Torino

Introduzione. Nel paziente settico la terapia antibiotica dovrebbe iniziare immediatamente dopo i prelievi microbiologici poiché la precocità della somministrazione migliora l’outcome. Il ruolo fondamentale dell’emocoltura nell’orientare la corretta terapia antibiotica può essere però inficiato dalla gestione della fase pre analitica. La contaminazione dell’emocoltura durante il prelievo è per certi versi inevitabile, ma tassi di non conformità superiori al 3% dei flaconi raccolti richiedono una valutazione del processo e l’attivazione di programmi di miglioramento mirati. La contaminazione delle emocolture, oltre ad essere un fattore confondente per il clinico, incide sui costi complessivi dell’assistenza. Un referto microbiologico “falsamente positivo”, può innescare la prescrizione di un antibiotico non necessario, prolungando inutilmente la degenza, oltre ad avere un peso in termini di pressione selettiva sull’ecosistema microbico ospedaliero. Un’analisi preliminare del contesto locale dei PO di Ciriè Lanzo dell’ASLTO4 ha mostrato per alcuni reparti un’elevata percentuale di non conformità nella fase pre-analitica delle emocolture. I dati rilevati mostrano percentuali di contaminazione dei flaconi significativamente superiori rispetto al valore “soglia” del 3% segnalato dalla letteratura. Tali criticità peraltro riguardano strutture complesse molto coinvolte nella richiesta di esami microbiologici (quali il DEA e la Medicina). Metodi. È stata calcolata la frequenza delle contaminazioni del primo semestre 2021 così definita: a. caso di emocoltura singola positiva (su un set multiplo) con isolamento di Stafilococchi Coagulasi Negativi CoNS; b. caso di emocoltura multipla con isolamento di S. Coagulasi Negativi diversi. Nel secondo semestre del 2021 è stato progettato un intervento di formazione finalizzato: 1. al miglioramento delle competenze teoriche specifiche, 2. all’acquisizione della best practice nel prelievo per emocoltura. Il corso, rivolto ai referenti per le infezioni dei reparti interessati, in numero di 20, era organizzato in modalità FSC con accreditamento ECM. Gli argomenti trattati sono stati la sepsi, l’igiene delle mani, la procedura aziendale dell’emocoltura e la questione delle contaminazioni, illustrando con esempi pratici come le piccole derive dei comportamenti individuali abbiano ricadute negative su diagnostica e sorveglianza. È stato inoltre proposto e condiviso con gli operatori un bundle per l’esecuzione delle emocoluture che successivamente, su iniziativa di alcuni di essi è stato trasformato in poster e condiviso con i colleghi di reparto. Al fine di valutare l’efficacia dell’attività formativa è stata effettuata una seconda valutazione della frequenza delle contaminazioni dei reparti coinvolti nell’evento formativo nel primo semestre del 2022. Risultati. L’analisi dei dati di laboratorio effettuata prima dell’evento formativo (periodo Gen-Giu 2021) ha evidenziato un tasso di contaminazione delle emocolture pari al 31,81%. Successivamente all’intervento il tasso di contaminazione delle emocolture nel periodo Gen-Giu 2022 è stato del 14,55% (p<0,5). In generale si è rilevato un miglioramento dei tassi di contaminazione in tutti i reparti di degenza, con diminuzioni maggiori nei reparti Chirurgici e di Medicina interna. Discussione e Conclusioni. I tassi di contaminazione presso il PO Ciriè-Lanzo indicavano la presenza di criticità nella fase preanalitica. Il corso di formazione del personale coinvolto nella gestione del processo ha avuto un effetto decisamente migliorativo. Dopo il corso le contaminazioni si sono ridotte significativamente. Al fine di consolidare le buone pratiche proposte anche nel secondo semestre del 2022 verrà riproposto l’evento formativo per aumentare il numero delle figure coinvolte e sensibilizzare il maggior numero di operatori possibile.


 P61.

Evoluzione della formazione in sanità

L. Savegnago 2, N. Marcatelli 2, M. Leopardi 2, D. Priami 1,
F. Borsari
1

1Funzione Formazione Agenzia sanitaria sociale regionale Regione Emilia Romagna; 2Settore Rischio Infettivo AUSL della Romagna ambito Rimini

Introduzione. La formazione degli operatori sanitari sulla prevenzione del rischio infettivo migliora l’adesione alle buone pratiche diminuendo le Infezioni Correlate all’Assistenza (ICA). Il Settore Rischio Infettivo di Rimini negli ultimi anni ha formato operatori sull’igiene delle mani tramite lezioni frontali e laboratori didattici, ma considerando che il modello formativo andragogico esplicita che l’apprendimento è favorito quando i discenti partecipano in modo attivo alla formazione, si è voluto proporre un corso utilizzando metodi didattici diversi da quelli classici per stimolare l’apprendimento. Accanto all’obiettivo primario di prevenire le ICA si è unito l’obiettivo didattico di maggior coinvolgimento dei partecipanti alla formazione in particolare della componente medica. Metodi. Gli infermieri del Settore Rischio Infettivo dell’AUSL della Romagna ambito di Rimini nell’anno 2021 hanno partecipato al corso sulle tecniche e modalità di docenza in sanità organizzato dell’Agenzia sanitaria e sociale della Regione Emilia Romagna. Il processo formativo è avvenuto in rete attraverso l’interazione dei partecipanti in una vera e propria comunità di apprendimento, vi è stata la possibilità di apprendere insieme in un rapporto paritetico e di scambio secondo un modello che prevede un rapporto dinamico tra i diversi soggetti (docenti, e-tutor, tutor di processo, supporto tecnico), accentuando nuove dimensioni con un ruolo attivo e partecipativo. L’approccio metodologico è stato quello di sfruttare le capacità della rete, l’interattività e la multimedialità al fine di stimolare il partecipante a “giocare un ruolo attivo”. Il percorso formativo, erogato solitamente in aula, si è così trasformato adattandolo al contesto digitale e alle nuove esigenze dei destinatari, disponendo la piattaforma, i materiali interattivi e condivisi, le strutture ipertestuali navigabili, il laboratorio esperienziale virtuale, gli strumenti collaborativi e tools. Durante il corso in collaborazione con le docenti è stata progettata una formazione interattiva utilizzando le nuove tecniche apprese. La formazione si è svolta tra giugno e novembre 2021 in undici edizioni di tre ore e ha coinvolto operatori di area medica. I contenuti divisi in moduli sono stati: microrganismi e modalità di trasmissione, precauzioni standard e aggiuntive. Ogni modulo è stato accompagnato da relativa sfida didattica tra i partecipanti: esercizi sulla catena delle infezioni, individuazione di azioni giuste/sbagliate sui 5 momenti OMS, simulazioni su igiene mani con fluoresceina e quiz finale con applicativo informatico Kahoot. Gli esiti analizzati sono stati: il numero di partecipanti, l’opinione dei discenti rispetto a modalità didattiche ed il clima d’aula percepito; gli strumenti di analisi sono stati: il questionario ECM, un questionario specifico somministrato online con Google Moduli con scala likert 0-6 (0 minimo negativo, 6 massimo positivo) e un’intervista semi-strutturata dal vivo a un campione rappresentativo di 17 discenti. Risultati. Totale partecipanti al corso 131: 16 medici 61%, 74 infermieri 76%, 41 OSS 70%. Al questionario ECM la media dei risultati è stata: 2,9 soddisfazione dell’attività formativa e 2,8 valutazione delle tecniche didattiche a favore dell’apprendimento. Al questionario online hanno risposto 72 discenti, il punteggio di gradimento espresso per le tecniche didattiche nel 72% dei partecipanti è stato il massimo. Durante l’intervista gli operatori hanno esplicitato un grande entusiasmo per la modalità didattica, riferendo di aver mantenuto alta l’attenzione per tutta la durata del corso e ritenendo opportuna l’estensione del corso agli operatori di altri setting. Discussione e Conclusioni. Il gradimento dei discenti sulle nuove modalità formative proposte è emersa sia nei questionari che nell’intervista, le interazioni didattiche sono state ritenute utili all’apprendimento ed è stato percepito un clima d’aula accogliente. Nell’anno in corso saranno analizzati il consumato di gel idroalcolico e l’adesione all’igiene delle mani.


P62.

Prevenire LEAN... infezioni correlate all’Assistenza
con la Lean Organisation

M.G. Maluccio 1, P. Falco 1, M. Musolino 1, M. Leone 1

1Direzione Medica Presidio Ospedaliero Santissima Annunziata, Taranto

Introduzione. Il Lean Management è un modello organizzativo orientato alla creazione di valore e al miglioramento continuo Kaizen (Kai cambiamento, Zen migliore). La Lean Healthcare è la sua applicazione in sanità, organizzazione complessa, in cui le relazioni sono parte del processo di cura, ed in cui la valorizzazione del capitale professionale è elemento strategico per qualità e sicurezza delle cure. Il Lean Healthcare Strategy Sistem, si basa su tre aspetti: - Strategy: miglioramento continuo, eliminazione delle attività non a valore Muda, creazione di valore; - Process e Lean Tools: Gemba walk, Safety walkaround, Kaizen blitz; - People: persone, pazienti ed operatori, coinvolgimento, formazione; punto di unione tra Strategy e Process. Nell’organizzazione Lean-oriented, “costruita” su una gestione per processi, il Kai, si basa su cinque principi: definizione del valore (prevenzione), identificazione del flusso di valore (value stream cioè percorsi e procedure), far scorrere il flusso di valore (implementare le buone pratiche), attivare un sistema pull (ottimizzando le risorse), ricercare il miglioramento continuo. Metodi. Nel mese di marzo 2022, nel Presidio Ospedaliero SS. Annunziata, sono stati utilizzati, in via sperimentale, processi e strumenti Lean nella prevenzione delle Infezioni Correlate all’Assistenza ICA con isolamento da contatto, come per il Clostridioides difficile, dopo il riscontro, in area medica, di dati di incidenza superiori alle precedenti rilevazioni. Sono stati condotti dei Gemba walks con coinvolgimento di medici, infermieri, operatori sociosanitari, addetti vitto e pulizie, pazienti e visitatori, per capire, attraverso le loro esperienze quotidiane e le loro competenze, le cause radice ed intervenire efficacemente nel ridurre l’incidenza delle infezioni da Clostridium. Il Gemba walk è la “passeggiata” nel luogo di lavoro, nel reparto, nella stanza di degenza, nel luogo in cui si crea valore (o non valore), osservando sul campo le attività da valorizzare e i Muda da eliminare/correggere, coinvolgendo tutti gli operatori, creando relazioni, comunicazione, condivisione di obiettivi, valorizzazione professionale ed esortazione all’impegno. Tutti i membri dell’organizzazione partecipano (cuncurrent engineering) alle soluzioni e nell’identificare il flusso del valore, apportando cambiamenti anche modesti, ma a flusso continuo, e un approccio per processi, per capire le criticità attraverso i “loro occhi”. Le principali attività non a valore (cause radice) rilevate sono state: - necessità di aggiornamento delle procedure o non sufficiente conoscenza delle stesse o del sito aziendale dal quale scaricarle o della password per accedere, - non sufficiente comunicazione con gli operatori esterni al reparto (consulenti, fisioterapisti, ecc.) sulle misure previste nell’isolamento da contatto, - non sufficiente comunicazione con i pazienti ed i familiari, la cui compliance, nell’isolamento spaziale, è fondamentale per limitare la trasmissione, - percorso per l’immediata comunicazione dei microrganismi alert. Le attività messe da subito a valore sono state: - creazione di una cartella condivisa in rete, per l’accesso facilitato alla raccolta documentale, - elaborazione di un sistema di codice colori e flow-chart per l’immediata comprensione su tipo di isolamento e relative precauzioni, attraverso una comunicazione visiva, immediata, da apporre su custodia della cartella clinica, ingresso stanza, testaletto, medicherie, -promozione della cultura della sicurezza nelle ICA, con programmi di formazione e informazione continua (corsi, news letters, indirizzo e-mail dedicato), - revisione delle procedure, - estensione degli studi sugli effetti della comunicazione e del coinvolgimento nel modificare i dati di incidenza delle ICA,

- formazione di facilitatori per “far entrare” in reparto la cultura della prevenzione, la condivisione di obiettivi e la predisposizione al cambiamento nei comportamenti che può contribuire al miglioramento continuo e alla prevenzione delle ICA. Risultati. I primi risultati sono confortanti e da due mesi non si registrano infezioni da Clostridioides nel reparto in cui siamo intervenuti. Discussione e Conclusioni. Process e Lean Tools sono un valido strumento per la prevenzione delle ICA perché si basano su comunicazione, formazione, informazione, gestione per processi, cambiamento culturale, valorizzazione delle buone pratiche, miglioramento continuo, che sono elementi cardine anche nella lotta alle ICA e nelle strategie di prevenzione.


