La pronazione in terapia intensiva durante
la pandemia di SARS-CoV-2: quali sono i rischi
per il personale sanitario?

Prone positioning in the intensive care unit during SARS-CoV-2 pandemic:
how dangerous was this procedure for the ICU staff?



Bruno Balicco

Anestesista rianimatore


Riassunto. Durante la pandemia di SARS-CoV-2 sono aumentati in modo esponenziale i ricoveri in terapia intensiva (ICU) per gravissime insufficienze respiratorie con quadro tomografico toracico di sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS) estremo. A causa di ciò è aumentato il numero di pazienti che sono stati sottoposti a ventilazione meccanica in posizione prona. Se questa manovra ha favorito una diminuzione della mortalità, ha tuttavia sollevato una serie di problemi che possiamo ricondurre a tre fattori. Il primo è la criticità della manovra, che necessita di un numero di infermieri molto alto (almeno 4 oltre al rianimatore) con un rischio di diffusione di virus molto elevato; il secondo è l’aumentato rischio di decubiti; il terzo l’assoluta certezza di eseguire la manovra in condizione di sicurezza estrema, che passa dalla migliore tecnica di esecuzione della medesima all’utilizzo di DPI che non lascino scoperto alcun distretto degli operatori. In questa disamina ripasseremo i fondamenti della fisiologia respiratoria durante la ventilazione in posizione prona, la tecnica che permette di ridurre i rischi per il paziente, ma soprattutto per gli operatori, e le complicanze dell’utilizzo prolungato della posizione prona in pazienti intubati in ventilazione meccanica.

Parole chiave. SARS-CoV- 2, pronazione, rischio trasmissione infezione al personale delle ICU.


Summary. ICU admissions for severe respiratory failure presenting with CT-scan features of severe ARDS increased exponentially during SARS-CoV-2 pandemic. The number of mechanically ventilated patients treated with prone-positioning protocols increased accordingly. The prone positioning procedure has decreased mortality, but it has raised several problems. First, it is a complex procedure, which requires the presence of at least 4 nurses besides the intensivist, with a very high risk of viral transmission. Second, the risk of developing pressure ulcers is increased. Third, it is absolutely necessary that the procedure is performed following strict safety rules. The best technique calls for use of individual protection devices which entirely cover the operators involved in the procedure. The following article is not only addressed to ICU care givers. It will review the basic principles of respiratory physiology during mechanical ventilation in the prone position, how to perform the procedure minimizing risks for both patient and care givers, and the complications due to prolonged prone position in intubated mechanically ventilated patients.

Key words. SARS-CoV-2, prone positioning, infection transmission risk for ICU personnel.


LEGENDA

ARDS: Sindrome da distress respiratorio acuto

FiO2: Frazione inspirata di ossigeno

ICU: Unità di Terapia Intensiva

PaO2: Pressione parziale arteriosa di ossigeno nel sangue

PEEP: Ventilazione meccanica con pressione positiva di fine espirazione

PP: Ventilazione meccanica in posizione prona

PS: Ventilazione meccanica in posizione supina

Pressione pleurica: Pressione esistente fra i 2 foglietti pleurici mediamente negativa di 4-5 mmHg rispetto alla pressione atmosferica. La negatività varia nel paziente supino o prono in virtù della compressione e si crea così un gradiente di negatività definito verticale

Pressione transpolmonare: Termine utilizzato in ventilazione meccanica e definita come differenza fra pressione interna all’alveolo (corrispondente alla pressione di plateau del ventilatore) e la pressione all’esterno dell’alveolo corrispondente alla pressione pleurica

Shunt: Porzione del fluso ematico polmonare che bypassa gli alveoli o perfonde alveoli non ventilati e non partecipa comunque agli scambi gassosi

Strain stress: Sforzo da tensione

Volume corrente: Quantità di aria che viene mobilizzata con ciascun atto respiratorio non forzato



Premesso che la posizione prona nei pazienti affetti da SARS-CoV-2 ha effetti benefici sull’ossigenazione anche in quelli meno gravi, sia in respiro spontaneo sia in ventilazione a pressione positiva continua (CPAP),1,2 in questo lavoro analizzeremo solo i problemi della pronazione sui pazienti in terapia intensiva (ICU) in ventilazione meccanica, quindi intubati e sedati, per i quali la pronazione deve essere eseguita senza l’aiuto del paziente medesimo.

Il virus Covid-19 può causare polmonite interstiziale che nel 17% dei casi si trasforma in sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS):3 la ARDS si definisce come una presentazione clinica caratterizzata da grave ipossiemia non cardiaca, edema, infiltrati interstiziali bilaterali alla diagnostica per immagini, diminuzione della compliance polmonare, aumento del lavoro respiratorio. Questo quadro solitamente è correlato a sepsi, polmonite, aspirazione o trauma grave.

