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A cura di Giulia De Angelis, Silvia Zelli


Pseudomonas aeruginosa: il killer emergente

Pseudomonas aeruginosa appartiene alla famiglia dei gammaprotobatteri, è un patogeno gram negativo opportunista che colpisce soprattutto individui immunocompromessi. Per tale ragione è il principale responsabile di infezioni nosocomiali e, ad oggi, risulta essere tra i microrganismi più temuti. La sua virulenza è data, in parte, dalla sua capacità di sviluppare resistenza agli antibiotici più comunemente usati.

Negli USA il 10-30% degli isolati di Pseudomonas aeruginosa sono resistenti ai carbapenemi, mentre a livello mondiale la percentuale cambia considerevolmente. La resistenza ai carbapenemi mediata dalla carbapenemasi in Pseudomonas aeruginosa costituisce una minaccia significativa poichè limita notevolmente la scelta delle strategie antibiotiche. Le carbapenemasi presenti in Pseudomonas aeruginosa sono di diversi tipi, includono le beta-lattamasi di classe A, KPC e GES; metallo-beta-lattamasi IMP, NDM, SPM e VIM; e gli enzimi di classe D, OXA-48.

Gli autori di questo articolo esaminano le strategie di test disponibili per rilevare in maniera efficace e il più rapida possibile Pseudomonas aeruginosa, come il metodo modificato di inattivazione dei carbapenemi (mCIM) o il test carbaNP. Questi test indicano se nell’isolato è presente o meno una carbapenemasi, senza entrare nel dettaglio sul tipo di carbapenemasi (cioè una serina rispetto alla metallo-beta-lattamasi). Tuttavia, l’esecuzione di un secondo test mCIM in presenza di EDTA (ovvero il test eCIM), che non inibisce le carbapenemasi seriniche, può discriminare tra le due classi e fornire quindi un’informazione chiave per guidare la terapia più appropriata.

In alternativa possono essere utilizzati test genotipici, PCR o test immunocromatografici, per identificare le classi specifiche di carbapenemasi presenti, al fine di evitare terapie empiriche, spesso poco risolutive. Questa è la chiave per l’inizio di un trattamento precoce e adeguato al paziente e contro un abuso di antibiotici che induce la riduzione dell’efficacia del farmaco nel trattamento della malattia.

Tenover FC, Nicolau DP, Gill CM. Carbapenemase-producing Pseudomonas aeruginosa: an emerging challenge. Emerg Microbes Infect 2022; 11: 811-4.


“Prevenire è meglio che curare”: focus sulle infezioni neonatali

Le infezioni associate ai luoghi di cura (ICA) rappresentano la principale fonte di infezioni nell’assistenza sanitaria neonatale mondiale (2,8 milioni di infezioni all’anno e fino a 680.000 decessi associati).

Le cause delle ICA sono derivanti sia dal naturale iposviluppo del sistema immunitario e della barriera cutanea, ma anche fattori legati all’ospedalizzazione, tra cui l’uso frequente di dispositivi medici invasivi, la trasmissione di microrganismi attraverso il contatto delle persone (ad esempio, familiari e operatori sanitari), la contaminazione dell’ambiente e delle attrezzature ospedaliere (ad esempio, superfici, dispositivi, farmaci, alimenti). La maggior parte di esse è prevenibile attraverso le pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni (PCI). Tuttavia, le conoscenze su come implementare efficacemente le pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni in ambito neonatale sono ancora poche.

Il presente lavoro mira a fornire una panoramica dei fattori più rilevanti che influenzano l’applicazione dei programmi PCI in neonatologia. La review è stata condotta su PubMed, MEDLINE e CINAHL e ha utilizzato un’analisi qualitativa deduttiva di 25 studi scientifici. I risultati mostrano che una delle maggiori sfide per l’applicazione delle pratiche PCI è la mancanza di organizzazione e/o la carenza del personale e gli elevati carichi di lavoro. Inoltre, anche le complicazioni derivanti dalla comunicazione e dalla leadership influiscono sul successo dei programmi di PCI. Questa review fornisce una panoramica sui fattori che attualmente limitano l’applicazione dei programmi di PCI in neonatologia e suggerisce che per una buona gestione dei neonati è necessaria un’implementazione coordinata da professionisti della pratica clinica, della ricerca clinica e del management.