P63.

Istituzione della rete dei referenti del rischio infettivo
in due presidi ospedalieri dell’Azienda ULSS 6 Euganea: un progetto di formazione sul campo

M. Carraro 1, A. Basso 3, P. Anello 1, A.M. Miotti 2, A. Madia 2,
G. Basso
2, C. Cabbia 1, A. Bano 1, E. Zilli 2, M. Marchiori 1

1Direzione Medica di Ospedale, Camposampiero, 2Direzione Medica
di Ospedale, Cittadella,
3Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina
Preventiva UniPd

Introduzione. Nella Regione Veneto, l’allegato B alla Delibera della Giunta Regionale (DGR) 1402/2019 “Piano regionale per la sorveglianza, la prevenzione e il controllo delle infezioni correlate all’assistenza (ICA)” prevede l’istituzione, all’interno dei presidi ospedalieri, di una rete di referenti per il rischio infettivo. Tali referenti devono includere personale della dirigenza e del comparto, con il mandato di lavorare in rete con gli altri referenti e la Commissione Ospedaliera per il controllo delle infezioni correlate all’assistenza (CIO) per assicurare l’attuazione delle politiche di sorveglianza, prevenzione e controllo. Nei due presidi era già presente una rete di referenti per le infezioni correlate all’assistenza istituita dal 2015, da adattare alla nuova configurazione prevista dalla normativa. Obiettivo del presente lavoro è descrivere l’applicazione di quanto previsto dall’allegato B della DGR 1402/2019 sulla rete dei referenti del rischio infettivo, e il relativo progetto di formazione sul campo, nei Presidi Ospedalieri di Camposampiero e Cittadella (Azienda ULSS 6 Euganea). Metodi. Per ciascuna Unità Operativa/Servizio sono stati individuati un referente medico e del comparto. È stato realizzato un progetto con lo scopo di sviluppare le seguenti competenze e abilità relative alla prevenzione e al controllo delle ICA: gestione assistenziale e terapeutica del paziente e implementazione e monitoraggio dell’adesione alle procedure aziendali. Il corso era articolato in 4 fasi: 1. Approfondimento delle conoscenze inerenti la gestione assistenziale e terapeutica del paziente per la prevenzione e il controllo delle ICA, i germi sentinella e i Multi-Drug Resistant Organisms (MDRO). 2. Suddivisione in gruppi in base alle competenze. I referenti medici hanno approfondito il tema degli antibiogrammi di dubbia interpretazione con casi clinici. I referenti del comparto hanno approfondito l’assistenza al paziente affetto da MDRO, le misure di isolamento e precauzioni aggiuntive, i flussi di segnalazione. Tutti i partecipanti hanno approfondito il tema della Stewardship antibiotica. 3. Fase di lavoro individuale, con monitoraggio delle misure di isolamento nei relativi reparti, con successiva discussione e condivisione in riunione plenaria di quanto rilevato e delle azioni di miglioramento individuate. Risultati.  Il corso è stato articolato in 11 ore di lezione e 14 ore di lavoro individuale accreditate come da normativa per un totale di 40 partecipanti medici e 61 afferenti alle professioni sanitarie (di cui 55 infermieri, 2 ostetriche, 2 fisioterapisti, 2 tecnici di radiologia) provenienti da tutti i reparti e servizi dei due Presidi Ospedalieri. Le schede di osservazione compilate sono state in totale 228 da infermieri di reparto, 184 da infermieri dei servizi e 240 compilate dai medici. Le maggiori criticità osservate dai referenti riguardano la modalità di effettuare l’isolamento da contatto e la compilazione dei flussi di segnalazione (specie per i documenti regionali). A questo proposito i referenti stanno predisponendo degli incontri all’interno dei reparti per diffondere il documento aziendale relativo alle misure di isolamento e le corrette modalità delle segnalazioni. È stato pianificato un corso residenziale rivolto a 300 professionisti (medici, infermieri, oss, fisioterapisti, ecc) incentrato sulle misure di isolamento e flussi di segnalazione, con l’intento di garantire una maggiore diffusione delle buone pratiche, ma anche per fronteggiare l’elevato turn-over del personale mantenendo alta la formazione. Discussione e Conclusioni. La DGR 1402/2019 è stata un’opportunità per consolidare la rete di referenti del rischio infettivo. La formazione sul campo continuerà ad essere il fulcro per il cambiamento e la crescita culturale del personale, sviluppando abilità e rinforzando la consapevolezza del ruolo rivestito dai professionisti.




 Lezioni apprese dalla pandemia COVID-19

P64.

Trasmissione ospedaliera di Sars-Cov-2:
descrizione di una casistica

R. Novati 1, G. Occhipinti 1, T. Viviano 1, A. Gorraz 1, C. Galotto 1

1Direzione sanitaria, Ospedale regionale di Aosta

Introduzione. Il Covid contratto in Ospedale secondo casistiche di recente pubblicazione costituisce almeno il 20% dei casi totali; la prevenzione ospedaliera del Covid è naturalmente complessa, tuttavia tale fenomeno va attentamente monitorato, per motivi clinici, gestionali e medico-legali. Obiettivo del nostro lavoro è stata la descrizione di una casistica consecutiva di pazienti ricoverati per altri motivi e divenuti positivi al tampone in corso di ricovero, definiti “casi centauro”, per la loro natura ibrida. Metodi. In Ospedale regionale di Aosta tutti i pazienti ricoverati da Pronto Soccorso sono sottoposti a tampone diagnostico (antigenico di terza generazione con tecnica microfluidica). I ricoveri programmati effettuano tampone molecolare nelle 48 ore precedenti il ricovero. Giornalmente la Direzione Sanitaria ospedaliera -DSO- registra tramite il gestionale ospedaliero delle cartelle cliniche i ricoveri Covid. Le diagnosi di Covid successive al ricovero (cosiddetti “casi centauro”) sono soggette a obbligo di segnalazione immediata in DSO e registrate in un data base di sorveglianza epidemiologica comprendente status vaccinale quadro clinico e percorso ospedaliero del paziente. I casi centauro sono immediatamente trasferiti in reparto Covid; i compagni di stanza sono posti in quarantena di reparto per 5 giorni, indipendentemente dallo status vaccinale, con blocco delle visite e sono inoltre sottoposti a tampone per Sars-Cov-2 ai giorni 1, 3 e 5, prima nel caso di comparsa di sintomi riferibili a Covid. Presentiamo la casistica ospedaliera del periodo 7 gennaio /7 aprile 2022. Risultati. Nel periodo di studio i ricoveri in reparto Covid sono stati 278; ben 95/278 pazienti (34%) provenivano dai reparti ospedalieri NON Covid, dove erano stati ricoverati per altre patologie. Sono per altro esclusi dallo studio i numerosi casi secondari diagnosticati nello stesso periodo negli operatori sanitari, nessuno dei quali ha avuto necessità di ricovero ospedaliero. Il 43% dei “casi centauro” (tutti vaccinati con almeno due dosi) si è verificato in due soli reparti e in forma epidemica (tre cluster certi di casi). In 12/95 pazienti la diagnosi è stata effettuata nei primi quattro giorni dal ricovero, nei rimanenti la diagnosi è successiva; tenuto conto che tutti i pazienti avevano tampone negativo all’ingresso si può dunque ragionevolmente pensare ad almeno 83 casi di infezione ospedaliera da Sars-Cov-2, il che corrisponde a un tasso di incidenza del 3,2% di tutti i pazienti ricoverati in regime ordinario nello stesso periodo, tolti i neonati (nido ospedaliero). I casi centauro alla diagnosi erano asintomatici/paucisintomatici; il tampone è stato prescritto per motivi non clinici (trasferimento in struttura, contatto stretto con caso accertato, accertamenti invasivi ecc.); nessun paziente ha avuto necessità di trasferimento in terapia intensiva, ciò nonostante abbiamo osservato nella casistica una letalità molto importante: 13/95 pazienti (13,7%). Discussione e Conclusioni. I dati riportati confermano l’importante impatto sanitario e gestionale della trasmissione ospedaliera di Sars-Cov-2, favorita come noto (nonostante il mantenimento nel nostro Ospedale di misure preventive più restrittive rispetto a quanto raccomandato nelle più recenti circolari ministeriali) da fragilità dei pazienti, affollamento, ridotte risorse di personale, limiti strutturali e impiantistici, estrema trasmissibilità del variante Omicron, e così via; crediamo in particolare che la minore efficacia vaccinale e la accelerata waning immunity nel paziente molto anziano, che costituisce la maggioranza della popolazione ospedaliera ricoverata, siano motivi sufficienti ad agire in Ospedale ben diversamente da quanto raccomandato nelle ultime circolari ministeriali, che aboliscono l’obbligo di quarantena nei contatti stretti vaccinati di casi Covid. Abbiamo inoltre osservato una letalità molto elevata nei casi centauro in assenza per ora di una valutazione di possibile nesso causale tra decesso e Covid, anche se l’assenza di trasferimenti in terapia intensiva fa pensare a nesso associativo e non causale. In conclusione, i nostri risultati, vista anche le difficoltà a gestire le quarantene in reparto, che obbligano alla chiusura di posti-letto in una situazione ricettiva già molto difficile, confermano la assoluta necessità di aderire alle raccomandazioni igienico-sanitarie per la prevenzione del Covid ospedaliero.


P65.