I pazienti con grave ARDS necessitano di ventilazione meccanica con pressione positiva di fine espirazione (PEEP).

Perché si è pensato che la pronazione nei pazienti con insufficienza respiratoria grave aggiungesse prospettive di miglioramento dell’outcome?

Questa tecnica è stata utilizzata a partire dalla metà degli anni 70,4 ma con risultati che non hanno dimostrato, a fronte di chiare evidenze fisiopatologiche, una diminuzione della mortalità.

Solo nel 2013 lo studio PROSEFA di Guerin5 ha dimostrato una netta diminuzione della mortalità. Questo studio, condotto in doppio cieco su circa 600 pazienti, ha fatto rilevare a 28 gg una mortalità del 16% nel gruppo pronato rispetto al 32,8% nel gruppo dei pazienti in posizione supina. Il pregio di questo lavoro è stato di aver stabilito quali pazienti potessero giovarsi della pronazione: tutti i pazienti arruolati avevano una ipossiemia gravissima (PaO2/FiO2 <150 mmHg), una FiO2 >0,6, un volume corrente di 6 ml/kg ed una PEEP superiore a 5 cm H20. Da allora la manovra di pronazione dei pazienti con ARDS grave si è diffusa in tutte le ICU, ma durante la pandemia SARS-CoV-2 è divenuta manovra di routine.

Analizziamo brevemente il razionale fisiopatologico di questa posizione, segnalando contestualmente per chi volesse approfondire l’argomento l’articolo di Guerin, Gattinoni et al6 del dicembre 2020.

Due sono i vantaggi fisiopatologici che sono indiscutibilmente in gioco passando dalla ventilazione meccanica classica supina (PS) alla posizione prona (PP): il primo è un miglioramento importante dell’ossigenazione del sangue arterioso ed il secondo è una diminuzione dello stress da stiramento sulle strutture parenchimali con lesione delle medesime (strain stress), indissolubilmente legato alla ventilazione a pressione positiva che, come sappiamo, è antifisiologica. Questo stress è tanto più elevato quanto maggiore è la pressione che siamo costretti ad utilizzare per ventilare un paziente.

Il miglioramento dell’ossigenazione si ottiene attraverso diversi e complessi meccanismi. Rispetto alla posizione supina, il posizionamento dei pazienti in posizione prona determina una distribuzione del volume corrente più uniforme: ciò si ottiene da un lato invertendo il gradiente di pressione pleurica verticale, che diventa più negativo nelle regioni dorsali, dall’altro migliorando anche il volume polmonare a riposo nelle regioni dorsocaudali, con la riduzione della pressione sovrapposta sia del cuore che dell’addome. Al contrario, la perfusione polmonare rimane distribuita preferenzialmente alle regioni polmonari dorsali, migliorando così le relazioni ventilazione/perfusione alveolari complessive.

Semplificando; la posizione prona migliora il rapporto Ventilazione/Perfusione perché vengono perfusi alveoli che erano chiusi in posizione supina e quindi riduce lo shunt. Questo è il razionale anche dell’altro evento positivo che osserviamo nella ventilazione in posizione prona e cioè la diminuzione della PaCO2.

Il secondo obiettivo che ci proponiamo di ottenere con la posizione prona è di ridurre lo sforzo da tensione (strain stress). Quando posizioniamo il paziente in posizione prona si riduce la pressione transpolmonare che unitamente al miglioramento dell’ossigenazione ci permette di reimpostare il ventilatore diminuendo le pressioni necessarie a reclutare gli alveoli. Ne deriva che viene ventilato più “dolcemente” il parenchima, diminuendo il danno dovuto allo stiramento delle strutture parenchimali.

Un importante quesito che si pone è quello di definire per quanto tempo deve essere mantenuto il paziente in posizione prona. Prima della pandemia COVID-19 tutti gli intensivisti si attenevano ai dati della letteratura che consigliavano di mantenere prono il paziente per un massimo di 16-18 ore e di ritornare alla posizione supina per le restanti ore della giornata.

Come vedremo, la manovra di pronazione e risupinazione comporta uno stress ed un rischio per il team che deve eseguire la manovra. Durante la pandemia i posti letto di ICU che ospitavano pazienti COVID-19 in ARDS sono aumentati in maniera drammatica e quindi si è provato a prolungare il tempo di mantenimento del paziente in posizione prona. Si è arrivati a tenere il paziente pronato anche per 36 ore ed oltre e, sorprendentemente, si è visto in questi pazienti un miglioramento del risultato senza aumento delle complicanze 14.