Nyantakyi E, Caci L, Castro M, et al. Implementation of infection prevention and control for hospitalized neonates: a narrative review. Clin Microbiol Infect 2022; S1198-743X(22)00 574-2.


Trattamenti antibiotici empirici in pazienti settici

La sepsi è una patologia “tempo-dipendente”, il cui esito clinico dipende dalla rapidità del riconoscimento e dall’efficacia della gestione clinica a partire dalla prima ora.

Secondo le attuali linee guida, dettate della Surviving Sepsis Campaign (SSC), un’associazione che comprende l’European Society of Intensive Care Medicine (ESICM) e la Society of Critical Care Medicine (SCCM), la somministrazione precoce di antibiotici riduce la mortalità ospedaliera.

La terapia empirica è basata sull’uso di antibiotici ad ampio spettro, ma il loro uso eccessivo induce un’elevata probabilità di far sviluppare al microrganismo meccanismi di resistenza antibiotica, aumentando il rischio di eventi avversi.

In questo studio si è valutato l’impatto della terapia antibiotica empirica in pazienti del pronto soccorso con emocolture positive per diverse specie microbiche di importante interesse clinico, quali Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Pseudomonas aeruginosa. Lo studio è stato condotto esaminando la sensibilità antimicrobica complessiva (OAS), ovvero la percentuale di patogeni sensibili a un regime antibiotico, che costituisce un metodo comunemente usato per diffondere i dati sulla sensibilità antimicrobica (in altre parole, il cosiddetto “antibiogramma cumulativo”). I pazienti sono stati separati in due gruppi, cioè quelli trattati empiricamente con antibiotici corrispondenti ad un valore soglia di OAS al di sopra o al di sotto del 70%. È stato dimostrato che i pazienti con OAS superiore al 70%, hanno tempi di ricovero in terapia intensiva inferiore a 30 giorni ed una migliore sopravvivenza. I pazienti che ricevono terapia empirica con OAS ≥ 90% hanno mostrato un livello di mortalità ancora inferiore.

Il presente studio risulta avere delle limitazioni che riguardano la coorte di pazienti inclusi e la valutazione di antibiogrammi cumulativi, che differiscono in ogni struttura ospedaliera. Pertanto, risulta difficile poterne generalizzare i risultati. Nonostante ciò, i risultati dello studio sottolineano l’importanza per i clinici di individuare la terapia empirica più idonea ed efficace per la gestione del paziente settico nei tempi più rapidi possibili.

Chang CM, Hsieh MS, Yang CJ, How CK, Chen PC, Meng YH. Effects of empiric antibiotic treatment based on hospital cumulative antibiograms in patients with bacteraemic sepsis: a retrospective cohort study. Clin Microbiol Infect 2023; S1198-743X(23) 00005-8.


L’impatto della pandemia da Covid-19 sulla resistenza antimicrobica (AMR)

L’incertezza diagnostica nei pazienti Covid-19 con malattie respiratorie e a rischio di confezione o superinfezione batterica ha contribuito all’uso eccessivo e inappropriato di antibiotici e all’aggravamento dell’incidenza di batteri antibiotico-resistenti.

È stato stimato che più del 60% dei pazienti Covid-19 ha avuto un’infezione da un microrganismo multiresistente. I dati dei Centers for Disease Control and Prevention americani suggeriscono che la pandemia ha provocato un aumento dei tassi di AMR, tra cui Acinetobacter resistente ai carbapenemi e Enterobacterales produttore di beta-lattamasi a spettro esteso.

Nel presente lavoro viene esaminato l’impatto della pandemia di Covid-19 sulla resistenza antimicrobica in tutti i contesti sanitari, attraverso una revisione sistemica e una metanalisi nel database dell’OMS, da gennaio 2019 a dicembre 2021.