L’impatto del vaccino contro SARS-CoV-2 nei pazienti ricoverati presso l’ASST della Valcamonica

A. Patroni 1, C. Bertoni 1, S. Bertoni 2, S. Martinelli 2, L. Salada 3,
E. Damiolini
3, L.M. Guarinoni 3, M. Apollonio 3, I. Bedola 3

1Comitato Infezioni Ospedaliere, 2Direzione Medica di Presidio,
3Unione Operativa di Pneumologia, ASST della Valcamonica

Introduzione. Il 28 febbraio 2020 l’ASST della Valcamonica ha segnalato il primo caso autoctono in Valcamonica. Successivamente alla prima ondata, l’epidemia in Valcamonica è stata caratterizzata da altre due ondate: da ottobre 2020 ad agosto 2021 e da novembre 2021 a maggio 2022. Diverse le modalità con cui si sono presentate ed evolute le tre ondate, per effetto di vari fattori, tra cui la vaccinazione anti-SARS-CoV-2, che ha caratterizzato la terza ondata. Metodi. Tutti i pazienti ricoverati presso l’ASST della Valcamonica, da gennaio 2021 a maggio 2022, con tampone nasofaringeo molecolare positivo per SARS-CoV-2, sono stati registrati in database dedicato, raccogliendo, oltre i dati anagrafici, il loro stato vaccinale e il loro outcome clinico. È stata condotta un’analisi statistica per valutare l’impatto della vaccinazione anti-SARS-CoV-2 sulla presentazione clinica del paziente al momento del ricovero e sull’outcome clinico dello stesso. Risultati. Dal 3 dicembre 2021 al 15 maggio 2022 si sono presentati c/o il Pronto Soccorso (PS) 787 pazienti con infezione da SARS-CoV-2; di questi, 487 (61,9%) sono stati rinviati a domicilio e 300 (38,1%) sono stati ricoverati. Dei pazienti ricoverati 168 (56,0%) erano uomini, 132 (44,0%) donne. L’età media era 61,0 ± 1,7 anni; 45 (15,0%) erano pazienti di età inferiore a 18 anni, 29 (9,7%) quelli con età compresa tra i 18 e i 39 anni, 10 (3,3%) quelli tra i 40 e i 49 anni, 17 (5,7%) quelli tra i 50 e i 59 anni, 29 (9,7%) quelli tra 60 e 69 anni, 62 (20.6%) tra i 70 e gli 79 anni, 79 (26,3%) tra gli 80 e i 89 anni, 29 (9,7%) i pazienti di età superiore a 89 anni.  Dei 300 pazienti ricoverati 89 (29,7%) non erano vaccinati nei confronti di SARS-CoV-2, 211 (70,3%) erano vaccinati: 10 (4,7%) con una sola dose, 72 (34,1%) con due dosi e 129 (61,1%) con 3 dosi. Tra l’ultima dose di vaccino e il ricovero erano passati in media 125,5 ± 5,3 giorni. Centoottantadue (86,3%) i pazienti che avevano ricevuto un vaccino a RNA messaggero (mRNA), 29 (13,7%) quelli che avevano ricevuto un vaccino a vettore virale. Duecentodieci (70,0%) pazienti presentavano comorbilità: 32 (15,2%) una, 27 (12,9%) due, 22 (10,5%) tre e 129 (61,4%) quattro o più comorbilità.  Centoottanta (60,0%) erano i pazienti ricoverati per patologia diversa da COVID-19 ma con tampone molecolare positivo, 120 (40,0%) quelli ricoverati per COVID-19: 6 (5,0%) livello 0, 54 (45,0%) livello 1, 7 (5,8%) livello 2, 12 (10,0%) livello 3, 33 (27,5%) livello 4 e 8 (6,7%) livello 5 di gravità secondo il bisogno clinico in termini di assistenza respiratoria.  I pazienti ricoverati per COVID-19, rispetto agli altri, erano più anziani (73,4 ± 1,7 anni versus 52,7 ± 2,4 anni, p = 0,000), avevano una maggior prevalenza di comorbilità (85,0% versus 60,0%, p = 0,000) e una minor prevalenza di dose booster (53,7% versus 67,4%, p = 0,044).  La degenza media è stata di 15,3 ± 0,7 gg e la vaccinazione non ha avuto influenza su di essa. Duecentosessantasei (88,7%) pazienti sono stati poi dimessi [150 (56,4%) con tampone molecolare positivo, 116 (43,6%) con tampone molecolare negativo], 4 (1,3%) sono stati trasferiti presso altra ASST e 30 (10,0%) sono deceduti. Venti (66,7%) decessi hanno interessato il sesso maschile, 10 (33,3%) il sesso femminile; 2 (6,7%) i decessi sotto i 60 anni d’età, 2 (6,7%) tra i 60 e i 69 anni, 11 (36,7%) tra i 70 e gli 79 anni, 10 (33,3%) tra gli 80 e gli 89 anni, 5 (16,7%) i decessi oltre gli 89 anni d’età. Non sono state osservate differenze in termini di outcome clinico (decesso, trasferimento o dimissione) tra vaccinati e non vaccinati, eccetto il fatto che i dimessi con tampone molecolare negativo sono prevalsi nei vaccinati (53,3% versus 22,0%, p = 0,000). Discussione e Conclusioni. Presso l’ASST della Valcamonica, da novembre 2021 a maggio 2022, i pazienti ricoverati per COVID-19, rispetto a quelli ricoverati per altra patologia ma positivi per SARS-CoV-2, erano più anziani, presentavano più comorbilità e prevalevano quelli che non avevano ricevuto la dose booster del vaccino. Sulla presentazione clinica al momento del ricovero non ha influito il tipo di vaccino e il tempo intercorso dall’ultima dose dello stesso. Il vaccino non ha influenzato la durata della degenza. Non sono emerse differenze significative sull’outcome clinico tra non vaccinati e vaccinati. Nel gruppo dei vaccinati il tipo di vaccino, la presenza o meno della dose booster e il tempo intercorso dall’ultima dose vaccinale non hanno influenzato l’outcome clinico. I pazienti vaccinati si sono negativizzati prima rispetto ai non vaccinati.


 P66.

Impatto della vaccinazione COVID-19 sui nuovi contagi
e sui tempi di negativizzazione ai test per SARS CoV-2 nel personale di un ospedale oncologico

R. Passerini 5, S. Capizzi 2, E. Omodeo Salé 4, S. Guerini 2,
S. Grisanti
1, A. Moro 1, D. Radice 3, L. Zorzino 5, F. Mastrilli 2

1Direzione Aziendale delle Professioni Sanitarie, 2Direzione Sanitaria,
3Divisione di Epidemiologia e Biostatistica, 4Divisione di Farmacia,
5Divisione di Medicina di Laboratorio,
Istituto Europeo di Oncologia, Milano

Introduzione. I vaccini COVID-19 hanno dimostrato elevata efficacia nella prevenzione dei casi di malattia severa da SARS-CoV-2, ma minore capacità nel prevenire la diagnosi di infezione. L’ISS ha calcolato in Italia un’efficacia vaccinale nella prevenzione dell’infezione pari al 44% nel caso di completamento del ciclo vaccinale primario e al 62% nei soggetti vaccinati con dose aggiuntiva/booster. I dati di letteratura mostrano anche come la durata della permanenza del virus nelle vie aeree dei vaccinati sia inferiore rispetto a quella dei non vaccinati. L’Istituto Europeo di Oncologia di Milano (IEO) ha vaccinato il personale di interesse sanitario presso il proprio centro vaccinale a partire da gennaio 2021 e ha effettuato una stretta sorveglianza sanitaria, anche mediante screening periodici con test salivari molecolari. Scopo dello studio è valutare, nel personale IEO, l’impatto della vaccinazione COVID-19 sul numero di diagnosi di infezione e sui tempi di negativizzazione ai test per SARS-CoV-2. Metodi. La campagna di somministrazione del ciclo vaccinale primario (I e II dose) ha avuto inizio a gennaio 2021 e si è conclusa ad aprile 2021. La somministrazione della dose booster ha avuto inizio a novembre 2021 e si è conclusa a febbraio 2022. Sono stati vaccinati in totale 2.296 soggetti (copertura vaccinale 98.6%). I vaccini utilizzati sono stati PFIZER e ASTRA ZENECA. Per lo screening periodico dell’infezione da SARS-CoV-2 nel personale sono stati eseguiti sia test molecolari (RT-PCR su saliva o su tampone nasofaringeo) che antigenici (LFIA di 1^ generazione e test in immunofluorescenza e immunofluorescenza microfluidica di 3^ generazione su tampone rinofaringeo). Per la diagnosi di infezione da SARS-CoV-2 nei soggetti sintomatici sono stati eseguiti test molecolari (RT-PCR su tampone nasofaringeo). Per la ricerca della negativizzazione sono stati effettuati test molecolari (RT-PCR su tampone nasofaringeo) o antigenici (immunofluorescenza microfluidica di 3^ generazione su tampone rinofaringeo) a 10 giorni dal riscontro di positività e a 14 e 21 giorni in caso persistenza della positività. Risultati. Da maggio 2020 ad aprile 2022 sono stati eseguiti 41.016 test su 2.330 dipendenti. Sono risultati positivi 735 (31.5%) soggetti, così distribuiti: 262 (11.2%) nel periodo pre-vaccinale (da maggio a dicembre 2020), 61 (2.6%) nel periodo di vaccinazione con ciclo primario (da gennaio a ottobre 2021) e 412 (17.7%) nel periodo di vaccinazione con dose booster (da novembre 2021 ad aprile 2022). Sono state registrate 55 reinfezioni, 6 in soggetti con ciclo vaccinale primario e 43 in soggetti con dose booster. Nessun soggetto ha manifestato un quadro di malattia severa. Dal confronto dei tempi di negativizzazione sono emerse differenze statisticamente significative tra il gruppo pre-vaccinazione e il gruppo con dose booster a 10 gg (36% vs 54%; p=0.002) e a 21 giorni (87% vs 94%; p=0.03). Nessuna differenza statisticamente significativa nei tempi di negativizzazione è emersa nel confronto tra il gruppo pre-vaccinazione e il gruppo con ciclo vaccinale primario. Discussione e Conclusioni. Presso l’IEO, nonostante una copertura vaccinale del personale pressoché totale, il numero di soggetti positivi è risultato più elevato nel periodo di copertura con dose booster, nel quale si è registrato anche un maggior numero di reinfezioni, verosimilmente a causa della circolazione delle varianti del virus SARS-CoV-2. La vaccinazione con dose booster ha però determinato un significativo accorciamento del periodo di positività al virus e quindi una più rapida negativizzazione al test molecolare.


P67.