Ma si ottengono tanti benefici senza pagare prezzo? Ovviamente la risposta è no perché esistono controindicazioni e rischi legati alla posizione prona.

L’unica vera controindicazione assoluta della PP è la frattura cervicale o il paziente polifratturato, ma esistono anche controindicazioni relative, fra cui la più importante è l’instabilità emodinamica grave.

Anche se non esistono controindicazioni, pronare il paziente espone comunque sia quest’ultimo che il team di operatori a rischi severi.

Per il paziente la posizione prona espone ai seguenti rischi:

1. esigenza di aumentare le dosi di sedativi e bloccanti muscolari;

2. aumento del rischio di estubazione accidentale e di malposizionamento o ostruzione del tubo;

3. aumento del rischio di perdita di dispositivi medici quali: sondino nasogastrico, accessi venosi centrali ed altri presidi;

4. rischi di lesioni del plesso brachiale e di segmenti scheletrici;

5. aumento del ristagno gastrico con necessità di ridurre la nutrizione enterale;

6. aumento del rischio di piaghe da decubito ed ulcere da pressione soprattutto al volto;

7. rischio di lesioni corneali;

8. rischio di lesioni alla colonna cervicale.

La letteratura al proposito è vasta: mi limito a citare alcuni lavori.3,7,8,9 

La più frequente complicanza della posizione prona è la comparsa di piaghe ed ulcere da decubito localizzate soprattutto al volto, ma non solo. Il volto è inevitabilmente compresso dalla posizione prona e inoltre edematoso per l’ostacolo al ritorno venoso della regione della testa. Molti sono gli accorgimenti posti in essere per ridurre queste lesioni,7-10 tuttavia ciò non è stato sufficiente ad evitare che molti pazienti subissero serie conseguenze.

Veniamo ora ad un punto critico e cioè alle difficoltà delle procedure assistenziali ed al rischio di diffusione dell’infezione per gli operatori.

Molto è stato scritto su quale sia la tecnica migliore e più sicura per eseguire la manovra di pronazione e poi di risupinazione,6-10-11 ma in pratica ogni team in base alle proprie risorse ed alla propria esperienza ha messo a punto un proprio protocollo. Il punto fermo di ciascun protocollo è l’attenzione a non eseguire manovre che siano dannose per il paziente e per chi lo assiste. Il numero di operatori coinvolti varia a seconda dei protocolli da un numero minimo di 5 (4 infermieri, 2 ad ogni lato del paziente, e un rianimatore al quale è affidato il compito della rotazione della testa e di assicurare la sicurezza dei dispositivi medici), ad altri protocolli che in ospedali con maggiori risorse riportano la manovra eseguita anche da 7 operatori.10

Già nella metà degli anni ‘90 sono stati costruiti letti che si giravano automaticamente,12 ma il costo e la relativa necessità di pronare i pazienti hanno sconsigliato di intraprendere questa strada.

I punti salienti da rispettare, comunque presenti nei vari protocolli, sono i seguenti.

a. Fase preparatoria:

– valutare la necessità di un aumento della sedazione e di una eventuale curarizzazione;

– verificare la tenuta degli ancoraggi dei vari dispositivi ed in particolare del tubo endotracheale,

– verificare la lunghezza dei vari drenaggi, accessi vascolari e presidi vari per permettere la manovra di rotazione,

– garantire la protezione oculare con pomate oftalmiche e chiusura degli occhi con cerotti o occhiali ad hoc,

– svuotare lo stomaco, aspirare le secrezioni di rino ed orofaringe,

– preparare i supporti da posizionare sotto il bacino, la testa ed il torace,

– staccare i monitoraggi e le infusioni.

b. Manovra di pronazione:

– mentre un operatore solleva la testa del paziente e controlla tubo o cannula tracheostomica, il paziente viene spostato al bordo del letto controlateralmente al senso di rotazione, mantenendo le braccia lungo il corpo,

– il paziente viene ruotato sul fianco verso il centro del letto,

– viene sollevato il tronco ed il bacino per consentire il passaggio del braccio,

– viene completata la rotazione,

– infine vengono posizionati gli arti superiori verso l’alto facendo attenzione alla rotazione della spalla per evitare lussazione o stiramento dei plessi.

c. A manovra avvenuta:

– il bacino ed il torace vengono sollevati posizionando cuscini o presidi ad hoc;

– viene posizionata la testa su di un lato ricordandosi di invertire il lato dopo 3-4 ore;

– si verifica che gli occhi siano ben protetti, altrettanto per i genitali dei maschi;

– infine si riconnettono i monitoraggi e le infusioni.