Dai 6.036 studi esaminati è emerso che la pandemia di Covid-19 non è stata associata a un cambiamento della densità di incidenza nei pazienti con infezioni da Staphylococcus aureus resistente alla meticillina o enterococchi resistenti alla vancomicina (risk ratio 0,91, 95% CI: 0,55-1,49). Diversamente è stato osservato un aumento, non statisticamente significativo, per i microrganismi gram-negativi resistenti (ad es. beta-lattamasi a spettro esteso, Enterobacterales resistente ai carbapenemi, Pseudomonas aeruginosa o Acinetobacter baumannii resistente a più farmaci o resistente ai carbapenemi (risk ratio 1,08, 95% CI: 0;91-1,29).

L’apparente aumento dell’incidenza di AMR nei batteri gram-negativi, ma non nei batteri gram-positivi, suggerisce che la prescrizione di antibiotici abbia svolto un ruolo importante, dato l’elevato uso di inibitori delle beta-lattamasi e di cefalosporine di terza generazione nei pazienti con Covid-19.

Con questo studio si è voluta sottolineare l’importanza delle misure di prevenzione e della sorveglianza antimicrobica in un contesto, l’ambiente ospedaliero, in cui il Covid-19 induce la trasmissione di agenti patogeni sempre più resistenti.

Langford BJ, Soucy JR, Leung V, et al. Antibiotic resistance associated with the COVID-19 pandemic: a systematic review and meta-analysis. Clin Microbiol Infect 2022; S1198-743X(22) 00610-3.


Candida auris: un patogeno emergente, minaccia per la salute pubblica

Ad oggi, le infezioni fungine colpiscono milioni di persone in tutto il mondo. Diverse specie appartenenti a Candida spp. sono comunemente presenti sulla pelle, cavità orale, tratto gastrointestinale e urogenitale di individui sani. Tuttavia, alcuni fattori, come la somministrazione di antibiotici e l’immunodepressione, possono indurre un cambiamento di Candida da commensale a patogeno.

Al genere Candida appartengono più di 150 specie, ma solo 5 sono responsabili di candidemie: Candida albicans (65,3%), Candida glabrata (11,3%), Candida tropicalis (7,2%), Candida krusei (2,4%), e Candida parapsilosis (6%).

Candida auris (C. auris) è un nuovo lievito emergente, è un patogeno preoccupante perché si associa a un alto tasso di incidenza e prevalenza, anche nell’ambiente nosocomiale. La difficile identificazione, le differenze fenotipiche e il facile adattamento a condizioni stressanti sono caratteristiche di C. auris.

Le candidemie causate da C. auris sono già state segnalate da più di 30 Paesi e sono associate a tassi di mortalità elevati. Questo è il risultato della rapida trasmissione e della difficoltà di prevenzione, controllo ed eradicazione. Secondo diversi studi, i principali fattori di rischio per infezioni da C. auris sono la chirurgia addominale, il ricovero in terapia intensiva, il diabete mellito, la presenza di un catetere venoso centrale e la precedente esposizione a terapia antibiotica. Inoltre, sono stati riportati diversi fattori legati all’elevata virulenza di C. auris, come la multi-resistenza ai farmaci, lo sviluppo di biofilm e la capacità di sfuggire alla risposta del sistema immunitario innato.

Le infezioni da C. auris rappresentano quindi un problema serio e allarmante, non solo per l’elevata patogenicità dell’agente fungino ma anche per la scarsa efficacia dei trattamenti antimicotici disponibili. Recenti studi hanno infatti dimostrato che il 90% dei ceppi ci C. auris è resistente al fluconazolo, il 35% all’amfotericina B e il 7% alle echinocandine. L’ipotesi è che queste resistenze siano state acquisite recentemente come risposta a cambiamenti ambientali, tra cui l’aumento dell’uso degli antimicotici nei settori clinico e agricolo.

Sebbene siano state sviluppate nuove formulazioni con potere terapeutico contro i ceppi di C. auris (che includono peptidi e nanoparticelle), una migliore comprensione dei meccanismi di resistenza è essenziale per trattare, prevenire e controllare in modo efficiente le infezioni dagli stessi provocate.

Fernandes L, Ribeiro R, Henriques M, Rodrigues ME. Candida auris, a singular emergent pathogenic yeast: its resistance and new therapeutic alternatives. Eur J Clin Microbiol Infect Dis 2022; 41: 1371-85.