Allestimento in emergenza di aree Covid
in pressione negativa

S. Fedrigucci 1, E. Martini 2, A. Lucesoli 2, R. Bruschi 2,
R. Allegrezza Giulietti
2, P. Barbadoro 1, M.M. D’Errico 1

1Dipartimento Scienze Biomediche e Sanità Pubblica, Sezione di Igiene,
Medicina Preventiva e Sanità Pubblica, Università Politecnica delle Marche, Ancona;
2SOD Igiene Ospedaliera, Azienda Ospedaliero-Universitaria
“Ospedali Riuniti”, Ancona

Introduzione. Le linee guida sul controllo delle infezioni trasmissibili per via aerea prevedono il ricovero del paziente infetto in stanze con gradiente di pressione negativo rispetto agli ambienti limitrofi e con un numero di ricambi d’aria maggiore rispetto alle stanze di degenza ordinaria. Nello specifico per SARS-CoV-2 la World Health Organization raccomanda, per gli ambienti destinati ai pazienti infetti, la realizzazione di un differenziale negativo di pressione di almeno 2,5 Pascal con 6-12 ricambi d’aria/ora. Le stanze di degenza non classificate come intensive o di isolamento degli Ospedali Riuniti di Ancona sono dotate di un impianto aeraulico che garantisce circa 2 ricambi d’aria/ora e pressione positiva rispetto al corridoio. In un contesto emergenziale come quello della pandemia da Covid-19, dove si è registrato un massiccio afflusso di pazienti, si è posta la necessità di adattare rapidamente alcune aree di degenza ordinaria al ricovero di pazienti affetti da Covid-19. In particolare, nel periodo marzo-aprile 2020, sono stati adibiti ad aree Covid: una parte del pronto soccorso, 2 reparti semintensivi, 4 degenze ordinarie, 3 terapie intensive. Di questi, solamente 3 reparti erano già dotati di impianto idoneo ad ospitare pazienti infetti. Al fine di rendere anche gli altri reparti il più vicino possibile agli standard di stanze per infetti è stato necessario: dotare i locali di pressione negativa mediante installazione di estrattori d’aria con filtro assoluto in uscita; creare percorsi pulito/sporco e zone vestizione/svestizione; verificare la tenuta delle porte dei locali. Metodi. L’attivazione di aree Covid a pressione negativa è stata possibile grazie all’utilizzo di estrattori d’aria della portata di 2.000-6.000 mc/h dotati di filtri assoluti H13 in uscita, ubicati all’esterno dell’edificio e collegati agli ambienti interessati attraverso canalizzazioni. Risultati. Sono state portate avanti due tipologie di logica: 1) realizzazione di stanze singole o gruppi di stanze a pressione negativa all’interno dei reparti, mediante l’installazione di estrattori d’aria a servizio unicamente dei locali interessati. Sono state identificate stanze che disponessero di zone filtro in cui poter effettuare la svestizione del personale in uscita dalla zona contaminata, al fine di mantenere pulite le restanti aree del reparto non occupate da pazienti Covid. Questa scelta è stata privilegiata, ove possibile, in quanto permette di occupare solo una parte del reparto con pazienti positivi, mantenendo liberi i restanti posti letto per altri ricoveri; 2) allestimento di interi reparti a pressione negativa mediante la collocazione di uno o più estrattori d’aria a servizio di tutto il reparto. La ripresa degli estrattori è ubicata nella parte terminale del corridoio, creando un flusso d’aria dall’ingresso e dalle stanze di degenza verso l’estremità opposta del reparto. In questa configurazione tutto il reparto è considerato contaminato, quindi può essere occupato da soli pazienti Covid. Ad ingresso reparto è stata predisposta una zona filtro destinata alla svestizione del personale. A garanzia di sicurezza per gli operatori, tale area è infatti considerata la più pulita del reparto in quanto il flusso d’aria generato dagli estrattori determina un gradiente di contaminazione crescente dalla zona di ingresso fino al punto di ripresa degli estrattori. Per verificare il mantenimento della pressione negativa nelle aree Covid sono stati installati manometri differenziali all’ingresso delle stanze o dei reparti; il personale è stato addestrato alla lettura degli stessi per la verifica costante del funzionamento del sistema. Discussione e Conclusioni. Nel picco pandemico, attraverso l’impiego di estrattori d’aria, si è riusciti in breve tempo ad accogliere pazienti infetti all’interno di zone di degenza non progettate per tale destinazione d’uso, garantendo una separazione tra aree pulite e sporche a sicurezza sia degli operatori che dei pazienti al di fuori delle aree contaminate. Si ritiene che questa soluzione possa essere riproposta per eventuali future situazioni emergenziali con un flusso d’accessi in ospedale imprevedibile, siano esse dovute a Covid-19 oppure ad altre malattie trasmissibili per via aerea.


P68.

Aspergillus flavus in paziente con SARS-CoV-2

A. Filosa 1, P. De Rosa 1, I. Abagnale 1, I. Grimaldi 1, A. Paciolla 1,
F. Feroce
1, E. Punzo 1

1UOC Patologia Clinica, OORR Area Stabiese ASL NA3 SUD,
Castellammare di Stabia

Introduzione. In molti studi sono state segnalate co-infezioni da batteri o da virus in pazienti con sindrome respiratoria acuta grave da SARS-CoV-2, tuttavia, anche Aspergillus spp. può causare co-infezioni in pazienti con COVID-19, specialmente in quelli con comorbilità. Nel paziente in esame non erano presenti i fattori di rischio convenzionali dell’Aspergillosi Polmonare Invasiva (IPA), un’infezione opportunistica tipica dei pazienti gravemente immunodepressi, caratterizzata da invasione di ife fungine nelle vie aeree e nel polmone. L’esordio è rapido, con sintomi aspecifici talora simili ad una comune broncopolmonite, con infiltrati polmonari e febbre insensibili a terapia antibiotica e prognosi spesso infausta. La microbiologia tradizionale applicata ai campioni respiratori potrebbe aiutare la diagnosi precoce. Metodi. Il campione di materiale respiratorio viene esaminato direttamente al microscopio, dopo aver mescolato una parte del sedimento con una parte di soluzione fisiologica. Una seconda aliquota del campione incontaminato viene analizzata in PCR nested multiplex (pannello sindromico per le infezioni delle basse vie respiratorie). Il campione respiratorio viene, quindi, seminato su terreni arricchiti, selettivi e differenziali, dopo essere stato trattato con agenti mucolitici e centrifugato. Risultati. Uomo di 64 anni giunge in PS in data 24.02.2021 con difficoltà respiratoria, afasia, dolore al petto, occhi arrossati. Agli esami ematochimici emerge iperglicemia 136 mg/dL, PCR 18,67 mg/dL, D-Dimero 548 µg/dL. La RT-PCR rileva positività per SARS-CoV-2. Il paziente, trasferito in Terapia Intensiva, è contestualmente sottoposto a prelievi per esami colturali di ingresso. Il campione respiratorio viene osservato a fresco al M.O. 40 x per valutarne l’idoneità secondo Bartlett. All’esame microscopico diretto del campione, idoneo, sono visibili conidiofori aspergillari. L’Agar Sabouraud conferma la presenza di Aspergillus flavus: macroscopicamente si evidenziano colonie verde bruno e microscopicamente conidioforo rugoso, vescicola globosa, testa radiata. L’esame in PCR nested multiplex dello stesso campione respiratorio rileva solo S. aureus. Dopo trattamento e stabilizzazione, il paziente è stato trasferito in altra struttura. Discussione e Conclusioni. Il paziente viene trattato anche con voriconazolo. L’esame microscopico diretto, in relazione all’aspetto e alla quantità di strutture fungine evidenziabili, può contribuire a dare un significato al successivo isolamento in coltura, offrire talora utili indicazioni per un trattamento terapeutico e, in alcuni casi, consentire un’identificazione presuntiva del micete.


P69.

Persistenza della risposta anticorpale in seguito a vaccinazione anti SARS-CoV-2 in operatori di Residenze Sanitarie per Anziani in Piemonte

D. Meddis 1, C. Vicentini 1, V. Bordino 1, A.R. Cornio 1,
J. Garlasco
1, N. Marengo 1, S. Di Tommaso 1, M. Giacomuzzi 1,
G. Memoli
1, C.M. Zotti 1

1Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche,
Università degli Studi di Torino

Introduzione. Il SARS-CoV-2, agente eziologico della malattia da Coronavirus 2019 (COVID-19), è stato dichiarato pandemico dall’Organizzazione Mondiale della Sanità l’11 marzo 2020 e nel dicembre 2020 in Italia è partita la campagna di vaccinazione contro questa malattia. La diagnosi di infezione attiva è confermata dalla Real Time-RT-PCR eseguita su campioni biologici prelevati tramite tampone rino-faringeo. L’entità e la cinetica della risposta anticorpale in seguito a infezione naturale e in seguito a vaccinazione sono oggetto di ricerche attuali. Lo scopo di questo studio prospettico multicentrico è stato quello di analizzare nel tempo la risposta anticorpale successiva al vaccino Comirnaty in soggetti ad alto rischio di esposizione al virus ovvero operatori sanitari di Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), e determinare se la dinamica nel tempo sia diversa tra i soggetti che in precedenza avevano contratto o meno l’infezione. Metodi. I partecipanti a questo studio sono stati reclutati su base volontaria tra operatori sanitari di 13 RSA presenti sul territorio piemontese. Lo svolgimento di questo studio è stato sottoposto all’autorizzazione da parte dei Comitati Etici delle Aziende Sanitarie coinvolte e successivamente del Comitato Etico dell’Università degli Studi di Torino. Lo studio ha previsto l’esecuzione di tre prelievi ematici per il dosaggio di immunoglobuline IgG specifiche anti SARS-CoV-2 eseguiti in 3 momenti temporali: (t0) prima della vaccinazione, (t1) a due settimane e (t2) a 8 mesi da un ciclo di vaccinazione completo. Il test sierologico, svolto presso il Laboratorio di Sierologia e Microbiologia applicata all’Igiene del Dipartimento di Scienze della Sanità Pubblica e Pediatriche dell’Università degli Studi di Torino, è stato eseguito utilizzando un kit immunoenzimatico (ELISA) per la determinazione di anticorpi diretti contro il dominio S1 della proteina spike di SARS-CoV-2 ricombinante. Il risultato, espresso in Binding Antibody Unit su ml (BAU/ml), deve essere interpretato come <25,6 BAU/ml: negativo, 25,6 - <35,2 UR/ml: borderline, >35,2 UR/ml: positivo. I titoli anticorpali a t0, t1 e t2 di ogni partecipante sono stati confrontati utilizzando il test di Friedman. Per confrontare titoli di operatori precedentemente infettati da SARS-CoV-2 vs operatori senza una precedente infezione nota, è stato condotto il Test di Mann Whitney U. Risultati. In totale sono stati reclutati 192 soggetti, di età compresa tra 22 e 76 anni (media 47.7 anni), di cui 77 con precedente tampone positivo e 115 senza una precedente infezione nota. In totale, a t0 79 soggetti sono risultati positivi (titolo medio 211.5 BAU/ml) e 113 negativi; in seguito a vaccinazione (t1) tutti i 192 soggetti sono risultati positivi (titolo medio 5219.5.2 BAU/ml). Anche a 8 mesi dalla vaccinazione (t2), tutti i 192 soggetti sono risultati positivi (titolo medio 474.6 BAU/ml). Il test di Friedman ha rilevato una differenza statisticamente significativa tra i titoli anticorpali a t0, t1, t2 (p<0.001). Il titolo IgG medio a t2 tra i soggetti precedentemente infettati era 814.4 BAU/ml, mentre per i soggetti senza precedente infezione nota era 216.6 BAU/ml. Confrontando operatori con e senza precedente infezione nota, è stata riscontrata una differenza statisticamente significativa nei titoli medi a t2 (p <0.001 al test di Mann Whitney U). Discussione e Conclusioni. I risultati di questo studio supportano l’efficacia del vaccino Comirnaty in termini di persistente risposta anticorpale a 8 mesi dalla vaccinazione. La differenza riscontrata nei titoli anticorpali mostra valori significativamente più alti negli operatori sanitari che avevano già contratto l’infezione da SARS-CoV-2. L’analisi del decadimento del titolo anticorpale e le sue differenze tra le due categorie di soggetti, insieme all’evidenza di un titolo anticorpale stabilmente più alto negli operatori precedentemente infettati, potrebbe essere un elemento importante da valutare per una eventuale somministrazione della quarta dose di vaccino in alcune categorie di soggetti maggiormente esposti a rischio di contagio.