Ma cosa è successo durante l’epidemia SARS-CoV-2?

Il numero di pazienti che necessitavano di pronazione è esponenzialmente cresciuto ed in concomitanza si sono aperti letti di terapia intensiva utilizzando infermieri non specificatamente preparati ed esperti per l’assistenza a pazienti intensivi. In molti centri si è fatto ricorso, nella migliore delle ipotesi, a infermieri provenienti dalle sale operatorie e anche i medici erano reclutati fra chi era prevalentemente utilizzato come anestesista ed aveva meno dimestichezza col paziente in ICU. A ciò va aggiunto che il carico di lavoro e di stress degli operatori è divenuto difficilmente sostenibile, con conseguente aumento della possibilità di commettere errori.

Non va dimenticato che poiché l’obesità si è dimostrata essere uno fra i maggiori fattori di rischio per le complicanze del COVID,13 ci si è trovati ad eseguire la pronazione su un numero molto elevato di pazienti obesi con aumento delle difficoltà per gli operatori.

Alla complessità della manovra ed al carico di lavoro infermieristico durante l’epidemia di COVID-19 si è aggiunto il rischio di trasmissione del contagio. Durante la manovra di pronazione, infatti, dal cavo orale del paziente fuoriescono abbondati secrezioni che possono essere ad alta carica virale. Il possibile distacco dal ventilatore comporta emissione di aerosol virale ad alta pressione nell’ambiente. Anche durante tutto il tempo della PP continuano per gravità a fuoriuscire secrezioni dal paziente sul letto.

È vero che, a parte nelle prime fasi della pandemia, tutti gli operatori delle ICU sono stati protetti con adeguato dispositivi di protezione individuale (DPI) – tute, scafandri, maschere FFP3, doppi guanti – tuttavia il carico di lavoro e lo stress hanno certamente favorito errori nella loro corretta utilizzazione e possiamo affermare che nell’assistenza al paziente con SARS-CoV-2 intubato la manovra di pronazione è sicuramente la procedura più pericolosa per il rischio di trasmissione del contagio.

Di fatto il numero di operatori delle ICU che si sono infettati è risultato molto alto, ma mancano i dati per poter affermare quanto il posizionamento del paziente in PP abbia contribuito alla diffusione del contagio. Tuttavia, quanto riferito sulla pericolosità della manovra ci porta a ritenere che il fenomeno non sia stato privo di importanza.

Per concludere voglio citare alcuni brani tratti dal lavoro di Shannon Cotton11 che ha eseguito un’indagine presso ICU inglesi:

“Nonostante i risultati positivi, i dati suggeriscono che la ventilazione meccanica in posizione prona (PP) non sia ampiamente apprezzata come benefica per la cura del paziente. La pandemia di COVID-19 ha evidenziato la necessità di una istruzione aggiuntiva e di un’armonizzazione delle cure in tutto il sistema sanitario. Le sfide che la PP ha evidenziato sono molteplici.

In primo luogo la percezione che il rischio di trasmissione del virus è fonte di preoccupazione fra gli operatori del team sanitario. Data la carenza di dispositivi di protezione individuale in alcuni centri e la necessità ripetuta di maggiore assistenza al letto del paziente, la PP può essere considerata un onere sostanziale.

In secondo luogo il numero di persone necessario per posizionare il paziente in sicurezza senza complicazioni, inclusa l’estubazione accidentale, non è sempre facilmente disponibile. In molti centri durante la pandemia si è avuto un aggravio nella carenza di personale di assistenza infermieristica legato alla maggiore esposizione a malattie del personale ed al burnout conseguente al grande volume di pazienti richiedenti la pronazione.

In terzo luogo la pandemia di COVID-19 ha reso evidente la variabilità nella formazione dei membri del team sanitario. In un recente sondaggio, la maggior parte dei medici riteneva che la PP fosse utile, mentre meno della metà degli infermieri aveva la stessa opinione. Questa disconnessione evidenzia la necessità di migliorare la comunicazione e l’istruzione di tutto il team sanitario. In alcuni casi si è evidenziato come molti medici non fossero consapevoli che il posizionare in PP un paziente fosse così gravoso e pericoloso per il personale infermieristico. Queste continue barriere all’implementazione del posizionamento prono possono impedire un trattamento medico ottimale per i pazienti affetti da SARS-CoV-2.”

L’autore afferma che nel proprio reparto di 13 unità di posti letto durante la pandemia si è arrivati a pronare quotidianamente anche 9 pazienti.

Tutto quanto sopra riferito evidenzia come la contestuale presenza di più pazienti da assistere con il posizionamento prono ponga molti problemi nella gestione di una ICU.  


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