P70.

Prevalenza di COVID-19 tra i dipendenti dell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale:
due macrocategorie a confronto

P. Cautero 1, L. Chiandetti 1, A. Saramin 1, L. Arnoldo 2,
C.L. Graziani
1, S. Degan 2, F. Bellomo 2, F. Farneti 2, R. Cocconi 2

1Dipartimento di Area Medica, Università degli Studi di Udine;
2SOC Accreditamento Qualità e Rischio Clinico, Azienda Sanitaria
Universitaria Friuli Centrale, Udine

Introduzione. La comparsa del SARS-CoV-2 nel 2019 e la sua successiva diffusione pandemica, dichiarata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il 30 gennaio 2020, hanno messo a dura prova i servizi sanitari regionali, anche a causa della, in parte inevitabile, diffusione tra gli operatori sanitari. Le linee guida dell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale (ASUFC) prevedono che tutti i dipendenti effettuino almeno un tampone di ricerca del SARS-CoV-2 ogni mese; nel caso di dipendenti a contatto con i pazienti questo intervallo si riduce a due o una settimana a seconda del rischio. Questo studio si concentra sulla prevalenza del COVID-19 tra i dipendenti dell’ASUFC, analizzando i vari profili coinvolti al fine di individuare la categoria di dipendenti più colpita da inizio pandemia. Metodi. I dati relativi ai tamponi per la ricerca di SARS-CoV-2 effettuati a tutti i dipendenti dell’ASUFC dal 1° febbraio 2020 al 30 aprile 2022 (25 mesi) sono stati ricavati dal Sistema Integrato COVID, parte del sistema informativo sanitario regionale. I dipendenti sono stati suddivisi in due macrocategorie in base alla presenza di contatto con i pazienti nel corso dell’attività lavorativa: la categoria del personale socio-sanitario, costituita da medici, infermieri, collaboratori professioni sanitari, assistenti sociali e borsisti; e la categoria costituita dal personale tecnico-amministrativo, priva di contatto con i pazienti. Per ogni categoria sono stati calcolati il numero di tamponi totali, di tamponi positivi, di infezioni totali e il numero di operatori che hanno avuto almeno una infezione. È stato effettuato il test del chi-quadrato di indipendenza per esaminare la relazione tra lo svolgere un’attività lavorativa a contatto col paziente e la possibilità di contrarre almeno un’infezione da SARS-CoV-2. Il livello di significatività è stato posto a p<0.05. Risultati. La categoria del personale socio-sanitario è composta da 7.999 dipendenti, mentre la categoria del personale tecnico-amministrativo è formata da 1.182 dipendenti. I dipendenti che hanno effettuato almeno un tampone, nel periodo in considerazione, sono 9.181, dei quali 3.896 sono risultati positivi almeno una volta. Le infezioni totali, considerando anche le reinfezioni, sono 4.606. I tamponi totali effettuati nel periodo esaminato sono 365.216. Di questi il 91.5%, sono stati effettuati sul personale socio-sanitario, mentre il restante 8.5% è stato eseguito sul personale tecnico-amministrativo.

In media, ogni dipendente socio-sanitario ha effettuato 41.8 tamponi, mentre ogni dipendente tecnico-amministrativo ne ha effettuati 26.2. I dipendenti socio-sanitari risultati positivi almeno una volta sono stati 3.500 (il 43.8% della categoria), mentre i dipendenti dell’area tecnico-amministrativa 396 (33.5%). Vi è una differenza significativa nella probabilità di contrarre l’infezione da SARS-CoV-2 tra il personale socio-sanitario rispetto ai dipendenti tecnico-amministrativi (p<.00001). L’associazione positiva tra lo svolgimento di una attività lavorativa a contatto con i pazienti e la possibilità di riscontrare una positività al tampone è ribadita dall’odds-ratio superiore a 1 (OR=1.54, CI 95%). Discussione e Conclusioni. Dai dati si evince che gli operatori sanitari a contatto con i pazienti hanno effettuato un numero maggiore di tamponi per la ricerca di SARS-CoV-2. Verosimilmente, questa differenza è attribuibile alla maggiore cadenza di esecuzione dei tamponi di screening prescritta dalle linee guida aziendali per questa categoria e alla quota di tamponi effettuati per sorveglianza dopo contatti a rischio con pazienti positivi. Inoltre, i dati dimostrano una associazione positiva statisticamente significativa tra lo svolgimento di un’attività lavorativa a contatto con il paziente e la possibilità di contrarre un’infezione da SARS-CoV-2 rispetto all’attività tecnico-amministrativa. In conclusione, questo studio offre spunti di riflessione sulla tematica dell’allocazione delle risorse aziendali destinate allo screening e alla sorveglianza dei dipendenti nell’ottica del principio di preparedness alle prossime emergenze sanitarie.


P71.

Andamento delle segnalazioni “Alert Organism”
in epoca pre-Covid e Covid: dati 2018-2021

F. Rose 1, S. Mazza 2, F. Luciani 3, S. Dodaro 4, C. Fuoco 2,
G. Cristiano
1, F. Greco 4

1Direzione Medica di Presidio Unico, 2Gruppo Operativo del Comitato di
Controllo per le Infezioni Correlate all’Assistenza (CCICA),
3Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive, e Tropicali, 4Unità Operativa Complessa di Microbiologia e Virologia, Ospedale Civile “Annunziata”, Cosenza

Introduzione. La recente pandemia da Sars Cov-2 ha probabilmente determinato un peggioramento del fenomeno della multiresistenza (MDR) per svariati motivi. Tuttavia, solo di recente questo fenomeno è stato segnalato sia in Italia che nel resto d’Europa e del mondo. I dati a disposizione inoltre si riferiscono a periodi di osservazione molto limitati. In questo lavoro abbiamo voluto esaminare le segnalazioni “alert organism” degli ultimi quattro anni (2018-2021) su emocolture per individuarne l’andamento sia quantitativamente che qualitativamente in epoca pre-Covid (2018-2019) e Covid (2020-2021). Metodi. Sono state esaminate tutte le segnalazioni “alert” da emocoltura da vena periferica, pervenute al Gruppo Operativo del CCICA (Comitato per il Controllo delle Infezioni Correlate all’Assistenza) dall’Unità Operativa Complessa di Microbiologia e Virologia, nel periodo 2018-2021, attraverso estrapolazione dal sistema informatico ed esclusione delle colonizzazioni dalle positività reali. I patogeni oggetto di segnalazione sono stati: Stafilococcus aureus meticillino resistente (MRSA), Enterobatteri produttori di beta-lattamasi a spettro esteso (ESBL), Klebsiella pneumoniae produttore di carbapenemasi (KPC), Enterococchi vancomicina resistenti (VRE), Pseudomonas aeruginosa MDR, Acinetobacter baumannii MDR e Clostridioides difficile. Risultati. Le segnalazioni da emocoltura sono state rispettivamente 400 nel biennio pre-Covid e 605 in quello Covid. Riguardo alla eziologia degli “alert” nel biennio pre-Covid abbiamo riscontrato una maggiore percentuale di MRSA, mentre nel biennio Covid il patogeno più frequente è risultata la KPC. È stato inoltre osservato un incremento percentuale di Acinetobacter baumannii MDR soprattutto nel 2021 (con incremento dal 5,1% nel 2018 al 15% nel 2021). L’Escherichia coli (ESBL) infine, ha mantenuto costante la sua percentuale (19,5% nel 2018 - 21% nel 2021). Discussione e Conclusioni. Sulla scorta dei risultati ottenuti dall’analisi dei dati relativi ad un intervallo di tempo abbastanza significativo (2018-2021), possiamo affermare che la pandemia da SARS- CoV-2 si è associata ad un aumento pari al 33% del numero di segnalazioni “alert” da emocolture periferiche, rispetto al biennio pre-Covid. In particolare si è osservata una modifica del tipo di patogeno maggiormente individuato (KPC vs MRSA) durante il biennio Covid, secondaria, a nostro avviso anche al grande uso di antibiotici nelle prime ondate di pandemia, soprattutto tra gli ammalati più compromessi. Questi risultati possono aiutarci a comprendere il nostro comportamento futuro, ricordandoci l’importanza dell’attivazione costante di interventi di prevenzione e controllo delle infezioni ospedaliere anche in epoca pandemica.


P72.

Mortalità di breve e medio periodo dopo ammissione
per Covid-19 in epoca pre-vaccino: studio epidemiologico di confronto con la popolazione generale

M. Milazzo 1, P. Guida 1, A. Linzalone 1, F. Mastroianni 1,
V. Dattoli
1, M. Formoso 1

1Osp. Gen. Reg. E.E. “F. Miulli”, Direzione Sanitaria, Acquaviva delle Fonti

Introduzione. La mortalità dei pazienti ospedalizzati per Covid-19 è stata particolarmente elevata, soprattutto nelle prime due ondate tra il 2020 ed il 2021 prima della campagna vaccinale. Non è noto il pattern di mortalità nel medio periodo anche in confronto alla popolazione generale. Metodi. Tra i 1.238 pazienti ammessi in area Covid-19 dell’Ospedale Generale Regionale “F.Miulli” di Acquaviva delle Fonti, abbiamo valutato 1.212 residenti in Puglia per i quali era possibile rilevare lo stato in vita dopo dimissione mediante Sistema Informativo Regionale. L’Ente ha attivato posti letto dedicati Covid-19 in area medica e terapia intensiva da marzo a giugno 2020 e da ottobre 2020 a maggio 2021. Il follow-up di tutti i pazienti è stato valutato al 31/5/2022 (1.333 anni-persona totali). Per ogni paziente è stato stimato il rischio di morte secondo la probabilità annuale fornita dall’ISTAT per l’anno 2019 stratificando per genere ed età e riproporzionando per la durata del follow-up. Il numero di eventi osservati è stato rapportato al numero di eventi attesi. Risultati. La mortalità è risultata elevata nei primi 30 giorni dall’ammissione: 257 (20.9% stima di Kaplan-Meier) eventi complessivi, di cui 25 (5.3%) tra i 436 pazienti fino a 65 anni, 63 (18.3%) tra i 339 con 65-75 anni e 169 (38.4%) tra i 437 pazienti di oltre 75 anni. Il rischio di morte si è ridotto tra il secondo e sesto mese dall’ammissione con 91 (9.5% dei sopravvissuti a 30 giorni) eventi totali, di cui 12 (2.9%) tra i pazienti fino a 65 anni, 25 (9.1%) tra quelli con 65-75 anni e 54 (20.1%) tra i pazienti più anziani di 75 anni. Dopo i primi sei mesi dall’ammissione, la mortalità assoluta si è ulteriormente ridotta con 31 (6.3% stima di Kaplan-Meier a 24 mesi nei sopravvissuti a 6 mesi) eventi complessivi, 8 (4.1%) tra i pazienti fino a 65 anni, 6 (5.8%) tra quelli con 65-75 anni e 17 (10.8%) tra i pazienti con più di 75 anni. I pazienti hanno mostrato un eccesso di mortalità rispetto alla popolazione generale significativo in tutti i periodi. Valutando il tasso di mortalità standardizzato nei primi 30 giorni, l’eccesso di rischio è risultato di 99 volte nell’intera coorte, 209 volte nei pazienti fino a 65 anni, 168 volte in quelli tra 65 e 75 anni, 80 volte in quelli di almeno 75 anni (tutte le p<0.001). Tra il secondo e sesto mese dall’ammissione, nei pazienti sopravvissuti, l’eccesso di rischio rispetto alla popolazione generale è risultato di 11 volte nell’intera coorte, 22 volte nei pazienti fino a 65 anni, 16 volte in quelli tra 65 e 75 anni, 9 volte in quelli di almeno 75 anni (tutte le p<0.001). Dopo sei mesi, l’eccesso di mortalità complessivo pari a 1.6 volte (p=0.011) risultava prevalentemente dovuto al sottogruppo più giovane. Per i pazienti con meno di 65 anni il rischio è risultato di 5.6 volte (p<0.001) più elevato rispetto alla popolazione generale mentre i due gruppi più anziani mantenevano un profilo di rischio non diverso (1.5 per il gruppo 65-75 e 1.2 per quello di almeno 75 anni; rispettivamente p=0.292 e p=0.483). Discussione e Conclusioni. La mortalità dopo ammissione per Covid-19 è risultata particolarmente elevata nella fase acuta della malattia ed aumentata anche dopo il primo mese. La popolazione più giovane, con inferiore mortalità assoluta rispetto a quella anziana, mantiene un maggiore rischio rispetto alla popolazione generale anche nel medio periodo. L’eccesso di mortalità riscontrato in pazienti ospedalizzati nella fase antecedente la campagna vaccinale, può essere spiegato dagli effetti acuti del Covid-19 e dal profilo di rischio diverso degli ospedalizzati rispetto alla popolazione generale che giustifica la mortalità tardiva.


P73.

L’Ospedale Integrato: modello di gestione dei pazienti Covid+ durante l’endemizzazione della pandemia

M. Milazzo 1, A. Linzalone 1, P. Guida 1, A. Polo 1, V.G. Dattoli 1,
M. Formoso
1

1Osp. Gen. Reg. E.E. “F. Miulli”, Direzione Sanitaria, Acquaviva delle Fonti

Introduzione. Durante le prime due ondate, tra il 2020 ed il 2021, la pandemia da Covid-19 è stata gestita garantendo l’assistenza dei pazienti sintomatici riorganizzando gli ospedali dedicati all’emergenza pandemica mediante spazi e percorsi separati rispetto all’attività ordinaria ridotta, ma garantita. Le strutture hanno organizzato accessi alternativi per ambulanze, pronto soccorso e reparti. Dopo la campagna vaccinale, con il ridursi della letalità della malattia da Covid-19 e del numero di soggetti da ospedalizzare, la gestione della fase di endemizzazione della pandemia ha comportato una riorganizzazione delle attività per garantire la cura al maggior numero di pazienti. Metodi. Durante l’emergenza, l’Ospedale Generale Regionale “F. Miulli” di Acquaviva delle Fonti ha garantito l’assistenza dei pazienti Covid-19, riorganizzando i propri spazi e percorsi secondo la compartimentalizzazione di 6 piani dell’ala nord est dell’Ente con 300 posti letto di area medica, 25 posti di terapia intensiva, percorsi e posti dedicati per stroke, IMA, urgenza chirurgica, sala parto, pronto soccorso e accesso delle ambulanze. Alla fine della seconda ondata, dopo aver assistito 1.238 pazienti Covid-19, le attività ordinarie del nosocomio sono state totalmente riattivate conservando una parte degli spazi e dei percorsi dedicati ai pazienti Covid-19 per una rapida riattivazione. Da febbraio 2022, in piena quarta ondata di infezioni che hanno raggiunto numeri superiori a 200 mila nuovi casi giornalieri e quasi tre milioni di contemporaneamente positivi in Italia, è stato implementato un modello organizzativo, che abbiamo chiamato “ospedale Integrato”, che prevede una o più stanze di isolamento nella quasi totalità dei reparti dell’ospedale destinata esclusivamente all’assistenza dei pazienti infetti (41 posti letto). Per realizzare questo modello sono stati necessari interventi di adeguamento tecnico e tecnologico della struttura e di formazione del personale valorizzando esperienza, formazione, percorsi e procedure già approvate, attivate e sperimentate nella prima fase pandemica. È stato attivato un monitoraggio dei pazienti affetti ricoverati nell’ospedale mediante l’analisi di report quotidiani del laboratorio analisi. Con questo modello integrato, è stato assistito sia il paziente asintomatico o paucisintomatico per Covid-19, ricoverato per altre patologie, che quello affetto da malattia ad evoluzione sintomatica. Le stanze di isolamento, per il ricovero del paziente positivo, sono state posizionate nella parte terminale del corridoio di ogni reparto e sono state dotate di uno spazio antistante, attrezzato per la vestizione, di una zona filtro chiusa da due porte per la svestizione e dotate di videosorveglianza. Per tutti i reparti è stato individuato un “percorso breve” per il trasferimento verso la radiologia, la terapia intensiva o le sale operatorie (dedicate) con bonifica immediata del percorso. Risultati. Dal 3 febbraio al 23 giugno 2022, sono stati ospedalizzati 155 pazienti positivi (64±20 anni; 84 donne), 12 necessitanti di cure intensive o semi-intensive (8%). Il numero totale di giornate di degenza per questi pazienti è stato di 905, prevalentemente in area medica (93%). Durante questo periodo, i posti letto non Covid-19 occupati sono stati il 37% in più rispetto allo stesso periodo del 2020 ed il 13% del 2021. Discussione e Conclusioni. Questo modello innovativo dell’Ente Miulli di gestione integrata delle infezioni da Covid-19 in ospedale ha consentito la cura in sicurezza di tutti i pazienti (negativi e per/con Covid-19) ammessi dopo I’attivazione del progetto. Inoltre, ha permesso un incremento dei posti letto utili ed occupati rispetto alla gestione con percorsi dedicati e separati.


P74.

Covid 19… e ora che si fa? Dalla rilevazione dei fabbisogni organizzativi e formativi alla progettazione del miglioramento per il controllo del rischio infettivo

M. Restifo 4, C. Gastaldo 4, M. Bello 2, B. Innocenti 3,
M. Obert
2, A. Paudice 2, G. Chiozza 1

1Direttore Sanitario Aziendale ASL TO4; 2Direzione Medica di Presidio Ciriè – Lanzo; 3Ospedale S. Luigi Gonzaga, dipartimento di oncologia, Università degli studi di Torino; 4Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina
Preventiva dell’Università degli Studi di Torino

Introduzione. Il periodo pandemico iniziato nel febbraio 2020 ha riportato l’attenzione sulle misure nazionali e internazionali di controllo delle malattie infettive. L’impegno richiesto nella fase pandemica e l’esigenza di condurre le attività ordinarie di prevenzione e controllo accanto a quelle richieste dalla gestione della pandemia fanno emergere oggi il bisogno di una ridefinizione dei sistemi aziendali di prevenzione e controllo delle ICA ed un rafforzamento della formazione per gli operatori. Metodi. Lo strumento per la rilevazione dei fabbisogni organizzativi e formativi e la raccolta di feedback dagli operatori è stato un questionario progettato di concerto con gli infermieri specialisti del rischio infettivo- ISRI. Il questionario contiene 55 item in 3 sezioni a scelta multipla o risposta aperta, volte a esplorare: il sistema documentale sulle ICA, il monitoraggio delle pratiche di prevenzione e controllo, le esigenze formative. Sono analizzate nello specifico le procedure previste come obbligatorie per tutte le Aziende Sanitarie dalla Regione Piemonte. I questionari sono stati somministrati mediante Google Forms al fine di facilitare la raccolta dati e favorire la compliance da parte degli operatori. Risultati. Di seguito gli elementi di rilievo rispetto agli item raccolti. Dalla valutazione della diffusione dei documenti principali per il controllo delle infezioni e la percezione generale del sistema da parte degli operatori. Dai risultati emerge una scarsa copertura, facilmente correggibile mediante la sistematica trasmissione di tali documenti agli interessati. Il 50 % degli operatori ritiene il sistema documentale complessivamente idoneo per il controllo delle infezioni correlate all’assistenza. Molti però affermano che non sempre le procedure sono facilmente reperibili per gli operatori.  Il 63% ritiene che le procedure siano correttamente aggiornate e tutti si dicono tempestivamente aggiornati sulle nuove procedure, anche se è presente un 13% che si ritiene non concorde con il fatto che il contenuto sia chiaro ed un altro 13% non ritiene il contenuto aderente alla propria realtà operativa. Oltre il 75% degli operatori ritiene utile lo sviluppo di procedure specifiche per la propria struttura e tutti ritengono necessario il supporto degli ISRI per la redazione delle stesse ed il coinvolgimento degli operatori nelle procedure. Le procedure per le quali viene dichiarata la minore compliance risultano essere: il reprocessing degli endoscopi, l’utilizzo degli antibiotici a scopo profilattico, lo smaltimento rifiuti. È stato inoltre chiesto ai coordinatori quali tipologie di formazione ritengono necessario implementare con una netta preferenza per la formazione sul campo, (punteggio 4,75), la disponibilità di documenti di sintesi delle procedure (4.5) e di video o informative sul sito intranet (4,3). Discussione e Conclusioni. L’impiego di Google Forms ha reso semplice ed efficace la raccolta di opinioni degli operatori sul sistema documentale delle ICA, sul monitoraggio delle pratiche di prevenzione e controllo, sui bisogni formativi. Le informazioni così raccolte hanno consentito alla Direzione di Presidio di predisporre in maniera informata un piano di miglioramento per il rilancio delle attività di prevenzione dopo il Covid 19, con una definizione delle priorità e degli ambiti di intervento che tiene conto delle esigenze reali degli operatori.




Miscellanea

P75.

Valutazione del rischio biologico per gli operatori sanitari dell’Azienda Ospedali Riuniti di Ancona

G. Marchini 1, A. Lucesoli 2, E. Martini 2, M.M. D’Errico 1

1Dipartimento di Scienze Biomediche e Sanità Pubblica – Unità di Igiene – Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università Politecnica delle Marche;
2SOD Igiene Ospedaliera - Azienda Ospedaliero Universitaria
“Ospedali Riuniti di Ancona”

Introduzione. La valutazione del rischio biologico nelle attività lavorative costituisce un obbligo di legge ai sensi del Decreto Legislativo 81/2008. Nonostante l’esposizione ad agenti biologici potenzialmente pericolosi sia intrinseca all’attività ospedaliera, ad oggi non esistono metodi standardizzati per una sua puntuale valutazione in funzione dei diversi fattori di rischio. L’obiettivo di questo lavoro è l’elaborazione di un metodo di valutazione il più possibile aderente alla realtà ospedaliera e la sua applicazione in un ospedale di terzo livello rappresentato dall’Azienda Ospedaliero-Universitaria “Ospedali Riuniti di Ancona” (AOU). Metodi. Facendo riferimento ad un metodo di valutazione elaborato dall’INAIL nel 2013, specifico per le attività ambulatoriali, sono stati individuati i seguenti fattori che contribuiscono a determinare l’entità del rischio in ambito ospedaliero: -tipologia di attività svolta, con accento sulle procedure a rischio praticate sul paziente (per esempio: medicazione di ferite chirurgiche, procedure endoscopiche, cateterizzazione vescicale, ecc.); -frequenza di pazienti portatori di malattie infettive trasmissibili; -presenza ed applicazione di procedure operative per la prevenzione del rischio; -formazione, informazione e addestramento del personale. Tali fattori sono stati valutati per ognuno dei 75 reparti dell’AOU attraverso l’analisi dei seguenti dati: -risposte ad un questionario somministrato nel 2019; -infortuni a rischio biologico occorsi al personale (registro INAIL); -notifiche di malattie infettive (database aziendale). Tramite la prima parte del questionario sono state analizzate le procedure a rischio effettuate in ogni reparto, suddivise in tre livelli di rischio per l’operatore: alto (procedure invasive con utilizzo di pungenti e taglienti), medio (procedure invasive con elevata possibilità di esposizione a schizzi e/o aerosol) e basso (procedure che occasionalmente causano esposizione da schizzo e/o aerosol). Per ogni reparto è stato quindi calcolato un indicatore numerico attraverso la somma delle procedure eseguite, ognuna pesata per un coefficiente dipendente dal livello di rischio. La seconda parte del questionario si è focalizzata sui seguenti aspetti: -conoscenza e applicazione di procedure e istruzioni operative per la prevenzione e protezione dal rischio biologico; -formazione, informazione e addestramento del personale e di altre figure che frequentano il reparto, quali studenti, volontari e visitatori;  -presenza di pazienti portatori di malattie trasmissibili. Risultati. Il questionario ha fornito un’analisi dettagliata delle caratteristiche delle attività a rischio biologico svolte in ogni reparto, dell’applicazione di procedure operative e del livello di formazione/informazione del personale. Il calcolo dell’indice numerico relativo alle procedure a rischio ha permesso di stratificare i reparti per evidenziare quelli che svolgono il maggior numero di attività che possono esporre il personale ad agenti biologici potenzialmente pericolosi. L’indice numerico è direttamente proporzionale all’entità del rischio. In generale, Terapie intensive, Pronto soccorso e sale operatorie ottengono punteggi più alti ed i servizi i punteggi più bassi. Le risposte al questionario e l’analisi delle notifiche di malattie infettive hanno inoltre permesso di valutare altri fattori che pesano sull’effettivo livello di esposizione, mettendo in luce anche alcune criticità, sia trasversali a tutti i reparti che specifiche di alcuni di essi, che saranno affrontate con azioni correttive di tipo puntuale. Per esempio, la maggioranza dei reparti non mette in atto procedure che permettano la segnalazione da parte dei lavoratori di eventuali criticità sulla sicurezza riscontrate durante lo svolgimento della propria mansione, nei Pronto Soccorso visitatori e tirocinanti non vengono informati riguardo il rischio biologico. Anche i dati infortunistici, che spesso hanno confermato i risultati ottenuti con gli altri indicatori, hanno fatto emergere alcune problematiche che meritano ulteriori approfondimenti. Gli infortuni più spesso segnalati (2017-2021) risultano essere: puntura, taglio, schizzo e contatto con materiale biologico, in particolar modo, nei reparti medici, nelle terapie intensive e nelle sale operatorie. Mentre nelle sale operatorie è più facile prevedere un infortunio da taglio, è sicuramente prevenibile un infortunio dovuto a schizzi o contatto con materiale biologico. Nei reparti medici, un’adeguata procedura preventiva dovrebbe essere in grado di azzerare i rischi dovuti a ciascun tipo di infortunio.  La presenza di portatori di malattie trasmissibili è stata valutata tramite le notifiche di denuncia di malattie infettive. Tra le malattie infettive notificate sono state considerate solo quelle potenzialmente trasmissibili dal paziente all’operatore sanitario (Per esempio, Salmonella, meningite batterica, scabbia, influenza A, eccetera). I reparti con un maggior numero di segnalazioni sono stati i Pronto Soccorso, Pneumologia, Chirurgia plastica, Malattie infettive, Dermatologia e Gastroenterologia. Tuttavia, non tutti i reparti effettuano notifiche, sia per la normale differenza fra la tipologia dei pazienti sia perché generalmente le notifiche sono trasmesse da chi prende in carico il paziente (Pronto Soccorso). Discussione e Conclusioni. I risultati ottenuti hanno fornito un’analisi, dettagliata per reparto, sui fattori di rischio presenti e hanno evidenziato alcune criticità che saranno oggetto di misure correttive specifiche. L’analisi proseguirà attraverso la raccolta di ulteriori dati, ad esempio relativi all’uso di dispositivi di protezione individuale e dispositivi di sicurezza. Inoltre la valutazione del rischio, attualmente dettagliata per reparto, dovrà essere ulteriormente analizzata in funzione della qualifica dell’operatore. Tali aspetti saranno oggetto di un successivo approfondimento di questo lavoro, il cui obiettivo finale è l’elaborazione di un indice numerico per la valutazione del rischio biologico in ambito ospedaliero.


P76.

Epidemiologia delle ospedalizzazioni per aspergillosi nella Regione Veneto

M. Saia 1, L. Salmaso 1, S. Bellio 1, S. Pedron 1, U. Fedeli 1

1Regione Veneto - Azienda Zero

Introduzione. L’aspergillosi è un’infezione opportunistica, prevalentemente a carico del tratto respiratorio inferiore, causata dall’inalazione di spore del fungo filamentoso Aspergillus spp., comunemente presente nell’ambiente e la cui possibilità di sviluppare patologie respiratorie è correlata oltre che alla carica aspergillare allo status immunitario dell’ospite, con una morbosità e mortalità significative nei soggetti immunocompromessi. Per l’ampia diffusione ambientale le spore si riscontrano anche nei reparti ospedalieri con un consistente incremento in occasione di attività di costruzione o ristrutturazione all’interno o nelle aree adiacenti all’ospedale. Allo scopo di fornire un quadro delle ospedalizzazioni per aspergillosi e delle caratteristiche dei pazienti è stato condotto uno studio epidemiologico retrospettivo sulle ospedalizzazioni dei cittadini veneti nel periodo 2000-2021. Metodi. In riferimento al periodo 2000-2021, l’identificazione delle ospedalizzazioni per Aspergillosi è avvenuta utilizzando l’archivio regionale informatizzato anonimizzato delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) selezionando come diagnosi lo specifico codice ICD9CM (117.3 Aspergillosi), sia come diagnosi principale, ovvero la condizione clinica che ha assorbito più risorse nel corso della degenza, che secondaria per valutare l’associazione con altre condizioni in termini di mortalità. I tassi di ospedalizzazione (TO) e mortalità sono stati espressi per 100.000 residenti/anno e per l’associazione tra variabili è stato calcolato l’Odds Ratio (OR). Risultati. Nel periodo considerato si è assistito a 2.571 dimissioni, in media 122 all’anno (range: 72-157), con una degenza media pari a 23,1±25,5 giorni per 59.328 giornate di degenza complessive. Si è evidenziata una netta prevalenza del genere maschile (n. 1.590; 61,8%), senza differenze statisticamente significative nei due generi per età, complessivamente attestatasi a 51,9±21,3 anni, e per degenza media. Non si rileva una differenza significativa neppure per la mortalità intraospedaliera, seppure più elevata nel genere maschile (OR:1,18; IC95%:0,94-1,48; p=0,1367), con un’età media dei deceduti più elevata (60,4±24,5 anni). Dall’analisi condotta si conferma l’associazione tra mortalità e presenza di una patologia neoplastica con un eccesso di mortalità in presenza di tumori solidi (OR:1,71; IC95%:1,37-2,15; p=0,0001) e di neoplasie ematologiche (OR: 1,80; IC95%: 1,30-2,49; p=0,0004) presenti rispettivamente in occasione del 37% e del 11% delle dimissioni; aumentato il rischio di mortalità anche in presenza di entrambe le tipologie di neoplasia, come riscontrato nel 6% del campione (OR: 1,61; IC95%: 1,04-2,50; p=0,0341). Non significativa l’associazione con la diagnosi di HIV presente peraltro solo nell’1,2% delle dimissioni (OR: 1,97; IC95%:0,93-4,17; p=0,0765), mentre la codifica come diagnosi principale dell’aspergillosi, presente nel 37% dei casi, è risultata essere un fattore protettivo in termini di mortalità (OR:0,363; IC95%:0,28-0,48; p=0,0001). Infine, a livello di popolazione i tassi di ospedalizzazione e mortalità intraospedaliera si sono attestati rispettivamente a 2,43 (range: 1,46-3,2) e a 0,36 (range: 0,13-0,67) per 100.000 residenti, risultando più elevati nel genere maschile, ovvero 3,08 Vs. 1,81 e 0,49 Vs. 0,24. Discussione e Conclusioni. Quanto evidenziato, pur considerando i limiti di un’analisi basata esclusivamente sull’archivio delle SDO, ha consentito di fornire un quadro epidemiologico delle ospedalizzazioni per aspergillosi nel Veneto estremamente rilevante in considerazione delle dimensioni dell’archivio stesso, confermando l’eccesso di mortalità in presenza di comorbidità quali le patologie neoplastiche.


P77.

Performance diagnostica di una Real-Time PCR diretta da lavaggio broncoalveolare confrontata con il metodo colturale classico

C. Leli 1, D. Vay 1, L. Ferrara 1, V. Pizzo 1, M.A. Varlotta 1,
A. Rocchetti
1

1SC di Microbiologia e Virologia, Ospedale SS. Antonio e Biagio e C. Arrigo, Alessandria

Introduzione. Tra le infezioni ospedaliere, una delle più frequenti è la polmonite nosocomiale, che viene definita come una infezione polmonare dovuta ad inalazione di microrganismi colonizzanti le vie aeree superiori e l’orofaringe, non in incubazione al momento del ricovero ospedaliero e che si sviluppa almeno 48 ore dopo il ricovero in ospedale, in pazienti affetti da gravi patologie, che non ricevono ventilazione meccanica. Parallelamente, sempre più di frequente negli ospedali si mettono in atto procedure invasive finalizzate a migliorare l’outcome dei pazienti critici. Tra queste la ventilazione invasiva, che permette la sopravvivenza di molti pazienti che altrimenti andrebbero incontro a decesso in breve tempo a causa di sindrome da distress respiratorio dovuto a fenomeni infettivi, metabolici, traumatici od altri. Una complicanza della ventilazione invasiva è lo sviluppo di polmonite associata a ventilazione. Lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare la performance diagnostica di una nuova Real-Time PCR diretta da lavaggio broncoalveolare (BAL), prelevato da pazienti con diagnosi di polmonite, con il metodo colturale classico e l’associazione con lo stato infiammatorio rilevato all’indagine microscopica di una aliquota di BAL previa colorazione di Gram espresso mediante scala semiquantitativa del numero di leucociti polimorfonucleati presenti: da “+” a “++++”. La Real-Time PCR utilizzata permette l’identificazione di 18 batteri (11 Gram-negativi, 4 Gram-positivi e 3 batteri atipici), 7 geni di resistenza antimicrobica, 9 virus e consente la comunicazione del risultato 12-18 ore prima dell’esame colturale. Metodi. Nell’intervallo di tempo Gennaio - Maggio 2022 sono stati processati 33 campioni di BAL mediante esame microscopico, esame colturale classico e Real-Time PCR diretta da campione biologico ed i risultati dell’esame colturale e della Real-Time PCR sono stati confrontati mediante test di McNemar. La concordanza è stata calcolata mediante Kappa di Cohen. La significatività è stata fissata a P≤0,05. Risultati. Dei 33 campioni processati, 16/33 (48,5%) sono stati richiesti dal Reparto di Terapia Intensiva. La Real-Time PCR è risultata positiva in 21/33 (63,6%) campioni, mentre l’esame colturale in 15/33 (45,5%). Tra i 21 positivi alla Real-Time PCR, 3/21 (14,3%) erano Staphylococcus aureus mecA/mecC e SCCmec right extremity junction (MREJ) positivi ed una era Klebsiella pneumoniae OXA-48-like positiva; tali risultati sono stati confermati anche con le tecniche tradizionali. I concordanti positivi sono stati 13/33 (39,4%), i concordanti negativi 10/33 (30,3%), 8/33 (24,2%) campioni sono risultati negativi alla coltura, ma positivi alla Real-Time PCR, mentre 2/33 (6,1%) positivi alla coltura, ma negativi alla Real-Time PCR (una Hafnia alvei ed un Aspergillus fumigatus, non compresi nel pannello di microrganismi identificabili dalla Real-Time PCR). Il confronto non ha mostrato una differenza significativa: P=0,109. Il Kappa di Cohen è risultato essere 0,409, concordanza discreta. Nell’ambito dei 13 concordanti positivi, in 3/13 (23,1%) campioni, La Real-Time PCR ha identificato da 2 a 3 microrganismi in più rispetto alla coltura. La media del valore dello score infiammatorio rilevato per i campioni positivi alla Real-Time PCR è stata di 2,2+, mentre quella dei campioni negativi 1,5+. Discussione e Conclusioni. Il riscontro di un più alto score infiammatorio associato a campioni positivi alla Real-Time PCR, suggerisce come il corretto campionamento del focolaio infettivo rappresenti un fattore essenziale per un utilizzo razionale del test.


P78.

SiChER, sorveglianza infezioni sito chirurgico
in Emilia-Romagna

R. Buttazzi 1, E. Fabbri 1, C. Gagliotti 1, E. Ricchizzi 1, ML. Moro 1

1Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale Emilia-Romagna, Bologna

Introduzione. Le infezioni del sito chirurgico (ISC), sono tra le principali infezioni correlate all’assistenza, rappresentano una delle complicanze più frequenti in chirurgia e si associano ad un aumento significativo della durata di degenza, dei costi e della mortalità attribuibile. Numerosi studi dimostrano come sia possibile ridurre il rischio di ISC, attraverso l’adozione di programmi di intervento che includano la sorveglianza continuativa e il feed-back periodico dei dati ai clinici. Per questi motivi, nel 2005, l’Agenzia Sanitaria e Sociale della Regione Emilia-Romagna ha avviato un progetto per lo sviluppo di un sistema di sorveglianza permanente delle ISC (SIChER). Metodi. SIChER si basa sul protocollo europeo di Sorveglianza delle ISC (HAI-SSI), definito e aggiornato dall’ECDC (European Centre for Diseases Prevention and Control), che utilizza la classificazione delle procedure in categorie di intervento proposta dall’NHSN (National Healthcare Safety Network) statunitense. Obiettivi di questo sistema di sorveglianza sono: ridurre la frequenza delle ISC; adottare criteri standardizzati per la diagnosi e per il calcolo dei tassi di infezione tenendo conto delle caratteristiche dei pazienti inclusi; fornire risultati che permettano il confronto tra centri. Dopo una lunga sperimentazione, nel 2017, la sorveglianza è confluita nel Sistema informativo Politiche per la salute e politiche sociali (SISEPS) della Regione Emilia-Romagna per consentire il collegamento con gli altri flussi informativi regionali e migliorare la qualità dei dati raccolti e le possibilità di analisi; la partecipazione a SIChER è stata inoltre allargata agli ospedali privati accreditati. È stato infine sviluppato un algoritmo che, avvalendosi del linkage con altri flussi correnti (SDO, Laboratorio e PS), ha consentito di identificare e segnalare alle aziende sanitarie i casi possibili di ISC non segnalate per validazione. Risultati. Nei primi anni di sperimentazione di SIChER la copertura del sistema era inferiore al 10% (es. 8% nel 2010); dopo l’integrazione della sorveglianza in SISEPS la rappresentatività è progressivamente aumentata, con una copertura calcolata sugli interventi effettuati negli ospedali pubblici che ha raggiunto il 62% nel 2017 e il 77% nel 2020. Tra gli altri segnali di miglioramento della qualità dei dati raccolti è importante evidenziare l’aumento della percentuale di procedure con sorveglianza post-dimissione che ha raggiunto il 58% nel 2020 (era stata 53% nel 2010). Per il 2020 sono inoltre state segnalate alle aziende sanitarie 362 infezioni probabili di cui la metà sono state poi validate dai referenti locali della sorveglianza. L’ultimo report pubblicato (dati SIChER 2020) mette infine in evidenza i progressi in termini di numerosità degli interventi sorvegliati (110.926 procedure appartenenti a 41 categorie chirurgiche, con un rischio complessivo di infezione pari a 1,2%) rispetto al passato. Discussione e Conclusioni. La reingegnerizzazione di SIChER e il ricorso sistematico all’algoritmo per indentificare le ISC non segnalate hanno determinato un incremento notevole della rappresentatività del sistema in ambito regionale e dell’accuratezza dei dati raccolti. Questi risultati sottolineano l’importanza di sostenere le attività messe in campo a livello regionale e locale per consentire il mantenimento dei risultati finora ottenuti e per migliorare ulteriormente la performance della sorveglianza delle ISC in Emilia-Romagna.


P79.

Andamento delle segnalazioni Incident Reporting riguardanti l’Infection Prevention Control durante
la pandemia da SARS-CoV-2 nell’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale

L. Chiandetti 1, P. Cautero 1, L. Arnoldo 2, L. Cella 1, C.L. Graziani 1, S. Degan 2, F. Bellomo 2, F. Farneti 2, R. Cocconi 2

1Dipartimento di Area Medica, Università degli Studi di Udine, Udine;

2SOC Accreditamento, Qualità e Rischio Clinico, Azienda Sanitaria
Universitaria Friuli Centrale, Udine

Introduzione. Il SARS-CoV-2 è emerso in Cina nel dicembre 2019 e l’organizzazione Mondiale della Sanità ha dichiarato ufficialmente il 30 gennaio 2020 l’emergenza sanitaria mondiale. La rapida diffusione del SARS-CoV-2 ha messo in grande difficoltà le organizzazioni sanitarie, sia in termini di risorse che di impegno per il personale coinvolto. Basti pensare che nel solo Friuli-Venezia Giulia, al 30 giugno 2022, i casi totali sono stati 401.396 mentre i decessi 5.154. L’Azienda Sanitaria Universitaria Friuli Centrale raccoglie sistematicamente le segnalazioni di Incident Reporting (IR) provenienti dalle strutture del suo territorio nell’ottica di garantire un miglioramento continuo della qualità. Le segnalazioni pervenute vengono quotidianamente analizzate e capitolate dal Gruppo Gestione del Rischio Clinico. Dal 1° gennaio 2020 inoltre le segnalazioni possono essere qualificate come COVID-19 related se l’evento in oggetto è correlato all’attuale situazione pandemica. Scopo di questo studio è valutare l’impatto della pandemia sulle segnalazioni IR, in particolare su quelle riguardanti l’Inosservanza delle Procedure di Infection Prevention Control (IPIPC). Metodi. In questo studio sono state analizzate tutte le segnalazioni provenienti dal territorio dell’ex Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Udine suddividendole in due periodi: uno pre-pandemico (T0) e uno pandemico (T1). Il primo è compreso tra il 1° gennaio 2019 (data dell’informatizzazione del sistema di IR aziendale) e il 9 marzo 2020; il secondo tra il 10 marzo 2020 (data dell’inizio del lockdown nazionale) e il 30 giugno 2022. Le segnalazioni sono quindi state confrontate per numerosità, tasso (utilizzando come denominatore il numero cumulativo dei giorni di degenza nei due periodi) e livello di esito. È stato inoltre analizzato il numero delle segnalazioni COVID-19 related per i due periodi. Per confrontare i dati è stato utilizzato il test del chi-quadrato di indipendenza. Il livello di significatività è stato posto a p<0.05. Risultati. Le segnalazioni totali nel periodo osservato sono state 3.649, di cui 1.603 in T0 e 2.046 in T1. In media sono quindi pervenute 3,7 segnalazioni ogni giorno nel T0 e 2,4 in T1. Il numero cumulativo delle giornate di degenza è di 435.567 in T0 (in media 367.163,9 annuali) e di 747.263 in T1 (in media 323.932,3 annuali). In media, è pervenuta una segnalazione ogni 271,7 giorni di degenza in T0 e una ogni 365,2 giorni in T1. Il numero di IPIPC totali è di 195. Il numero di queste è significativamente aumentato: da 41 in T0 (2,6% del totale del periodo) a 154 in T1 (7,5%) (p<0.001). Questo aumento è attribuibile alle segnalazioni COVID-19 related: il numero di queste è passato da 3 in T0 (7,3% sul totale IPIPC del periodo) a 127 in T1 (82,5%) (p<0.001). Il numero di segnalazioni IPIPC non COVID-19 related risulta essere diminuito da T0 (38; 92,7%) rispetto a T1 (27; 17,5%). In T0 il numero di segnalazioni IPIPC di eventi che hanno comportato un danno al paziente è 4 (9,8%), mentre in T1 è 19 (12,3%) (p>0.05). Discussione e Conclusioni. Il numero di segnalazioni risulta essere diminuito nel periodo pandemico. Questo calo è presente anche tenendo in considerazione la diminuzione del numero di giornate di degenza durante la pandemia. Le segnalazioni IPIPC sono aumentate significativamente durante la pandemia; tale aumento è attribuibile alle segnalazioni COVID-19 related. È stato osservato quindi come le segnalazioni IPIPC non COVID-19 related abbiano subito una diminuzione. Infine, durante la pandemia, non si è osservata un aumento statisticamente significativo riguardo il livello di esito delle segnalazioni IPIPC. La pandemia da SARS-CoV-2 ha determinato un impatto su molteplici aspetti della pratica sanitaria, tra cui le segnalazioni IR. Questo impatto si è estrinsecato non solo sull’alterazione di questo flusso informativo, ma anche sulla pratica quotidiana del Risk Management e Assessment. Questo studio evidenzia come le conseguenze delle situazioni emergenziali vadano attentamente valutate alla luce degli effetti sui vari aspetti dell’attività sanitaria, anche quelli all’apparenza meno inerenti.